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Leibniz, la monade e il “Discorso di metafisica”

Vita e opere

 

Gottfried Wilhelm von Leibniz nasce nel 1646 a Lipsia e si laurea in filosofia e giurisprudenza presso le università di Jena e Altdorf. Si avvia quindi alla carriera politico-diplomatica, coltivando nel frattempo interessi di filosofia naturalistica; dal 1668 al 1671 lavora come consigliere del principe elettore di Magonza e si dedica a testi giuridici e politici, nonché alle prime opere di fisica e logica. A Parigi, dove si reca nel 1672 per una missione diplomatica mirata a evitare l’invasione dell’Olanda da parte di Luigi XIV, entra in contatto con l’ambiente culturale della città francese e soprattutto approfondisce la propria conoscenza della filosofia cartesiana, della matematica e del pensiero di Blaise Pascal. A Parigi Leibniz soggiorna sino al 1676, quando poi passa al servizio della casata degli Hannover, con le mansioni di bibliotecario e di consigliere: questo incarico gli permetterà di mantenere vivi in contatti con intellettuali e filosofi europei, il cui frutto è il mastodontico carteggio del filosofo, composto all’incirca di quindicimila lettere. Viene infine accolto nella prestigiosa Royal Society inglese. Negli anni seguenti, Leibniz si impegnerà in un utopico progetto per la pace religiosa in Germania e per l’unità dei principi tedeschi; suo maggiore successo sarà la fondazione, nel 1700, dell’Accademia prussiana delle Scienze a Berlino. Gotthold Wilhelm Leibniz muore nel 1716 ad Hannover.

Oltre che per il pensiero filosofico, il contributo di Leibniz è stato rilevantissimo anche per le scienze matematiche: il pensatore tedesco, infatti, giunge per primo alla scoperta del calcolo infinitesimale, anche se divulgherà i risultati delle proprie ricerche solo nel 1684, venendo accusato da Newton e dalla Royal Society (di cui Newton era presidente) di plagio, benché Leibniz, oltre a giungervi autonomamente, avesse utilizzato un sistema di notazioni più preciso.

Il suo scritto filosofico più famoso, il Discorso di metafisica, è del 1686; negli anni successivi scrive poi, senza pubblicarli, Il nuovo sistema della natura e della comunicazione delle sostanze, i Principi della natura e della grazia fondati sulla ragione, la Monadologia, e i Nuovi saggi sull’intelletto umano, in cui critica il Saggio sull’intelletto umano di Locke del 1690.

 

Pensiero e tematiche

Mondo, idee e sostanza individuale

 

Leibniz nel suo Discorso di metafisica teorizza l’esistenza di un ordine libero e spontaneamente organizzato, contrapposto all’ordine necessario e determinato della filosofia di Baruch Spinoza. L’ordine pensato da Leibniz nasce infatti da una scelta operata da Dio tra i vari ordini possibili dell’universo che risulta quindi essere la migliore, anche in virtù della possibilità stessa della scelta intrinseca all’ordine. Leibniz vuole quindi dimostrare che può esservi un ordine che non debba necessariamente implicare una necessità logica a priori, ma che possa essere desunta aposteriori. Le verità possibili possono essere pertanto per Leibniz di due tipi: le verità di ragione e le verità di fatto.

- Le verità di ragione ripetono, nel predicato, ciò che è stato espresso nel soggetto e sono fondate sul principio di non contraddizione e sul principio di identità. Le verità di ragione sono innate in quanto non derivano dall’esperienza e delineano il mondo della pura possibilità.

- Le verità di fatto sono quelle che riguardano la realtà, sono contingenti e fondate sul principio di ragion sufficiente. Parlare di ragion sufficiente significa però sottendere il concetto di causa finale, secodno l’impostazione teleologica della filosofia di Leibniz: infatti se Dio ha voluto creare il migliore dei mondi possibili è evidente che vi è un fine a fondamento di ogni scelta.

Il principio di ragion sufficiente serve anche a Leibniz come ponte per uno dei principali concetti alla base della sua filosofia: la sostanza individuale. Infatti, se nelle verità di fatto il predicato non è identico al soggetto, è pur vero che nel soggetto deve esserci la ragion sufficiente del predicato. Questo soggetto, che deve esser reale o esistente, è quello che Leibniz identifica con la sostanza individuale. L’uomo non può avere una conoscenza completa della sostanza individuale, ma solo quella determinata dall’esperienza, mentre Dio “la cui conoscenza è perfetta, è in grado di scorgere nella nozione di ogni sostanza la ragione sufficiente di tutti i suoi predicati” 1.

 

Dio e la monadologia

 

La sostanza individuale è l’entità costitutiva dell’ordine contingente ed è quindi necessario che anche i corpi fisici abbiano una forma sostanziale analoga alla sostanza individuale. Con il concetto di monade (dal greco monas, “uno, unico, singolo”), Leibniz riesce finalmente ad estendere il discorso sull’ordine contingente anche al mondo fisico, oltre che a quello spirituale.

Ma cos’è una monade? Si tratta di una sostanza semplice, priva di parti, inestesa, indivisibile ed eterna. Le monadi sono tutte diverse tra loro per il principio di identità degli indiscernibili 2, che implica che in natura non vi siano due esseri identici. Le monadi sono mondi chiusi - Leibniz li dice “privi di finestre” - e pertanto non possono subire influenza reciproca o la modifica indotta dall’esterno; le monadi sono una sorta di atomi psichici che, pur essendo chiusi in se stessi, sono legati tra di loro in quanto tutti sono aspetti del mondo. Tipica di ogni monade è l’attività rappresentativa. Le monadi rappresentano quindi l’intero universo in generale e distintamente il corpo di cui costituiscono la potenza attiva, o entelechia. L’attività delle monadi si sviluppa in due momenti: la percezione e l’appetizione, ovverossia il tendere da una percezione a un’altra. Leibniz, criticando la teoria della coscienza di Cartesio, afferma che vi è una distinzione tra “percezione”, tipica delle monadi più semplici (che operano quindi in maniera inconscia), e “appercezione”, che definisce la consapevolezza della percezione, ed è caratteristica dello spirito (detto anche anima ragionevole). Il grado delle percezioni delle monadi è ciò che determina il loro grado di perfezione, al cui apice si trova ovviamente Dio, monade delle monadi che rappresenta tutti i punti di vista possibili, di cui le singole monadi sono solo uno determinato.

La materia stessa, per Leibniz, risulta quindi essere un aggregato di monadi: infatti essa è infinitamente divisibile, ma i suoi elementi ultimi sono questi punti metafisici. Leibniz suddivide così la materia in materia prima e materia seconda. Con materia prima Leibniz si riferisce alla forza di inerzia insita nella monade; la materia seconda è invece la materia in senso stretto, l’aggregato di monadi, che quindi forma anche il corpo di uomini e animali, tenuto insieme dall’anima, o monade dominante. Pur non essendovi una vera e propria diversità tra le monadi del corpo e l’anima, ma solo una differenza di gradi, esse seguono delle leggi indipendenti: leggi meccaniche per le monadi e leggi finalistiche per l’anima.

Il problema del rapporto tra anima e corpo si configura quindi per Leibniz come problema di comunicazione reciproca tra monadi. Leibniz prospetta tre soluzioni:

1) Quella della filosofia volgare, che ammette l’influenza reciproca tra anima e corpo ma che così facendo si scontra con il carattere di incomunicabilità delle monadi.

2) Quella del sistema delle cause occasionali, che introduce unDeus ex machina che mantenga l’armonia, ma in questo modo si scontra in un fatto naturale in cui Dio non deve intervenire più che negli altri fatti della natura.

3) Quella della dottrina dell’armonia prestabilità - ovvero, la soluzione sostenuta da Leibniz - secondo la quale anima e corpo, pur seguendo leggi differenti, seguono un accorto stabilito da Dio nell’atto stesso di stabilire le leggi. La loro armonia è stata quindi prestabilita da Dio nella creazione e il corpo organico risulta essere una macchina divina, non direttamente influenzata da atti spirituali.

 

La fisica e il calcolo infinitesimale

 

La fisica leibniziana si fonda sulla legge della continuità, ovverossia quella legge secondo cui la natura non fa salti e pertanto il passaggio tra piccolo e grande prevede una serie di infiniti gradi intermedi. L’elemento originario della fisica è la forza, concetto tramite cui, con l’appoggio di dimostrazioni matematiche, Leibniz critica il principio cartesiano dell’invariabilità della quantità di movimento, sostituendo ad esso quello della conservazione della forza. Ciò che resta quindi costante nei corpi in un sistema chiuso è la quantita di azione motrice, definita da Leibniz “forza viva”, che indica come prodotto della massa per il quadrato della velocità. La forza viva comporta quindi un attività che non è movimento bensì una traslazione attraverso lo spazio. Leibniz, rivedendo i concetti di res cogitans e res extensa di matrice cartesiana, divide la forza in forza passiva e forza attiva:

- la forza passiva è la resistenza che il corpo oppone al movimento;

- la forza attiva è la tendenza all’azione del corpo.

In questo modo Leibniz sottointende ai principi della meccanica e leggi della fisica a un principio superiore e metafisico che li fonda e li origina. La scoperta leibniziana del calcolo infinitesimale è connessa idealmente alla concezione di ordine: infatti la continuitàpostulata tra le cose implica che si debbano poter considerare le differenze infinitesime tra i termini.

1 N.Abbagnano e G. Fornero, Filosofi e filosofie nella storia, Paravia, Torino 1992, pag. 262.

2 In accordo con questo principio, che polemizza contro la filosofia spinoziana, sostiene che non sia possibile che esistano due individui o due enti del tutto identici tra loro.