Nel suo vasto e complesso sistema concettuale, Hegel (1770-1831) assegna un ruolo centrale allo Spirito, come negazione della Natura (a sua volta negazione dell’Idea): questa dialetttica di tesi-antitesi-sintesi (per cui “il razionale è reale” e “il reale è razionale”) si dispiega e si comprende nella Storia, retta e dominata dalla volontà divina che in essa di manifesta pienamente. L’“astuzia della natura” introduce il finalismo nel mondo attraverso il lavoro umano, mentre l’“astuzia della ragione” opera alle spalle dell’apparente casualità degli eventi o l’iniziativa dei singoli (come nel caso delle passioni, per mezzo delle quali, per Hegel, lo spirito si realizza nella Storia).
La dialettica triadica è così insita ed implicita in ogni fenomeno e in ogni manifestazione: così la Fenomenologia dello spirito (1807) può essere letta come l’epopea della dialettica, secondo alcune tappe fondamentali, come la dialettica servo-padrone e la "coscienza infelice". La Filosofia dello Spirito (terza parte dell’Enciclopedia delle scienze filosofiche del 1817) suddivide poi lo Spirito in Spirito soggettivo (e cioè, individuale), Spirito oggettivo (oppure sociale) e Spirito assoluto (autocompreso). Nel primo momento, è l’Antropologia che si occupa dello studio dell’anima, intesa come connessione di natura e spirito; a questa seguono la fase di coscienza (Fenomenologia) e autocoscienza (Psicologia, che segna la nascita dello spirito soggettivo, realizzato pienamente nello “spirito libero”). Lo Spirito oggettivo (e le istituzioni sociali che vi corrispondono, come spiegato nei Lineamenti di filosofia del diritto del 1821) si tripartiscono invece in Diritto (la libertà della persona presa in astratto), Moralità (l’interiorizzazione del volere quasi kantiana) ed Eticità (libertà consapevole, nei tre momenti della Famiglia, della Società e dello Stato, che è la forma più alta di verità oggettivizzata). Infine, lo Spirito assoluto si compone di Arte, Religione e Filosofia, tre branche che hanno il medesimo contenuto, ovvero l’Assoluto. La prima lo coglie per mezzo dell’intuizione sensibile, la seconda lo rappresenta, la terza lo fissa nelle forme del concetto.
Jacopo Nacci, classe 1975, si è laureato in filosofia a Bologna con una tesi dal titolo Il codice della perplessità: pudore e vergogna nell’etica socratica; a Urbino ha poi conseguito il master "Redattori per l’informazione culturale nei media". Ha pubblicato due libri: Tutti carini (Donzelli, 1997) e Dreadlock (Zona, 2011). Attualmente insegna italiano per stranieri a Pesaro, dove risiede.