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"Adelchi" di Manzoni, atto IV: parafrasi e commento della morte di Ermengarda

Analisi e spiegazione dell'atto IV della tragedia Adelchi di Alessandro Manzoni, a cura di Alessandro Mazzini.
 
L'atto IV di Adelchi si apre con la tragedia di Ermengarda, un punto particolarmente drammatico dell'economia dell'opera. Ermengarda è stata trasportata presso il convento di Brescia, presso la sorella monaca, Ansberga, e viene accolta, prostrata dalla sofferenza a seguito del ripudio che ha subito da parte di re Carlo. Il personaggio di Ermengarda viene costruito da Manzoni con lo scopo di mettere in evidenza gli aspetti più conflittuali dell'animo umano e una dimensione di tensione emotiva, unica nell'insieme della produzione manzoniana. Ermengarda mostra alla sorella, una volta giunta in convento, la volontà di distaccarsi dal mondo. Afferma di essersi staccata dalla passione per Carlo, anche se una serie di indizi rivelano che si tratta in realtà di una maschera. Manzoni mette in luce le strategie che l'animo umano usa per ingannarsi, e difendersi dalla sofferenza. Ermengarda desidera un ultimo messaggio da Carlo ed essere sepolta con l'anello nuziale. La donna rifiuta di entrare in convento e farsi monaca, dichiarando esplicitamente che il suo cuore appartiene a un altro. La sorella si lascia sfuggire la notizia del nuovo matrimonio di Carlo, facendo cadere la maschera dell'indifferenza che Ermengarda aveva assunto. Ermengarda si abbandona al delirio, immaginando di parlare con Carlo, e lascia libero sfogo alla passione. C'è una violenza nello scoppio dei sentimenti della donna, che stupisce, soprattutto in un autore così sorvegliato come Manzoni.
 
Si vede come l'autore abbia in questo episodio scoperto le dinamiche profonde della psiche, i suoi meccanismi difensivi e anche quella dimensione autodistruttiva che la passione comporta per l'individuo. Il dramma d'amore si sviluppa in un contesto di quotidianità, come la vicenda di un matrimonio. Infatti, è significativo che la passione rimossa sia l'amore, e che questa venga rappresentata in modo da non farla condividere al lettore e allo spettatore. Ermengarda confessa di provare un amore che è tremendo. Questo tema dell'eccesso sarà ripreso nel coro dell'atto IV. Un altro aspetto importante è il fatto che sia Ermengarda, sia il fratello Adelchi si configurano come "figura Christi", come una sorta di figura di Cristo. Come colei che muore innocente, vivendo un dolore tremendo. Con questa sofferenza viene saldato un debito che l'uomo contrae misteriosamente con Dio.
 
Alessandro Mazzini è professore di Greco e Latino presso il Liceo Classico Manzoni. Si è laureato in Letteratura Greca con il professore Dario Del Corno presso L'Università degli Studi di Milano. Ha collaborato con riviste di divulgazione culturale e ha insegnato per 10 anni Lingua e Letteratura Italiana e Lingua e Letteratura Greca presso il Liceo della Scuola Svizzera di Milano. Dal 2001 è ordinario di Italiano e Latino nei Licei e dal 2003 ordinario di Greco e Latino al Liceo Classico.
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L'atto IV di Adelchi si apre con la tragedia di Ermengarda, un punto particolarmente drammatico nell'economia della tragedia. Ermengarda è stata trasportata nel convento di Brescia, presso la sorella monaca, Ansberga, e viene accolta, completamente prostrata dalla sofferenza a seguito del ripudio che ha subito da parte di re Carlo. Il personaggio di Ermengarda viene costruito da Manzoni chiaramente con lo scopo di mettere in evidenza gli aspetti più conflittuali dell'animo umano e una dimensione di tensione emotiva, che in effetti è unica nell'insieme della produzione manzoniana. Ermengarda mostra alla sorella, quando è giunta in convento, la volontà di distaccarsi dal mondo. In effetti afferma di essersi ormai staccata dalla passione per Carlo, anche se una serie di indizi mostrano che si tratta in realtà di una maschera per Ermengarda. Manzoni, qui sempre attento all’indagine dei meandri dell’animo umano, mette in luce una serie di strategie che la coscienza umana mette in campo appunto per ingannarsi, per autoingannarsi o di difendersi dalla sofferenza. In effetti dichiara Ermengarda di essersi distaccata da Carlo e però vorrebbe che gli giungesse un ultimo messaggio di voler essere sepolta con l'anello nuziale. E alla proposta della sorella di entrare in convento la donna rifiuta perchè dichiara di appartenere ad un altro. I versi mettono in effetti in luce proprio questa intima contraddizione tra ciò che Ermengarda afferma e ciò che Ermengarda vive. Infatti davanti alla proposta della sorella di entrare appunto in convento Ermengarda dice: “ Felici voi!”, rivolgendosi alle monache, “felice qualunque, sgombro di memorie il core al Re de' regi offerse, e il santo velo sovra gli occhi posò, pria di fissarli In fronte all'uom! Ma - d'altri io sono.” Quindi felice chi ha potuto offrire il proprio cuore verginale a Dio, ma Ermengarda questo non può farlo, perchè nonostante quello che ha detto in precedenza, qui esplicitamente dichiara di essere di altri e aggiunge: “ma quella via, su cui ci pose il ciel, correrla intera convien, qual ch'ella sia, fino all'estremo.” Questi versi mostrano un altro aspetto del personaggio di Ermengarda, o meglio anticipano un aspetto del personaggio di Ermengarda che è stato sviluppato nel coro dell’atto quarto. E cioè il fatto che Ermengarda, come il fratello Adelchi, si configura come una sorta di figura Christi, una sorta di figura di Cristo: colei che muore innocente, muore vivendo un dolore tremendo, pur innocente, ma in qualche modo con questa sofferenza saldando un peccato, saldando un debito che l'uomo contrae misteriosamente con Dio. Ora Ermengarda appunto dichiara, pur in queste contraddizioni, di essersi ormai staccata dal mondo. In realtà però la sorella si lascia sfuggire che Carlo contrae un nuovo matrimonio. Alla notizia del nuovo matrimonio la maschera dell'indifferenza, la maschera del distacco dal mondo che Ermengarda aveva assunto, cade, cade drammaticamente ed  Ermengarda cadendo in un delirio, durante il quale immagina di parlare con Carlo, perdendo proprio la cosapevolezza di sè, lascia libero sfogo alla passione. Un elemento questo che veramente è unico nella produzione manzoniana. Lascia sfogo alla passione che si fa delirio e abbiamo versi che sono estremamente drammatici. Immaginando di rivolgersi a Carlo dice: “Amor tremendo è il mio. Tu nol conosci ancora; oh! tutto ancora non tel mostrai; tu eri mio: secura nel mio gaudio io tacea; né tutta mai questo labbro pudico osato avria dirti l'ebbrezza del mio cor segreto.” C'è una violenza nello scoppio dei sentimenti, nella passione che qui dimostra Ermengarda che lascia veramente stupefatti, soprattutto in un autore così sorvegliato sotto questo aspetto come Manzoni. E si vede come Manzoni abbia in qualche modo qui individuato, scoperto le dinamiche profonde della psiche, i suoi meccanismi difensivi e anche quella dimensione autodistruttiva che la passione, e la passione d’amore in particolare, comporta per l'individuo. E’ significativo che questo dramma d’amore origini in un contesto di quotidianità, come è appunto una vicenda legata ad un matrimonio, una vicenda coniugale. Infatti, è significativo che la passione rimossa sia quella dell'amore, e che questa sia rappresentata in modo da non farla condividere al lettore e allo spettatore, proprio secondo quella linea di pensiero che si è visto essere esposta nella discussione sui principi che apre il tomo secondo del Fermo e Lucia. Ermengarda quindi confessa di provare un amore che è tremendo e proprio questo "tema dell’eccesso" vedremo che sarà ripreso nello splendido coro dell’atto quarto “Sparse le trecce morbide sull'affannoso petto”.