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Se all'esame di letteratura italiana dovessero pormi la domanda: Come nasce la lingua volgare? In che modo dovrei rispondere? :D grazie mille.


il 09 Luglio 2015, da Alfabeto Irene

Gaia Tempo il 10 Luglio 2015 ha risposto:

Ciao Irene! Allora, la fine dell’Impero e le invasioni barbariche significano anche in Italia la fine dell’unità linguistica e lo sviluppo di parlate locali, mentre il latino rimane la lingua dell’alta cultura. In Italia si ha un maggior frazionamento dialettale, dovuto a ragioni amministrative (confini ecclesiastici e politici; la divisione della penisola operata da Diocleziano; l’invasione dei Longobardi) e all’esistenza di stirpi diverse che avevano sovrapposto il latino alla loro lingua originaria (i celti al Nord, italici o umbro-sannitici al Centro- sud, gli etruschi in Toscana). Nell’ VIII secolo esiste comunque già un complesso di dialetti fra loro diversi, ma dotati di caratteristiche comuni e che li distinguono dalle altre lingue romanze, e su cui agiranno poi fattori di regolarizzazione e che spingeranno verso una unificazione: la nascita di una vera e propria lingua unitaria è ostacolata dalla mancanza di un centro politico e amministrativo unitario. Ad esempio, i sacerdoti nella predicazione dovevano usare il volgare, se volevano farsi intendere da tutti; i notai dovevano tradurre i documenti scritti in latino a quelli che non lo intendevano più, ma anche nei tribunali la verbalizzazione, che esigeva fedeltà rigorosa a quello che veniva detto e fatto, doveva spesso ricorrere al volgare; i giullari svolgevano la loro attività per un pubblico misto e soprattutto spostandosi di corte, di città in città, di villaggio in villaggio, e quindi avevano bisogno di una lingua che potesse essere intesa entro confini più vasti di quelli del singolo municipio; ma basti considerare anche lo sviluppo dei contatti politici e commerciali che si verificò in età comunale. Il latino era comunque la lingua per eccellenza, quella che aveva ordine, decoro e stabilità e, rispetto ai volgari, funzionava in un certo senso da grammatica, perché è su di esso che si cercava di modellare il volgare, quando si voleva elevarlo e liberarlo da caratteristiche troppo locali per renderlo capace di una comunicazione a più vasto raggio. Un grande contributo alla regolarizzazione di una lingua scritta e comune per tutta la penisola venne offerto dagli scrittori di letteratura, anche se bisogna tener presente che, quando andò diffondendosi il volgare scritto, non si mirava direttamente a una lingua comune, bensì ad una lingua bella e nobile, la quale eliminasse i particolarismi e fosse perciò anche comune. Un volgare “illustre”, secondo la definizione che Dante diede della lingua letteraria scritta, si formò nella prima metà del duecento alla corte di Federico II, e fu la lingua della prima poesia italiana scritta con intendimento artistico. Dopo il declino della potenza sveva, la tradizione poetica siciliana fu ripresa nei temi e rielaborata nel vocabolario dai poeti toscani e poi dai poeti dello stilnovo. Il volgare illustre, che è altro dal volgare parlato, fu dunque la lingua di queste scuole poetiche, oltre che della poesia che sarebbe nata in altre regioni italiane (Umbria, Lombardia). L’opera di Dante, Petrarca e Boccaccio avrebbe accresciuto l’influenza del fiorentino letterario sulla lingua letteraria delle altre regioni italiane, contribuendo ad aumentare l’uniformità del volgare letterario.


Grazie mille per la minuziosa risposta !!! :) - Alfabeto Irene 13 Luglio 2015

Figurati, è stato un piacere! Buona giornata :) - Gaia Tempo 13 Luglio 2015

luca ghirimoldi il 13 Luglio 2015 ha risposto:

Ciao Irene, volendo aggiungere dei riferimenti al dettagliato quadro storico di Gaia si può aggiungere che il primo documento in volgare italiano è generalmente considerato il “placito capuano”, un testo di natura giuridica (nello specifico, una sentenza) del 960 d.C. della zona di Capua. Nel testo (in realtà, si tratta di quattro testi o “placiti” editi tra il marzo del 960 e l’ottobre del 963), redatto in latino com’era norma nella giurisprudenza, si riporta in volgare la formula di alcuni testimoni: la scelta ricade così sulla lingua “naturale” (il volgare campano) per fedeltà di trascrizione e per evitare eventuali futuri ricorsi. La situazione è infatti quella di una contesa giuridica tra l’abate del monastero benedettino di Montecassino (tale Aligerno) e un feudatario del luogo, Rodelgrimo d’Aquino, che, approfittando della distruzione del monastero ad opera dei Saraceni nel, aveva occupato alcuni terreni prima sotto l’autorità di Aligerno. Il giudice Arechisi diede ragione all’ordine religioso, riportando nel “placito” la formula con cui i testimoni confermavano appunti i diritti ecclesiastici su quelle terre: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte sancti Benedicti” [ovvero: “So che quelle terre, all’interno dei confin che qui si definiscono, sono state per trent’anni del monastero di San Benedetto”]. Un saluto e buona giornata!