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I Futuristi italiani nel mondo: le avanguardie europee e il Futurismo russo

Nato nel 1909 sulla spinta propulsiva del “Manifesto” di Tommaso Marinetti e presto diffusosi anche alle altre arti di inizio secolo (tra cui la pittura, l’architettura e il cinema), il Futurismo italiano si connota da subito come un’avanguardia di respiro europeo, che propugna una nuova visione dell’arte (soprattutto in riferimento ai canoni tradizionali di “bello”) e, più in generale, una vera e propria nuova concezione della vita, ispirata dal fascino della velocità dei nuovi mezzi di locomozione e dalle incredibili possibilità percettive ad essi connesse.
 
La tensione antiborghese ed “incendiaria” del movimento si capisce bene ripercorrendo gli scritti marinettiani, che esaltano il “disprezzo della donna” e rifiutano radicalmente tutti i canoni dell’amore romantico (come ne L’uomo moltiplicato e il regno della macchina, oppure in Contro l’amore e il parlamentarismo, entrambi del 1910). Valentine de Saint-Point pubblicherà poi Il Manifesto della donna futurista (25 marzo 1912) e il Manifesto della lussuria (11 gennaio 1913), in cui presenta la propria originale visione del mondo “futurista”. La moglie stessa di Marinetti, Benedetta Cappa, parteciperà al movimento con il romanzo Viaggio di Gararà e l’attività di pittrice.
 
Ma il Futurismo riesce a riunire - anche solo inizialmente - voci assai diverse tra loro: Quasimodo, De Pisis, Campigli e pure Ungaretti esordiscono come “futuristi”, mentre sul piano internazionale (grazie anche all’attività promozionale intensissima di Tommaso Marinetti) il Futurismo diventa un “padre spirituale” di molti movimenti artistici moderni e contemporanei. Tra tutti, è sicuramente il Futurismo russo (con esponenti quali Chlebnikov e Majakovskij) l’erede più noto ed importante, capace di sopravvivere fino al 1930, anno della morte di Majakovskij e dell’intervento della censura stalinista.