Nata in Occitania nella seconda metà del XI secolo, la poesia trobadorica (o cortese) in lingua d'oc, viene riconosciuta e adottata in Europa come modello poetico volgare di maggior prestigio. In Italia si diffonde innanzitutto al nord intorno al XIII secolo, quando alla corte di Monferrato e nella Marca trevisana, alcuni trovatori provenzali esuli vengono ospitati da mecenati locali. La poesia cortese trova terreno fertile e si sviluppa sul suolo italico mantenendo per lo più intatte le proprie radici tematiche, tecniche, metriche e stilistiche, ma soprattutto linguistiche.
In un periodo di poco successivo alla corte siciliana di Federico II questo modello lirico viene sperimentato secondo esiti nuovi e originali: i poeti siciliani operano una forte selezione dei temi, scartando quelli politici, satirici, morali e concentrandosi solo sulla tematica amorosa, ma soprattutto rifiutano la lingua d'oc e adottano il volgare siciliano. Tale prerogativa trova la sua spiegazione nel disegno politico federiciano, il quale mira a rendersi indipendente dalla cultura ecclesiastica e a sottomettere le autonomie locali del nord Italia, alle quali manca la spinta a produrre un genere lirico in un volgare che non sia il provenzale. Ne consegue che tra il 1230 circa e il 1250 (anno della morte di Federico) la magna curia (e cioè, il consiglio reale composto dai più alti funzionari e dai più eminenti nobili del Regno, che svolge anche funzioni giuridiche) si presta ad essere la sede non solo di un modello statale accentrato che mira a sottomettere i poteri guelfi e le autonomie locali del Regno italico, ma anche di un'attività culturale colta e raffinata, in cui viene modellato un siciliano illustre sul calco latino e provenzale.
Gli esponenti di questa corrente letteraria, che dagli storici è stata definita Scuola siciliana (in quanto presenta dei caratteri stilistici programmatici), oltre allo stesso imperatore Federico, del quale ci è rimasto un solo componimento, sono gli stessi funzionari di corte, primo tra tutti Giacomo da Lentini, noto anche come Jacopo o meglio ancora come “il Notaro”, la cui opera rappresenta la parte più cospicua della produzione lirica siciliana: trentotto componimenti tra canzonette, canzoni, sonetti e un discordo. Altra personalità di spicco è quella di Guido delle Colonne, del quale restano cinque componimenti, seguito da Rinaldo d'Aquino e Giacomino Pugliese, probabili iniziatori della Scuola. Vanno inoltre ricordati Pier della Vigna, al quale Dante dedicherà il canto XIII dell'Inferno, Jacopo Mostacci, promotore della famosa tenzone sulla natura di Amore, Stefano Protonotaro e Mazzeo di Ricco.