Introduzione
Agostino Depretis, figura centrale del liberalismo postunitario, ha marcato con la propria azione politica i decenni che separano l’Unità nazionale del 1861 e la fine del XIX secolo. Uomo assai più di “centro” che di sinistra, benché la prima categoria non fosse corrente nella prassi parlamentare dell’epoca, ha legato il proprio nome soprattutto al fenomeno del “trasformismo”, ovvero una convergenza tra i moderati delle due distinte anime della politica parlamentare fino ad allora esistenti, destinata a creare il “partito unico della borghesia italiana”.
Giovinezza e formazione
Agostino Depretis nasce in una famiglia della piccola borghesia dell’Oltrepò pavese il 31 gennaio 1813. La zona, pur culturalmente e storicamente lombarda, è assegnata dopo la Restaurazione al Regno di Sardegna: ciononostante, per ragioni geografiche, l’Impero austriaco consente ai giovani che ne sono originari di recarsi a studiare a Pavia, sede di uno dei più prestigiosi atenei d’Italia. Anche Depretis approfitta dell’opportunità e, arrivato nella città lombarda all’età di otto anni, vi resta per tutto il percorso di studi, compresi gli anni universitari. Proprio durante questo periodo, egli alterna le lezioni della facoltà di giurisprudenza alla frequentazione di gruppi che, sotto il velo della goliardia, propagandano le idee mazziniane e sono in contatto con il cospiratore genovese. Benché varie volte costretto a rifugiarsi in territorio sabaudo per sfuggire alla polizia asburgica, il giovane Depretis consegue la laurea e comincia a esercitare l’avvocatura nella città lombarda. Egli è tuttavia obbligato a rientrare definitivamente nel Regno di Sardegna nel 1836, alla morte del padre; comincia ad amministrare le proprietà di famiglia e dimostra un gran talento in questa attività, reinvestendo oculatamente gli utili e conducendo una vita morigerata estranea a qualsiasi sperpero. Ciò lo porta, nel 1842, a essere assunto come amministratore dalla famiglia Gazzaniga e poi dagli Arnamboldi; in questo modo Depretis, oltre ad incrementare il proprio patrimonio, si avvicina anche agli ambienti influenti della provincia, grazie ai quali riprende i viaggi verso Pavia e Milano.
Il ritorno in patria non interrompe l’attività politica di Depretis, ma ne cambia indubbiamente la natura: dalla semi-clandestinità dei circoli mazziniani studenteschi all’attività “alla luce del sole” di “benevolo consigliere dei contadini”. Depretis si trasferisce quindi a Stradella, a una ventina di chilometri da Pavia, e comincia ad animare le riunioni dell’Associazione Agraria Sarda, ambiente nel quale entra in contatto con diversi nomi del liberalismo piemontese come Valerio e Lanza. Nel 1849, dopo che lo Statuto Albertino aveva dato al regno le istituzioni rappresentative, si candida alle elezioni politiche in due collegi e, pur non ottenendo risultati esaltanti in termini di voti, risulta eletto.
L’esperienza parlamentare e quella con Garibaldi in Sicilia
Depretis inizia la propria esperienza parlamentare nei banchi dell’estrema sinistra: è convinto che sia necessario radicare il nuovo sistema costituzionale nella vita pratica del paese, prima di tutto tramite uno svecchiamento del personale amministrativo, ancora legato agli usi retrivi dell’assolutismo. È portavoce di un “democratismo rurale e borghese”, favorevole all’allargamento del suffragio e non ostile alle posizioni più radicali; a differenza di molti suoi compagni, tuttavia, fa della fedeltà allo Statuto Albertino una delle colonne portanti del proprio agire politico. In effetti in questa fase l’estremismo dei suoi propositi e la cornice monarchico-costituzionale nella quale vuole inscriverli costituiscono una contraddizione oggettiva che il deputato piemontese non è in grado di risolvere. Nel frattempo Depretis partecipa in maniera tiepida e marginale ai progetti di cospirazione che, facendo base nel Regno di Sardegna, intendono favorire con uomini e armi una sollevazione nel Lombardo-Veneto.
Depretis è eletto presidente della Camera nel 1849, ma mantiene la carica solo per qualche mese a causa del rovesciamento degli equilibri seguito al “proclama di Moncalieri” di Vittorio Emanuele II. I primi anni dell’esperienza parlamentare di Depretis sono una fase di apprendistato che in seguito sarà in parte rinnegata. L’opposizione alle politiche dei gabinetti guidati da Cavour è infatti più il frutto di un automatico posizionamento nei banchi parlamentari che di profonda convinzione: prova ne sia il fatto che nel 1852egli non esita, pentendosi della passata intransigenza, a seguire il leader della sinistra moderata Urbano Rattazzi sulla via del cosiddetto “connubio” con il liberal-conservatorismo impersonato da Camillo Benso conte di Cavour.
Un punto che certamente accomuna lo statista torinese e il deputato pavese è la fiducia nello sviluppo della rete ferroviaria sarda come fattore di progresso e sviluppo; più in generale, in questi anni l’attività di sostegno all’esecutivo da parte di Depretis si fa molto intensa, tanto che, immediatamente dopo la fine della Seconda guerra d’indipendenza, è nominato governatore di Brescia. La definitiva consacrazione di Depretis come uomo di fiducia della monarchia - malgrado i dubbi dello stesso Cavour per il suo passato mazziniano - si ha durante la spedizione dei Mille, quando il governo di Torino è preoccupato per il destino politico della Sicilia appena liberata dalle camicie rosse. Di fronte alla necessità di un “contatto” con Garibaldi e visto il fallimento di Costantino Nigra nell’assicurare una diretta annessione al Piemonte, che avrebbe strangolato in culla qualsiasi tentazione repubblicana e rivoluzionaria, Depretis è inviato sull’isola col titolo di “commissario regio”.
Pur fallendo nell’intento (l’annessione infatti avviene solo dopo la conquista della parte continentale delle Due Sicilie con il celeberrimo “incontro di Teano”) e dovendosi per questo dimettere, l’atteggiamento di Depretis nei confronti delle forze di governo è ormai improntato alla collaborazione. Pur non entrando direttamente a far parte della maggioranza, in questi anni egli “tramezza il centro-sinistra colla sinistra” attenuando sempre più l’intransigentismo antigovernativo che aveva caratterizzato la sua esperienza gioventù. Partecipa dunque al governo di unità nazionale voluto da Vittorio Emanuele II, per partecipare poi alla Terza guerra d’indipendenza come ministro della marina 1.
Dal punto di vista della geografia parlamentare, l’insieme delle forze della “sinistra” può, in questi anni, essere idealmente diviso in tre gruppi principali:
- Rattazzi guida i più moderati, tanto disposti alla collaborazione coi governi della destra storica da poter essere considerati un “terzo partito” collocatosi ondivagamente al centro;
- Depretis, insieme al suo omonimo Bertani, anima un gruppo intermedio, comunque occasionalmente disposto al compromesso e detto degli “agostiniani” o, più criticamente, “equilibristi”;
- Crispi, infine, guida gli intransigenti, rimasti fedeli alla tradizione mazziniana e garibaldina.
Per questo nel 1873, alla morte del protagonistadi Urbano Rattazzi, Depretis e Crispi si contendono la leadership della sinistra. A prevalere è Depretis, che con le sue posizioni e il suo ruolo di “ago della bilancia” riesce ad attirare su di sè un maggior numero di consensi.
Il primo discorso di Stradella e i governi della sinistra (1875 - 1883)
Il 10 ottobre 1875, quando il potere della Destra storica appare sempre più insicuro e vacillante, Agostino Depretis, durante un banchetto offerto a Stradella ai propri sostenitori e a selezionati rappresentanti politici, pronuncia un discorso in cui definisce i capisaldi della politica della sinistra liberale e la base delle pretese di questa di poter accedere al governo del paese.
In questo discorso, Depretis fa riferimento in primis al carattere marcatamente laico e anticlericale che sarebbe stato necessario dare all’istruzione scolastica. Per questo propone un sistema educativo statale in grado di fornire l’istruzione elementare gratuita e accessibile a tutti i sudditi del regno. Il secondo punto principale del programma enunciato a Stradella riguarda la necessità di allargamento del suffragio, poiché le istituzioni sono in realtà rappresentative di una parte infinitesima dei sudditi di casa Savoia. La sinistra, infine, si fa portavoce delle esigenze di decentramento amministrativo e di riforma del fisco e della magistratura.
Lo stesso Depretis è chiamato alla prova del governo solo pochi mesi dopo, quando il governo Minghetti cade sulla questione delle ferrovie: è in questo frangente che, con la cosiddetta “rivoluzione parlamentare”, la guida del paese passa al composito schieramento della Sinistra storica. Questa parte politica rimane al governo da sola per gli otto anni successivi, durante i quali lo stesso Depretis e Benedetto Cairoli si alternano alla testa degli esecutivi.
Le elezioni del 1876, infatti, sono un vero e proprio trionfo per la Sinistra e forniscono al governo una presenza alla Camera che assicura di portare avanti il programma annunciato. In generale, la direttrice politica dei governi Depretis è quella di ridurre la pressione esercitata dallo Stato sulla società civile: si tratta dunque di un progresso di ispirazione privatistica e liberistica, di stampo borghese, laico e alieno da qualsiasi idea di estremismo politico. La principale riforma messa in atto dall’esecutivo è certamente la legge Coppino del 1877 che, mantenendo la principale delle promesse fatte a Stradella, garantisce l’istruzione pubblica, laica e gratuita a tutti i bambini dai 6 ai 9 anni.
In politica estera si assiste a un progressivo avvicinamento alla Germania del cancelliere Otto von Bismark: nonostante l’alleanza di questa con l’Austria, infatti, l’opinione anticlericale della sinistra italiana (o di buona parte di essa), di ispirazione anticlericale, vede ormai nella Francia, nonostante la caduta di Napoleone III, un baluardo della politica clericale, a cui rivolgono tutte le speranza coloro che sognano il ritorno del potere temporale dei Papi. Con l’appoggio del nuovo sovrano, Umberto I, il quarto gabinetto Depretis avvia dunque un processo d’apertura verso Berlino, che culmina nel 1882 con la firma della Triplice Alleanza con Austria e Germania, un patto di carattere difensivo che permette di rompere l’isolamento diplomatico che il giovane Stato italiano ha patito fino ad allora e che rimarrà in vita fino allo scoppio della Prima guerra mondiale.
Legarsi al tradizionale nemico di tutte le guerre del Risorgimento, nonché a due potenze tradizionalmente autoritarie, solleva numerose perplessità nell’opinione pubblica italiana, in particolare in quella progressista: nel dicembre 1882 l’impiccagione da parte delle autorità asburgiche dell’irredentista triestino Guglielmo Oberdan, che stava progettando un attentato contro Francesco Giuseppe, non fa che peggiorare la percezione della politica estera depretisiana.
Il trasformismo e l’inizio del colonialismo italiano
Il 1882 non è solo l’anno della Triplice Alleanza ma anche, dal punto di vista della politica interna, quello dell’approvazione della nuova legge elettorale. Con l’allargamento del diritto di voto, il personale politico liberale comincia a temere una crescita delle ali estreme, in particolare dei movimenti repubblicani, e si rende quindi necessaria una ricomposizione degli assetti politici tradizionali. Anche per questa ragione l’8 ottobre 1882, in un nuovo discorso pronunciato a Stradella, il Presidente del Consiglio si rivolge direttamente ai futuri deputati Della destra e, concretamente, al loro leader Marco Minghetti, chiedendo loro di “trasformarsi” in senso progressista per la tenuta politica dello Stato.
L’appello, che sostanzialmente domanda di superare le differenze ideologiche createsi tra Destra e Sinistra durante il processo risorgimentale, viene sostanzialmente accolto da Minghetti ed inaugura una nuova fase della politica dello Stato unitario, detta appunto del “trasformismo”, durante la quale i governi - altri cinque esecutivi guidati da Depretis - sono sostenuti da una larga maggioranza convergente al centro che, di fatto, in nome del comune liberalismo proprietario, diventa “il partito unico della borghesia italiana”. Benché Depretis, nei propri discorsi parlamentari, tenda a sminuire la discontinuità rispetto al periodo della sinistra, vari esponenti dello schieramento progressista (come Crispi, Nicotera o Cairoli) abbandonano il governo proprio per il cambio di linea politica dell’esecutivo.
Sotto la direzione di Agostino Magliani, il ministero del Tesoro si rende protagonista della cosiddetta “finanza allegra”, cioè l’abbandono del rigore che aveva caratterizzato soprattutto la Destra storica e il cedimento di fronte alle numerose richieste particolaristiche (e a volte clientelari) che causano una lievitazione della spesa pubblica. L’appoggio del singolo parlamentare all’esecutivo, infatti, era spesso “comprato” al prezzo di infrastrutture (ad esempio, nuovi tratti ferroviari) costruiti nel collegio d’appartenenza di quest’ultimo, che avrebbe usato il successo locale per garantirsi la rielezione.
Parallelamente, più per fini propagandistici che per reali necessità economiche, Depretis avvia la politica di espansione coloniale italiana: su sollecitazione inglese (Londra nel frattempo è alle prese con la rivolta madista del Sudan), l’Italia occupa nel 1884 il porto di Massaua, centro eritreo sul Mar Rosso già evacuato dagli egiziani, anche per evitare una conquista da parte dei gruppi religiosi in rivolta. Un simile atto di conquista non solo solleva numerose polemiche nel Parlamento italiano, a causa dei suoi costi eccessivi, ma provoca la reazione dell’impero etiope che, deciso ad opporsi ad una conquista italiana dell’Eritrea, fronteggia e sconfigge il corpo di spedizione coloniale nella battaglia di Dogali il 26 gennaio 1887. Pochi mesi dopo la sconfitta, Agostino Depretis muore a Stradella il 29 luglio 1887.
1 Depretis non ha tuttavia alcuna responsabilità nella disastrosa sconfitta subita a Lissa dalle forze italiane.