Jacopone nasce a Todi tra il 1230 e il 1236, dalla nobile famiglia dei Benedetti. Per buona parte della sua vita esercita la professione di notaio, finché nel 1268, in seguito alla tragica morte della moglie e alla scoperta sul suo corpo di un cilicio, si converte ad una vita di penitenza. Nel 1278, durante le lotte che contrappongono la fazione dei Conventuali a quella degli Spirituali, entra come fratello laico nell'ordine francescano e si schiera con questi ultimi. Dopo l'elezione di Bonifacio VIII viene perseguitato per le sue radicali prese di posizione contro le gerarchie temporali della Chiesa e nel 1297 subisce la scomunica. Nel 1298 è fatto prigioniero da Bonifacio nel carcere di un convento todino (San Fortunato), fino al 1303. Scrive violente invettive contro il papa, tra cui O papa Bonifazio, molt'hai iocato al monno, una ballata di doppi settenari strutturata come un'epistola, in cui questi viene apostrofato come “Lucifero novello” ( v. 51), “lengua de blasfemia” (v. 52) e “lengua macellara” (v. 59).
La polemica spirituale di Jacopone quindi, si esprime in questa lauda con particolare vigore: nella sua prospettiva spirituale egli rifiuta ogni coinvolgimento materiale o istituzionale della religione e attacca Bonifacio per la sua brama di ricchezze: “il vizio prolungato, diventa una seconda natura: ti sei preoccupato di procurarti ricchezze, ma non ti bastò soddisfare la tua fame in modo lecito, ti sei messo anche a rubare, rapinando come uno sgherro” (vv. 11-14). Il tono sarcastico di tutto il componimento è determinato da un lessico mutuato da svariati contesti culturali (civili ed ecclesiastici), dall'utilizzo insistente di forti allitterazioni, con una predilezione per le doppie consonanti. “Quando celebrasti la prima messa, la terra fu oscurata dalle tenebre e in chiesa non rimase accesa una candela, si levò una gran tempesta proprio là dove tu stavi celebrando” (vv. 35-38). Jacopone propone qui lo schema del miracolo evangelico per mettere in risalto i segni della condanna divina: l'oscuramento del cielo riconduce al racconto della morte di Cristo e la tempesta simboleggia l'intervento di Dio, così come per i successivi versi che continuano a descrivere i segni che funestano l'incoronazione del papa. Oltre ad incarnare la figura di un nuovo Lucifero, Bonifacio è un sacrilego, che si prolunga la vita praticando la magia. E in ultimo, “non c'è chi ricordi un altro papa che si sia divertito al tuo pari in faccende mondane, come se fossi senza timore di Dio, per cui o tu (Bonifacio) disperi della salvezza o sei un eretico” (vv. 79-82).