Il pensiero di Aristotele di Stagira (384/383 a.C. - 322 a.C.) si caratterizza come uno dei veri e propri capisaldi della riflessione filosofica occidentale, al pari di quello dell’Accademia platonica, che Aristotele stesso ha frequentato, poi distaccandosene, alla morte del suo fondatore. Gli interessi aristotelici spaziano attraverso molte discipline, ma si concentrano con particolare cura su un approccio empirico alle discipline scientifiche (la fisica, la botanica, la zoologia) per le quali Aristotele è, per molti aspetti, un fondatore e un precursore, soprattutto per quanto concerne le questioni metodologiche. Contrariamente alla dottrina della conoscenza di derivazione platonica, Aristotele tiene a sottolineare sempre le differenze che compongono il reale di fronte ai nostri occhi; quest’ultimo, anziché essere copia di un’idea originale, è invece inteso come un campo di analisi da parte del filosofo, che deve sempre aver a mente il senso delle distinzioni tra gli enti e i fenomeni che osserva.
A partire da queste premesse, non sorprende l’attenzione scrupolosa con cui Aristotele classifica le scienze (“Tre sono, di conseguenza, le branche della filosofia teoretica: la matematica, la fisica e la teologia. Non è dubbio, infatti, che se mai il divino esiste, esiste in una realtà di quel tipo. E non è dubbio, anche, che la scienza più alta deve avere come oggetto il genere più alto di realtà”), e l’elaborazione di una strumentazione teorica adatta al suo scopo. Così, ad esempio, Aristotele nelle sue pagine degli Analitici si preoccupa di precisare natura e finalità del procedimento sillogistico:
Chiamo dimostrazione il sillogismo scientifico, e scientifico chiamo poi il sillogismo in virtù del quale, per il fatto di possederlo, noi abbiamo scienza. Se il sapere è dunque tale, quale abbiamo stabilito, sarà pure necessario che la scienza dimostrativa si costituisca sulla base di premesse vere, prime, immediate, più note della conclusione, anteriori a essa, e che siano cause di essa: a questo modo, infatti, pure i principi risulteranno propri dell’oggetto provato.
I fondamenti di una scienza (in greco, episteme) non possono allora prescindere dalla correttezza e dalla precisione delle argomentazioni di chi “fa scienza” o di chi si occupa, come il filosofo, dei meccanismi del conoscere. Centrale, in tale impostazione del ragionamento, è quindi l’identificazione delle cause, da cui Aristotele fa dipendere l’intera impalcatura dell'Organon:
In tutti gli ambiti di indagine, dei quali ci sono principi, cause o elementi, è dal riconoscere questi che risultano il sapere e la scienza: riteniamo infatti di conoscere ciascuna cosa, quando ne riconosciamo le cause prime e i principi primi e siamo giunti ai suoi elementi. È perciò chiaro che anche per la scienza della natura si deve anzitutto cercare di stabilire ciò che concerne i principi.
Se per Aristotele, è il Nous ("intelletto") che ci permette di risalire, per via induttiva, agli assiomi fondamentali, questo percorso della conoscenza (che approda a dimostrare l’esistenza di un “Primo Motore” dell’universo) si articola e si estende a tutta la filosofia aristotelica, contaminando aspetti del suo ragionamento tendenzialmente lontani da logica e metodo d’indagine naturale. Infatti, anche un’opera presumibilmente tarda come il De anima (il titolo ovviamente è medievale) mostra come il metodo di Aristotele possa applicarsi anche ad una teoria dell’anima, di cui si ricerca la aitìa, la “causa”. E, coerentemente con il suo sistema che confuta al teoria platonica, si chiarisce che non esisterà una definizione comune e generale, ma che, anche in questo caso, bisogna privilegiare, in analogia con le figure geometriche, spiegazioni ed etichette precise:
È chiaro allora che una è la definizione di anima allo stesso modo che una è la definizione di figura. Difatti, come nel caso delle figure non esiste una figura oltre il triangolo e le figure che ne conseguono, così, nel caso delle anime, non esiste un’anima oltre a quelle dette. Si potrebbe certo formulare per le figure una definizione comune, la quale però sarà bensì applicabile a tutte, ma non sarà propria di nessuna figura, e lo stesso si potrebbe fare per le anime suddette. È perciò ridicolo, in questi e in altri casi, cercare la definizione comune, che non sarà la definizione propria di nessun ente e non sarà riferibile ad una specie appropriata e indivisibile, rinunciando a quest’ultima definizione.