Questo sonetto fa parte della raccolta poetica Rime di Alfieri, e riporta la data del 14 Agosto 1786.
Lo scrittore in questi versi tratta il tema della presenza di due passioni, opposte e contrastanti, all’interno del suo essere: l’ira e la malinconia. Quest’ultimo sentimento, che a prima vista può sembrare più innocuo, avvicinando il poeta al pensiero della morte e sfuggendo al suo controllo, diventa nocivo all’attività di scrittore, poiché mitiga, fino a farlo scomparire, l’ardore poetico. L’ira invece, al contrario, si ripercuote solo sul poeta stesso, e non ha nessun effetto sugli altri o sulla sua produzione letteraria.
Dal punto di vista metrico ritroviamo i tratti tipici del sonetto: quattordici versi endecasillabi divisi in due quartine e due terzine, la rima segue lo schema: ABAB ABAB CDC DCD.
Due fere donne, anzi due furie atroci,
tor non mi posso (ahi misero!) dal fianco.
Ira è l’una, e i sanguigni suoi feroci
serpi mi avventa ognora al lato manco;
malinconia dall’altro, hammi con voci
tetre offuscato l’intelletto e stanco:
ond’io null’altro che le Stigie foci
bramo, ed in morte sola il cor rinfranco.
Non perciò d’ira al flagellar rovente
cieco obbedisco io mai; ma, signor d’essa,
me sol le dono, e niun fuor ch’io la sente.
Non dell’altra così: che appien depressa
la fantasia mi tien, l’alma, e la mente...
A chi amor non conosce, insania espressa.