pessimismo
confronto tra leopardi e schopenauer
il 23 Settembre 2014, da aleclem SCAVELLO
Raggiunta la fase del pessimismo cosmico, Leopardi si rende conto che la natura mira esclusivamente alla conservazione della specie e, per raggiungere questo fine, può anche sacrificare il bene del singolo e generare sofferenza. Il male rientra quindi nel piano stesso della natura: è Lei che ha messo nell'uomo il desiderio di felicità infinita (un piacere che sia infinito per estensione e durata) senza dargli i mezzi per soddisfarlo. Come vediamo nel "Discorso della Natura e di un Islandese", ormai Leopardi concepisce la natura come un meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle creature (approdando così ad una nuova concezione meccanicistica e materialistica). E' possibile quindi associare la "natura matrigna" leopardiana alla Volontà schopenhaueriana, ovvero la forza cieca che governa il mondo mirando solo al proprio perpetuarsi, motivo principale della tragicità dell'esistenza umana: bisogni, desideri, ideali che ci muovono non sono che maschere con cui la volontà ci nasconde il suo vero volto; la sofferenza e il dolore umano dipendono allora dai nostri impulsi insoddisfatti, e il mondo in cui viviamo non è il "migliore tra quelli possibili" (come affermava Leibniz) perché la Storia non è progresso ma ripetizione ciclica del nostro disagio esistenziale (come afferma lo stesso Leopardi). Tuttavia, dice Schopenhauer, abbiamo abbastanza intelligenza da renderci conto del nostro stato di servitù nei confronti della Volontà, della negatività a cui è destinata qualsiasi vita; partendo da questo presupposto, è possibile liberarsi da tale condizione in tre modi: - attraverso la giustizia, ponendo fine alla lotta tra individui (anche Leopardi in questo senso inneggia, soprattutto nella "Ginestra", alla cosiddetta "social catena"; se gli uomini raggiungessero la consapevolezza della loro misera condizione e capissero che la colpa è da attribuire esclusivamente alla natura, si coalizzerebbero in una social catena contro il nemico comune, cioè la natura, creando una società più giusta e civile, e eliminando quell'infelicità "addizionale" che nasce dall'ostilità degli altri uomini); - attraverso la bontà/compassione, superando il principio di individuazione; - attraverso l'ascesi, ovvero la conversione dalla volontà alla non-volontà, che conduce alla pura contemplazione della realtà ed è la nuova e definitiva coscienza filosofica (anche questo concetto è ricollegabile al Leopardi del pessimismo cosmico, dove il suo ideale non è più l'eroe antico teso a generose imprese, ma il saggio antico; infatti, quest'ultimo è caratterizzato dall'atarassia, ovvero il distacco imperturbabile dalla vita). Infine, un altro tema in comune tra Leopardi e Schopenhauer è quello della noia (o tedio): motivo del "Canto Notturno di un Pastore Errante dell'Asia", dal punto di vista leopardiano si tratta del peggiore dei mali, ma anche del sentimento più nobile, in quanto nasce solo quando l'uomo avverte l'insufficienza e l'insoddisfazione delle cose di fronte alla forza immaginativa di cui è capace. Invece secondo Schopenhauer, questa si manifesterebbe ad intervalli tra un desiderio e un altro; anche quando l'uomo non vive nel bisogno, subentra la noia, per questo «La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente fra noia e dolore, con intervalli fugaci, e per di più illusori, di piacere e gioia».