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Verga, il teatro e le ultime opere

Dopo il decennio della produzione di stampo verista (e cioè dal 1880 di Vita dei campi fino all’edizione in volume del 1889 di Mastro don Gesualdo) la carriera di Giovanni Verga conosce una svolta significativa. Da un lato, entra progressivamente in crisi l’idea di realizzare un ciclo romanzesco che, come annunciato nella Prefazione a I Malavoglia, stringa assieme tutti i livelli della società del tempo, analizzati secondo l’occhio impassibile di un "coro" popolare interno al mondo narrato, e che ne traduca in parole i pensieri e l'ideologia sotterranea; dall’altro, Verga tenta anche nuovi percorsi espressivi, che non sempre gli garantiranno il successo sperato.

 

Da un lato, dopo raccolte quali Vita dei campi, le Novelle rusticane, Per le vie (1883) e Vagabondaggio (1887), prosegue la produzione di narrazioni brevi: Treves, l’editore di fiducia, pubblica I ricordi del capitano d’Arce (1891) e Don Candeloro e C.i (1894), che indagano - senza molte innovazioni stilistico-tematiche rispetto alle prove precedenti - il mondo dell’alta società aristocratica o quello (come avviene appunto nella novella omonima Don Candeloro e C.i) degli artisti circensi e, più in generale, “la squallida vita dei guitti”. Dall’altro lato, dopo alcuni esili tentativi giovanili, questi sono gli anni in cui allo scrittore si presenta pure la possibilità, economicamente affatto invitante, della scrittura teatrale. Già nel 1884 Cavalleria rusticana (una delle novelle più celebri di Vita dei campi) era stata ridotta per le scene da Mascagni conquistando grande successo (sul palco, nei panni di Santuzza, c’era Eleonora Duse, vera "star" dell’epoca); ad essa segue, l’anno successivo, Il canarino del n. 15, estratto questa volta da Per le vie, che avrà meno successo rispetto al dramma dell’amore “rusticano”. Tuttavia, la battaglia legale vinta nel 1893 contro Pietro Mascagni per i diritti d’autore della Cavalleria rusticana da quest'ultimo musicata, convince Verga che il teatro può essere un’ottima fonte di sostentamento (nonché un interessante esperimento per addestrarsi alla riproduzione dei dialoghi, come già si è intravisto nel Mastro don Gesualdo): nel 1896, La Lupa (altro adattamento di una novella a tematica amorosa) rinnova il successo tributato a Cavalleria rusticana (tanto che Treves raccoglie in volume le opere teatrali verghiane, per approfittare di questo recente successo), e lo scrittore compone a stretto giro i “bozzetti” de La caccia al lupo e La caccia alla volpe, che vedranno anch’essi le scene nel 1901. Intanto, lo scrittore progetta un’altra opera teatrale, Dal tuo al mio (1903) che, dopo un passaggio non fortunato presso il pubblico, viene pubblicata prima dalla «Nuova Antologia» (1905) e poi sempre da Treves (1906).

 

Nonostante questo scambio attivo tra platea e libreria, non sfugge che l’inventiva dello scrittore siciliano (impegnato anche nella revisione della propria produzione: la nuova edizione di Vita dei campi è del 1897) ha da tempo intrapreso la sua fase calante: il ritorno a Catania nel 1893 segna uno spartiacque significativo in tal senso, tanto quanto il silenzio autoriale (interrotto solo da sporadiche riduzioni cinematografiche, come quelle di Cavalleria rusticana nel 1916 e di Storia di una capinera nel 1917) che dura dal 1906 fino agli ultimi mesi di vita, durante il quale Verga si dedica principalmente all'amministrazione delle proprie terre. Non solo è definitivamente tramontato il progetto omnicomprensivo del "ciclo dei vinti" (il terzo romanzo, la Duchessa di Leyra, che ha per protagonista la figlia di Gesualdo, procede infatti incerto e a strappi, tanto che l’amico e discepolo Federico de Roberto ne pubblicherà solamente un capitolo postumo su «La Letteratura» del 1° giugno 1922), ma si è anche accentuata la componente pessimistica della visione del mondo verghiana: sostenitore di Crispi (e amareggiato dal freno posto alle ambizioni coloniali italiane dalla disfatta di Adua) e sempre più vicino alla destra nazionalista, Verga, nominato senatore del Regno nel 1920, sostiene prima la cruda repressione di Bava Beccaris durante i moti milanesi del 1898 e poi è acceso interventista in occasione dell'ingresso italiano nella Prima guerra mondiale. Congedo dell'autore è l’ultima novella, Una capanna e il tuo cuore, che viene stesa nel 1919 ma che non vedrà la luce prima della morte di Giovanni Verga, il 27 gennaio 1922.