4'

La "Gaia scienza" di Friedrich Nietzsche

L’allontanamento di Nietzsche dal modello wagneriano vaticinato nella Nascita della tragedia dallo spirito della musica e il distanziamento da Schopenhauer e il suo concetto di “volontà” cadono nei mesi di stesura del saggio Umano, troppo umano (Menschliches, Allzumenschliches), che viene pubblicato tra 1878 e 1879.

 

L’ingresso nella cosiddetta fase “illuministica” del pensiero nietzschiano pone da parte l’arte (e quindi la tragedia wagneriana) quale strumento principale per riaffermare, contro le posizioni socratico-cristiane, la preminenza del “sì” alla vita, e il conseguente rinnovamento della condizione umana. Il razionalismo occidentale, propagatosi nei secoli fino all’ultima concretizzazione nelle organiche strutture del pensiero hegeliano, dev’essere smascherato - e qui si percepisce chiaramente il retroterra della filologia come scienza dell’indagine da cui Nietzsche proviene - da un esercizio metodico del dubbio e della diffidenza (ragion per cui il filosofo verrà ascritto dai suoi detrattori, con Freud e Marx, alla “scuola del sospetto” che terremota molte certezze della buona borghesia di fine XIX secolo).
L’assalto nietzschiano alla metafisica vuole smontare, pezzo per pezzo e a colpi di salaci aforismi, il concetto stesso di “trascendenza”, ovvero la convinzione che esista una realtà o un ente “in sé” oltre e al di fuori del nostro mondo fenomenico (e da cui dipenderebbe anche la morale, smascherata come ipocrita illusione). Il Freigeist (lo “spirito libero” che Nietzsche ipotizza in questo periodo, tanto da sottotitolare Umano, troppo umano come libro per spiriti liberi, identificando uno dei propri modelli in Voltaire) è allora colui che non si lascia trarre in inganno dai tranelli della ragione e che preannuncia, con il passaggio intermedio di Aurora. Pensieri sui pregiudizi morali (1881), la “filosofia del mattino” della Gaia scienza (1882). Qui Nietzsche porta a sviluppo completo la propria riflessione, e la “felicità” cui allude si spiega appunto con la liberazione dello spirito umano da ogni metafisica (con i suoi corredi gnoseologici, ontologici o morali); in tal senso, anche la sconcertante rivelazione del “folle uomo” dell’aforisma 125 della Gaia scienza è da interpretare sotto una luce diversa:

 

"Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? [...] Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione?"

Con queste celebri righe, Nietzsche non prende affatto posizioni in merito all’esistenza di Dio o alle ragioni della fede (o dell’ateismo); piuttosto, il ragionamento punta a indicare la crisi morale del mondo contemporaneo, il suo radicale nichilismo. Esso è conseguenza diretta ed approdo finale della civiltà cristiana che, con il suo sistema di valori e la sua metafisica di derivazione platonica, ha causato la perdita di senso e di significato del suo valore supremo. La decadenza del presente, la sua intima tragicità è allora dovuta a questa radice primigenia, che prelude alla riflessione dell’ultimo Nietzsche e al “nichilismo attivo” del Così parlò Zarathustra; lo stesso “folle uomo” dell’aforisma ammette d’essere in anticipo sui tempi:

 

"Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate. Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!"