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Aristotele: l'anima, la fisica degli organismi e l'intelletto

Per Aristotele gli organismi sono composti di due diversi tipi di parti costitutive: le parti omeomere, cioè quelle parti che se suddivise danno luogo ad altre parti simili, e le parti non omeomere, cioè non omogenee. La maggiore complessità in un essere naturale è data dal maggior numero di parti non omeomere, perchè più parti non omeomere un vivente ha, più funzioni svolge. In ottica teleologica, sono le funzioni proprie di una specie a richiedere determinati organi, non gli organi a causare la nascita delle funzioni.

Della filosofia della natura, per Aristotele, fa parte anche la psicologia: l’anima è appunto ciò che anima un essere vivente, cioè è "entelechìa" di un corpo che ha la vita in potenza; l’entelechìa è la tensione interiore che ha una sostanza, nello specifico un organismo, a realizzare se stesso passando dalla potenza all’atto. Nei termini della metafisica aristotelica, l’anima è atto: la funzione del corpo è quella di vivere e di pensare, l’atto di questa funzione è l’anima.

Secondo Aristotele anima e corpo, come forma e materia, atto e potenza, non sono due entità separate, quindi a ogni funzione psichica corrisponde un processo fisiologico: l’anima è un’abilità fisica. Inoltre, l’anima è definita dalle sue funzioni (nutrizione, percezione, pensiero, movimento) e ha tre livelli funzionali possibili (vegetativo, sensitivo e intellettivo). Le piante hanno solo il primo, gli animali il primo e il secondo, gli uomini tutti e tre. L’intelletto è la capacità di giudicare le immagini provenienti dai sensi e dall’immaginazione come vere o false, buone o cattive; l’intelletto le approva o le disapprova, le desidera o le fugge. Nello scritto sulla Generazione degli animali, Aristotele sostiene che l’intelletto viene all’uomo dall’esterno, e cioè che è divino. Nel De anima, Aristotele distingue tra quelli che poi saranno chiamati intelletto attivo e intelletto potenziale: l’intelletto attivo, dice Aristotele, è impassibile, non commisto, immortale ed eterno, e fa passare in atto le verità che nell’intelletto potenziale sono solo in potenza. La natura e la posizione dell’intelletto attivo di Aristotele saranno oggetto di un corposo dibattito nella Storia della filosofia.

Jacopo Nacci, classe 1975, si è laureato in filosofia a Bologna con una tesi dal titolo Il codice della perplessità: pudore e vergogna nell’etica socratica; a Urbino ha poi conseguito il master "Redattori per l’informazione culturale nei media". Ha pubblicato due libri: Tutti carini (Donzelli) e Dreadlock (Zona). Attualmente insegna italiano per stranieri a Pesaro, dove risiede.