Aristotele distingue tra mondo celeste e mondo sublunare. Le sostanze del mondo sublunare sono costituite di terra, acqua, aria, e fuoco, ognuno dei quali è caratterizzato da due di quattro qualità basiche: secco, umido, freddo e caldo. Ogni elemento si muove verso il suo luogo naturale e, in base ai loro luoghi naturali, gli elementi tendono a disporsi nella sequenza: terra, acqua, aria, fuoco. I quattro elementi, il moto rettilineo e il possibile movimento contrario al moto naturale sono caratteristici del mondo sublunare; diversamente, il mondo celeste è caratterizzato da sostanze incorruttibili, costituite di un quinto elemento - l'etere- che si muovono solo secondo moto circolare, del quale non si dà moto contrario. I corpi celesti sono legati a una serie di sfere concentriche che ruotano attorno alla Terra, sono vivi e pensanti, vere e proprie divinità che possiedono corpi sensibili benchè ingenerabili e incorruttibili. Il movimento del primo cielo, regola i movimenti degli altri cieli.
Il mondo di Aristotele non è dunque spazialmente infinito, ma è eterno, ed eterno è il movimento circolare delle sfere. Ma cosa muove il primo cielo? Dato che il movimento dei cieli è continuo, se il mutamento è passaggio dalla potenza al’atto possibile solo sotto l’azione di qualcos’altro che è già in atto, deve darsi un motore primo e immobile, costantemente in atto e che sarà solo atto, perchè se fosse potenza potrebbe muovere e anche non muovere. Sarà un atto puro, e sarà privo di materia, perchè la materia è potenza. Non essendo una sostanza sensibile, l’atto puro non può muovere nulla per contatto, quindi non può essere causa efficiente: sarà necessariamente causa finale. I corpi celesti cercano di imitare l’atto puro con la perfezione del moto circolare, ma l’unica attività dell’atto puro è il pensiero, e dato che non gli si addice contemplare niente che gli sia inferiore, il suo sarà un pensiero di pensiero. Questo è Dio per Aristotele: un’entità non sensibile che continuamente pensa se stessa e il proprio pensiero.
Jacopo Nacci, classe 1975, si è laureato in filosofia a Bologna con una tesi dal titolo Il codice della perplessità: pudore e vergogna nell’etica socratica; a Urbino ha poi conseguito il master "Redattori per l’informazione culturale nei media". Ha pubblicato due libri: Tutti carini (Donzelli) e Dreadlock (Zona). Attualmente insegna italiano per stranieri a Pesaro, dove risiede.
Video su Aristotele
Relatori
La fisica aristotelica, l'astronomia e la teologia
Domande
1 Risposte