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"Inferno", canto 16: riassunto e commento

Introduzione

 

Con il canto XVI siamo al terzo girone del settimo cerchio, quello in cui albergano per l’eternità coloro che, a diversi gradi di colpa, si sono macchiati del peccato di violenza. In particolare, troviamo qui i dannati per sodomia, distinti in due canti (il quindicesimo e, appunto, il sedicesimo) secondo la loro estrazione e categoria sociale: nel canto precedente, Brunetto Latini, maestro di Dante, è rappresentante di letterati e chierici, mentre in questo, dopo una brevissima introduzione, il poeta incontra tre fiorentini.

 

Riassunto

 

Nella geografia infernale, siamo ancora sull’argine del fiume Flegetonte, dove questo si getta nel cerchio successivo (vv. 1-2: “Già era in loco onde s'udia 'l rimbombo | de l'acqua che cadea ne l'altro giro”); la pioggia di fuoco che tormenta i dannati con “l'aspro martiro” (v. 6) è incessante. Tuttavia, Dante e Virgilio vengono fermati da tre figure che si palesano come concittadine del poeta: quest’ultimo, su consiglio di Virgilio (v. 15), decide allora di ascoltarle, come con Ciacco e Farinata. Esse, continuando a girare in tondo (poiché, per la legge del contrappasso, sono costretti ad una corsa eterna e a ritroso, sotto una pioggia di fiamme in un vallone infuocato), si presentano nell’ordine come tre esponenti della buona società fiorentina, vissuti poco prima dell'autore stesso: Guido Guerra, nipote di donna Gualdrada (poi intravista nel Paradiso), Tegghiaio Aldobrandi, “la cui voce | nel mondo sù dovria esser gradita” (vv. 41-42), e Jacopo Rusticucci.

Nomi che probabilmente al lettore d’oggi dicono poco, ma che testimoniano la capacità di Dante di inserire nel suo viaggio ultramondano una serie di figure a lui contemporanee, e sicuramente ben note al lettore del tempo: al significato simbolico del viaggio di redenzione si affianca così l’intenzione di suscitare emozioni raccontando quasi in diretta la cronaca del proprio tempo. Dante stesso, più che disgustato dai dannati scorticati dalla pioggia di fuoco, si confessa turbato emotivamente (vv. 10-12: “Ahimè, che piaghe vidi ne' lor membri, | ricenti e vecchie, da le fiamme incese! | Ancor men duol pur ch'i' me ne rimembri”) nel vedere in tali condizioni persone da lui molto rispettate, tanto che, se non vi fosse la cortina di fuoco, egli le abbraccerebbe istantaneamente. A ciò si aggiunga che sono gli stessi peccatori a chiedere a Dante notizie della Firenze contemporanea: punto nel vivo, sia per motivi personali che per ragioni politiche, il poeta si abbandona (vv. 64-90) ad una radicale recriminazione, contenuta nello spazio di una terzina, contro “La gente nuova e i sùbiti guadagni” (v. 73) che avrebbero infettato i buoni costumi dell’antica “Fiorenza” (v. 75), corrotta dal fenomeno dell’immigrazione dal contado e dalle facili possibilità di ricchezza.

Enunciata la sua sentenza, Dante e i fiorentini si separano; il poeta e Virgilio giungono dove il Flegetonte si getta a cascata nel girone sottostante, con un balzo che ricorda quello dell’Acquacheta a San Benedetto. Siccome i due pellegrini necessitano di un passaggio. Virgilio srotola nel precipizio la corda che Dante porta in vita, per richiamare dall’abisso il mostruoso Gerione, creatura mitologica dal volto umano, corpo di serpente, zampe di un leone e coda di scorpione, tanto sconvolgente che Dante deve giurare al suo lettore su “le note | di questa comedìa” (vv. 127-128) che quello che racconta è vero. E sarà Gerione a trasportare i due protagonisti nell’ottavo cerchio.

 

Tematiche

 

I valori cortesi e la “gente nuova”

 

Il momento in cui i dannati fiorentini incontrano il poeta e gli chiedono se in Firenze esistano ancora i valori della cortesia e del valore sono molti importanti per introdurre il tema della virtù cavalleresche e per sviluppare la polemica dantesca contro la mentalità dei suoi tempi:

 

Cortesia e valor dì se dimora
ne la nostra città sìcome suole,
o se del tutto se n’è gita fora; 1

 

Il rimando ai valori nobiliari (la “cortesia e valor” celebrate ad esempio dalla poesia trobadorica, legata agli ambienti di corte del Sud della Francia del XII e XIII secolo) spiega anche il punto di vista con cui il poeta osserva l’evolversi socio-politico delle vicende della sua città. Dante recupera il modello cortese ed aristocratico (in cui era implicita la distinzione tra la “cortesia” e la “villania”) perché esso identifica ed individua quelle qualità (la generosità senza eccessi, il rispetto per il prossimo, la morigeratezza dei costumi, il controllo di sé) diametralmente opposte a quelle della “gente nuova” (v. 73), che Dante, gridando rabbiosamente “con la faccia levata” (v. 76), pone sul banco degli imputati.

Il rimpianto di Dante per un buon tempo antico fatto di armonia, onore e rispetto vicendevole indivdua allora nei mutamenti socio-economici ch’egli ha osservato in diretta la fonte principale di tutti i problemi di Firenze: il passaggio da un’economia terriera, strettamente collegata al potere feudale (e quindi anche alla presenza di un impero forte ed autorevole anche in Italia), ad un sistema mercantilistico, in cui i “subiti guadagni” (v. 73) non sono corrisposti ad una parallela maturazione etica degli abitanti di Firenze, il cui orgoglio e la cui sete di ricchezze hanno invece peggiorato drasticamente la situazione. L’immigrazione dal contado e lo spostamento di asse del potere economico hanno insomma generato, nella prospettiva del poeta, il crollo degli antichi punti di riferimento, cui si sono sostituiti le aspre lotte politiche tra Guelfi e Ghibellini (di cui c’è già memoria nell’incontro con Farinata) o, ancor più drammaticamente, la “guerra civile” tra guelfi “bianchi” e “neri”, che costituisce la materia del canto sesto dell’Inferno). Sono temi che chiamano in causa anche l’esperienza autobiografica di Dante, costretto all’esilio dall’amata Firenze proprio dagli intrighi di potere della città toscana: non sarà allora un caso che la politica 2 e il rimpianto di una passata età felice siano gli argomenti prediletti del colloquio con l’avo Cacciaguida, a partire dal sedicesimo canto del Paradiso.

1 vv. 64-66.

2 Si ricorda che la politica, in una prospettiva progressivamente sempre più ampia che va da Firenze all’Italia e poi all’Impero, è affrontata nei sesti canti di ogni cantica.