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Riassunto Canto 21 del Purgatorio

Parafrasi Commento

Introduzione

 

Dante e Virgilio in questo canto incontrano il poeta latino Stazio, grande ammiratore di Virgilio e dell’Eneide e che non sa ancora di trovarsi di fronte al proprio maestro. Stazio accompagna poi i due protagonisti nei canti successivi.

 

Riassunto

 

Nel canto XXI troviamo Dante e Virgilio che giungono nella quinta cornice del Purgatorio, quella in cui stazionano le anime degli avari e dei prodighi. La mente di Dante è però occupata dall’assillo di capire cosa abbia provocato il terremoto alla fine del canto precedente, e cosa fosse quel coro che intonava il Gloria, innalzato dalle anime. Già nella prima terzina, che descrive la volontà di sapere del poeta, leggiamo una similitudine con la donna di Samaria (Giovanni 4, 6-15), che Dante recupera per riferirsi alla Rivelazione divina che tra poco toccherà pure lui.

Nel mentre, un’anima si avvicina ai due viaggiatori, le saluta in modo cortese e, dietro richiesta di Virgilio, esaudisce la sete di conoscenza di Dante: spiega infatti che il monte del Purgatorio ha tremato perchè un’anima è passata in Paradiso, e questo passaggio viene accompagnato da un canto di ringraziamento da parte degli altri penitenti (il Gloria appunto). Le anime compiono questa transizione da Purgatorio a Paradiso in maniera volontaria, coerentemente al tema della libertà che domina in tutta la cantica.

 

L'anima svela poi la propria identità: è Stazio, il poeta latino, autore dell’Achilleide e dellaTebaide. Attraverso questa figura Dante può introdurre nuove riflessioni, non più su argomenti di natura civile e politica, ma sulla poesia e sulla sua missione, ora letta nell'ottica di fede cristiana: temi ed argomenti che occuperanno Alighieri fino all’entrata nel Paradiso. Da questo momento Stazio si unirà a Dante e Virgilio nel loro viaggio, e le prossime anime che i tre incontreranno saranno tutte di poeti defunti: Forese Donati, Bonagiunta Orbicciani da Lucca, Guido Guinizzelli e Arnaut Daniel.

 

Stazio, non sapendo però di trovarsi dinnanzi al suo modello letterario, aggiunge poi che, per la sua professione di poeta, è stato determinante Virgilio, in particolare la lettura dell’Eneide. Dante, assistendo a questa involontaria dichiarazione, sorride, e Stazio scopre così il piccolo segreto che gli è stato momentaneamente celato. Si getta così ai piedi del suo maestro, colto da irrefrenabile gioia.

 

Tematiche e personaggi

 

La rilettura dantesca di Virgilio e Stazio

 

Nel momento in cui, nel ventunesimo canto del Purgatorio, Virgilio e Stazio si incontrano sotto gli occhi partecipi di Dante, assistiamo ad una scenetta assai curiosa, che ci permette di leggere “tra le righe” l’atteggiamento dell’autore della Commedia nei confronti della poesia classica e i significati che a queste figure possono essere annessi e collegati. Il rapporto (letterario, etico ed ideale) che Dante tesse innanzitutto con Virgilio, sua guida e suo punto di riferimento morale ed estetico, e con Stazio, che da questo canto in poi accompagna i due protagonisti fino al Paradiso terrestre nel trentesimo canto, è complesso e stratificato.

 

Dietro alla scena con cui Stazio scopre l’identità di Virgilio, suo maestro ideale, a causa dell’accenno di sorriso che si disegna sul volto di Dante (vv. 103-120), c’è la continuità, che a Dante preme sottolineare, tra l’Eneide e la Tebaide, e tra le due opere “classiche” e la Commedia stessa. Gli obiettivi del poeta sono due: l’elogio della poesia (in particolar modo quella epica) e la celebrazione di quella conoscenza umana che avvicina l’uomo a Dio e alla salvezza. L’esaltazione da parte di Stazio del poema virgiliano come fonte suprema di ispirazione e addirittura di nutrimento vitale 1 si inserisce infatti in una linea che, per Dante e per la mentalità medievale, ricollega il “poema sacro” ai grandi modelli del passato. Come Virgilio aveva anticipato la venuta di Cristo (almeno secondo la pratica medievale della lettura allegorica dei testi classici, e della loro “cristianizzazione”), così Stazio, ispirandosi all’Eneide, aveva portato questo legame ad un livello superiore, in quanto, come egli stesso ammette nel canto XXII 2, si è convertito alla nuova religione durante la stesura della Tebiade, ma non ha potuto professare apertamente la nuova fede per timore delle persecuzioni dell’imperatore Domiziano (51-96 d.C.).


Se è già stato dimostrato che nella biografia di Stazio Dante si confonde con un suo quasi omonimo 3 e che assai probabilmente anche la conversione di Stazio è un falso storico di origine medievale, conta di più capire perché Dante istituisca questa forte linea di continuità. La risposta sta nella lettura figurale della realtà (che Erich Auerbach ha spiegato in riferiemnto alla figura di Catone o di San Francesco) tipica della mentalità medievale: l’Eneide e la Tebaide (che per Dante sono sempre fonti preziosissime) sono anticipazioni di una verità che sarà completa solo nell’opera che le completerà entrambe, e cioè nella Commedia. In gioco, oltre che il prestigio culturale e letterario, è per Dante il concetto stesso della conoscenza umana che può saziarsi davvero solo di quell’acqua “onde la samaritana domandò la grazia” (vv. 2-3); la Ragione di cui Virgilio è allegoria comincia così a intravedere i propri limiti, preannunciando l’incontro con Beatrice, emblema della Teologia, nel trentesimo canto del Purgatorio.

1 vv. 97-102: “de l'Eneïda dico, la qual mamma | fummi, e fummi nutrice, poetando: | sanz'essa non fermai peso di dramma. | E per esser vivuto di là quando | visse Virgilio, assentirei un sole | più che non deggio al mio uscir di bando”.

2 vv. 88-91: “E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi | di Tebe poetando, ebb’io battesmo; | ma per paura chiuso cristian fu’ mi, | lungamente mostrando paganesmo”.

3 Il retore Lucio Stazio Ursolo, vissuto nel periodo di Nerone (37-68 d.C.); per questo Stazio è detto “tolosano” (v. 89) e non originario di Napoli, quale era in realtà. Da notare poi che Stazio è autore di gran successo e fama nel Medioevo, ma sicuramente molto meno rilevante di Virgilio, o di Ovidio e Lucano, per citare altre auctoritates dantesche