In questa lezione vedremo come un esperimento datato 1887 permise a Hertz e Hallwachs di scoprire la natura corpuscolare della luce. Ebbene sì, corpuscolare. “Ma la luce è un’onda”, obietterete voi. La risposta è sì. Il fatto è che alcuni fenomeni naturali – secondo l’interpretazione della fisica moderna – possiedono allo stesso tempo caratteristiche ondulatorie e corpuscolari. Questa ambivalenza ci permette di trarre vantaggio, a seconda della situazione, dell’una o dell’altra natura. La luce è uno di questi fenomeni naturali ambivalenti, come stiamo per andare a vedere.
Abbiamo già visto in altre lezioni che i metalli sono un’ottima miniera di elettroni! La loro particolare struttura vede un’elevatissima mobilità di questi ultimi lungo la superficie del materiale, rispetto invece ai nuclei degli atomi che si trovano ben saldi all’interno della struttura. Un modo per estrarre elettroni da un metallo è – come abbiamo visto in elettromagnetismo – riscaldare un filo metallico. Un altro modo si ottiene invece investendo la superficie del metallo con una radiazione elettromagnetica di frequenza $\nu$ (visibile, o ultravioletta). Se la frequenza della radiazione incidente è opportuna, il metallo emette elettroni. L’emissione di elettroni da un metallo esposto a radiazione elettromagnetica prende il nome di effetto fotoelettrico.
Esaminiamo cosa accade quando un metallo viene investito da radiazione elettromagnetica avente frequenza $\nu$ e intensità $\mathcal{I}$. Sperimentalmente si verifica quanto accade:
- Vengono emessi elettroni soltanto se $\nu > \nu_0$, dove $\nu_0$ è una frequenza caratteristica del materiale;
- L’energia cinetica massima degli elettroni emessi $K_{\rm max}$ è proporzionale a $\nu$ : $K_{\rm max} \propto \nu - \nu_0$. $K_{\rm max}$, inoltre, non dipende dall’intensità della radiazione incidente $\mathcal{I}$;
- Il numero di elettroni emessi per secondo e per ${\rm cm}^2$ è proporzionale a $\mathcal{I}$.
Questi tre fatti non possono essere interpretati alla luce della fisica classica.
Prima di procedere all’interpretazione di questi tre risultati empirici, vediamo come può esserci d’aiuto l’analisi della realizzazione sperimentale dell’effetto fotoelettrico a opera del fisico tedesco Philipp Lenard nel 1902.
$$ \textit{Figura }1 $$L’esperimento è schematizzato dal circuito in Fig.1. Due armature metalliche sono posizionate in un tubo a vuoto (omesso per semplicità) e su una di esse (quella a destra, in figura) incide radiazione elettromagnetica avente frequenza $\nu$ e intensità $\mathcal{I}$, la quale libera elettroni ($e$) dalla superficie dell’armatura. Il flusso di elettroni così generato dà origine a una corrente di intensità $I$ nel circuito, che viene misurata da un amperometro. Tra le due armature viene mantenuta attraverso una batteria una differenza di potenziale $\Delta V$, che può essere variata a piacimento grazie a un resistore variabile $R$. Si misura – per due valori diversi di intensità di radiazione incidente $\mathcal{I}$ – l’intensità di corrente $I$ passante nel circuito al variare della differenza di potenziale $\Delta V$ tra le armature. Il risultato è in Fig. 2.
$$ \textit{Figura }2 $$Si nota che – per un valore fisso di $\mathcal{I}$ – all’aumentare di $\Delta V$ l’intensità di corrente $I$ satura verso un valore limite che è proporzionale all’intensità di radiazione incidente $\mathcal{I}$. Invece, facendo variare $\Delta V$ in maniera tale da arrestare il flusso di elettroni – ossia fino ad ottenere $I = 0$ – si scopre che esiste un valore particolare, $\Delta V \equiv - V_0$ in corrispondenza del quale la corrente si annulla per ogni intensità del fascio incidente $\mathcal{I}$. Questo particolare valore della differenza di potenziale viene detto potenziale d’arresto e non dipende dall’intensità della radiazione incidente.
Applicazione Calcoliamo la relazione che sussiste tra $V_0$ e l’energia cinetica massima di un elettrone $K_{\rm max}$.
Consideriamo la Fig.1. L’armatura “negativa” 1(ossia quella tenuta a potenziale $V = 0$ dalla messa a terra) viene irraggiata. Di conseguenza si verifica un flusso di elettroni da quest’armatura verso quella “positiva” (che si trova a potenziale $\Delta V$ – il potenziale dell’armatura di destra viene tenuto sempre a zero grazie alla messa a terra). Gli elettroni vengono emessi con diversa energia cinetica, che va da un valore minimo a un valore massimo $K_{\rm max}$. Consideriamo di essere al potenziale d’arresto, ossia $\Delta V = - V_0$. Questo è il caso in cui non viene misurata corrente dall’amperometro. Ciò significa che anche gli elettroni più veloci vengono arrestati nel momento in cui giungono alla seconda armatura (quelli meno veloci sono stati già del tutto arrestati). Applichiamo il teorema dell’energia agli elettroni più rapidi. Si ha$$ \begin{array}{l}\Delta K + \Delta U = 0 \\\Delta K - e \Delta V = 0 \end{array}$$Da cui, essendo $\Delta K = - K_{\rm max}$ si ottiene$$K_{\rm max} = e | V_0 |$$ossia l’energia cinetica massima è proporzionale al potenziale di arresto $V_0$. Questo risultato permette quindi di misurare $K_{\rm max}$ attraverso la misura di $V_0$. Diamo adesso un’occhiata alla Fig.2: il potenziale di arresto $V_0$ non dipende dall’intensità $\mathcal{I}$. Essendo esso proporzionale a $K_{\rm max}$, si ha che l’energia cinetica massima degli elettroni emessi non dipende dall’intensità $\mathcal{I}$ del flusso di radiazione incidente.
Questo risultato e l’esistenza di una soglia in frequenza per l’emissione di elettroni vanno contro quel che può spiegare la fisica classica. Secondo l’approccio classico, infatti, la radiazione è rappresentata da un campo elettrico $\vec{E}$ e l’intensità della radiazione $\mathcal{I}$ è proporzionale al suo modulo quadro: $\mathcal{I} \propto E^2$. In presenza di radiazione incidente, ossia di un campo elettrico, gli elettroni della placca metallica investita – se l’energia è sufficiente a far superare loro il potenziale di estrazione – abbandonano la piastra e acquisiscono energia cinetica.
Da questo ragionamento puramente classico (dove la frequenza della radiazione non interviene in alcun modo) ci si aspetta piuttosto che esista una soglia sull’intensità $\mathcal{I}$ affinché gli elettroni superino la barriera di potenziale che li tiene legati alla struttura del metallo. L’esistenza empirica, invece, di una soglia sulla frequenza della radiazione incidente non è spiegabile. L’esistenza di questa soglia $\nu_0$ è evidenziata dalla Fig. 3 che mostra la misura del potenziale di arresto in funzione della frequenza. Si vede chiaramente che esiste una frequenza minima $\nu_0$, a partire dalla quale si ha emissione di elettroni (vista in altro modo, a partire dalla quale per fermare l’emissione di elettroni è necessario un potenziale di arresto 2$V_0 > 0$).
$$ \textit{Figura }3$$Continuando il nostro ragionamento classico, anche l’energia cinetica massima dovrebbe dipendere da $\mathcal{I}$, cosa che invece non avviene. Ci si rende quindi conto che l’approccio classico cessa di essere utile davanti a questo nuovo fenomeno.
L’idea innovativa di Einstein, una generalizzazione della scoperta di Planck in merito alla radiazione di corpo nero, è stata quella di intuire che l’energia della radiazione elettromagnetica fosse quantizzata (in quanti elementari $h \nu$, dove $h$ è detta costante di Planck e $\nu$ la frequenza della radiazione incidente) non soltanto nell’interazione radiazione-materia (come nel caso del corpo nero), bensì lo fosse sempre, anche quando viaggia libera nello spazio. I portatori di questo quanto di energia vengono detti fotoni. Inoltre bisogna considerare che l’interazione fotone-elettrone avviene sempre $1:1$, ossia è sempre un solo fotone a interagire con un solo elettrone. Vediamo come questa idea permette di spiegare tutti i risultati empirici descritti sopra.
Immaginiamo di avere un fotone che interagisce con un elettrone. L’elettrone potrà lasciare il metallo se l’energia ricevuta $h \nu > W_0$, dove $W_0$ è il lavoro di estrazione dell’elettrone dal metallo. Questa semplice osservazione permette di ricavare subito l’osservazione empirica numero uno, in quanto segue$$\nu > \frac{W_0}{h} \equiv \nu_0$$Se questa diseguaglianza è verificata, l’elettrone può lasciare il metallo con un’energia (cinetica) che al più può essere uguale (in caso di assenza di dissipazioni) a$$K_{\rm max} = h \nu – W_0 = h (\nu - \nu_0)$$Il che fornisce una spiegazione al secondo punto empirico. La spiegazione conferma la misura sperimentale di $V_0$ in funzione di $\nu$ in Fig.3 3.
Infine, variando l’intensità $\mathcal{I}$ della radiazione incidente, il numero di fotoni incidenti per secondo e per superficie unitaria cambia. Siccome ogni fotone interagisce $1:1$ con un elettrone, cambierà anche il numero di elettroni emessi. Questo spiega il terzo punto empirico. Tuttavia, bisogna notare che dalle formule ottenute qui sopra l’energia dei quanti di luce $h \nu$, e quindi anche l’energia degli elettroni emessi, non dipende dall’intensità della radiazione.
Tutto chiaro? Proviamo a ricapitolare schematicamente il tutto:
- La luce ha dei costituenti elementari, detti fotoni
- I fotoni hanno energia pari a $h \nu$
- Ogni fotone interagisce $1:1$ con un elettrone
Queste tre assunzioni permettono di determinare che, nell’interazione radiazione-metallo:
- vengono emessi elettroni se $\nu > \nu_0$
- con energia cinetica massima $K \propto \nu$
- $K$ non dipende dall’intensità del fascio $\mathcal{I}$
- $\mathcal{I}$ fa solo variare il numero di elettroni emessi
Con l’idea del tutto rivoluzionaria che la luce sia costituita da energia quantizzata sotto forma di fotoni, Einstein sottolinea, grazie all’effetto fotoelettrico, che l’interpretazione classica dell’interazione luce-materia ha delle limitazioni così forti che non riescono a spiegare l’evidenza sperimentale.
Questo accade molte volte in Fisica, e mostra appunto che la Fisica è una maniera di interpretare il mondo: ogni modello fisico è utile a modellizzare un certo numero di fenomeni. Certo, più fenomeni un modello può spiegare più “celebre” e “buono” esso è; tuttavia i limiti di un modello ci ricordano appunto che la Fisica si occupa di studiare modelli della natura, approssimazioni, in quanto non ci sarà mai dato sapere “come le cose funzionano veramente”.
Bibliografia essenziale
Amaldi, La Fisica per i Licei Scientifici, Bologna, Zanichelli, voll. 2 e 3, 1999
Marmo et al., From Classical to Quantum Mechanics, Cambridge, Cambridge Universtity Press, 2004
A. Einstein, L. Infeld, L’evoluzione della Fisica, Torino, Bollati Boringhieri, 2010
F. Nicodemi, Appunti di Meccanica Quantistica
R.A. Millikan, Phys. Rev. 7, 355–88 (1916), (c) the American Physical Society, 1916
1 La convenzione di chiamarla “negativa” ha senso perché essa si trova a potenziale inferiore rispetto a quella di sinistra (detta, per questo, “positiva”) nel momento in cui $\Delta V > 0$. La convenzione perde di senso nel momento in cui $\Delta V < 0$.
2 Si noti che, per come è stata definita, la quantità $V_0$ è sempre positiva.
3 Essendo $V_0$ proporzionale a $K_{\rm max}$.