C’è poi un secondo filone mitico ed è quello dei personaggi più vicini per coraggio e ardimento agli dèi e, per questo, pronti a sfidarli: si tratta degli eroi.
Anche in questo caso, la matrice mitica la troviamo già nell’area mesopotamica e, precisamente, con la cosiddetta Epopea di Gilgamesh, l’eroe che è alla ricerca dell'immortalità. Egli supera varie prove, sfidando la morte contro i nemici del suo popolo, uccide il mostro Huwawa posto dagli dèi nella foresta dei cedri per spaventare i mortali, come pure il Toro del Cielo. Gli muore l’amico Endiku, che l’aveva in precedenza sostenuto e aiutato, ed allora, sconvolto dall'idea della morte, va in cerca dell’unico uomo che conosce il segreto dell'immortalità, Un-napishti (o Ut-napishtim), al quale il Dio della Tempesta Enlil, pentito dopo aver scatenato il diluvio, non solo aveva salvato la vita ma anche concesso l’immortalità.
Lo raggiunge, ma l’uomo gli dice che le circostanze in cui ha avuto l'immortalità sono uniche e irripetibili; in compenso gli spiega dove raccogliere in fondo al mare un’erba simile al biancospino, chiamata vecchio-ritorna giovane, da portare al suo popolo. Egli riesce a recuperarla in acqua ma, dopo il bagno, si assopisce sulla spiaggia ed un serpente gli ruba anche la Pianta della Giovinezza.
Il ritorno ad Uruk segna il suo insediamento da re nella città, ma egli dovrà fare i conti con limiti inviolabili della sua appartenenza al genere umano: il suo potere sarà limitato nel tempo - invecchierà e morirà - e la sua sovranità sarà limitata allo spazio circoscritto delle mura della città. Il potere umano è insieme sociale ma inevitabilmente effimero, aperto allo scacco della morte (Gilgamesh esclama: "Chi, mio amico, è superiore alla morte? | Solo gli dei vivono sempre sotto il sole | Per il genere umano contati sono i suoi giorni | Non raggiungono nulla se non il vento"). L’eroe sfida la morte, ma non la può evitare e la sua morte è anche il momento della sua celebrazione, la celebrazione delle sue doti straordinarie (la forza, il coraggio, l’intelligenza, l’astuzia) di sfida del limite; pertanto, eroica diventa anche la sua figura.
Il mito dell’eroe a proposito dell'umanità si affianca ai miti naturali e sovrannaturali, sul cosmo e gli dèi. Esso diventa uno strumento di approccio e di comprensione dell’uomo. Questo emerge anche nell’area greca, come si vede nella figura di Prometeo, che riguarda quella fase mitica in cui il divino non è più isolato in cielo ma incontra l’umano. Qui protagonisti nella tensione dèi/uomini sono Zeus e Prometeo, con la "dismisura" dell’eroe che ritarda il compiersi della Moira, del destino. Anche Prometeo, come Gilgamesh sfida il limite. Prometeo è uno dei Titani, sprofondati nel Tartaro (divinità ctonie sprofondate nelle tenebre del Tartaro caliginoso), come descrive Esiodo nella Teogonia: "Qui stanno insieme confusi il principio e la fine: orrore e squallore che pure i numi hanno in odio, /voragine immensa di cui, chi varcasse la soglia,/ neppure in un anno potrebbe raggiungere il fondo,/ma qua e là lo trarrebbe un’orrenda bufera/seguita da un’altra" ). Ne parla Eschilo nel Prometeo incatenato, in cui la posta in gioco è alta: Prometeo, sfidando gli Dèi ha rubato il fuoco al cielo e offerto agli uomini, il che segna l’avvio della civiltà e della vita associata, conil focolare domestico, il fuoco del culto. (Che il Dio malvagio sia per tutti tale vale anche per i nemici: ne I Persiani, i nemici sconfitti dai Greci, Serse è tracotante nell’attaccare i Greci ma c’è compassione per i vinti - vedi Il Corifeo dice: "Ah! Divinità dolorosa, con qual peso ti sei abbattuta su tutta la razza dei Persi").
La vendetta di Zeus è tremenda: Prometeo viene incatenato dai suoi servi Kratos e Bia a una roccia ed il suo fegato roso dal becco da un’aquila, ma fronteggia coraggiosamente il supplizio di Zeus, fiero della sua sfida a favore degli uomini e lo ricatta con la profezia di sapere il nome di una donna che potrebbe rovinare Zeus se si unisse a lei, ma per non dirglielo viene sprofondato nell’abisso della terra. I ruoli si sono invertiti tra Dio ed eroe: Zeus ha colpito Prometeo, ladro per il favore degli uomini e in questo senso eroe della storia della civiltà umana, ma questi è capace di ricattare lo stesso Zeus. Nelle altre due tragedie, Prometeo Liberato e Prometeo portatore di fuoco, perdute per noi, il dramma si ricompone. Zeus sarà avvisato e si salverà e in cambio gli uomini terranno il fuoco. Ma dai Titani non arriva solo un bene per gli uomini. Esiodo ci racconta che il dio del fuoco Efesto ha l’ordine di plasmare una donna, Pandora, a cui Zeus regala il vaso con tutti i doni, che si unirà come sposa al fratello di Prometeo, Epimeteo, ma incauta aprirà il vaso da cui usciranno vecchiezza, gelosia, malattie e pazzia per finire tra gli uomini. Altri guai vengono indirettamente da un’altra figura femminile, Teti, una ninfa Nereide di origine marina, che Zeus aveva evitato per rispettare la profezia di Prometeo. Divenuta sposa di Peleo accade che nel banchetto nuziale, per il dispetto di non essere stata invitata Eris, la dea della Discordia, lancia il pomo d’oro alla dea più bella, che si contendono in tre, Era, Minerva e Afrodite, per cui Zeus dichiara che a decidere sarà il più bello fra gli uomini, Paride di Troia, figlio di Priamo ed Ecuba. Afrodite viene prescelta da Paride in cambio della promessa di avere per sè la donna più bella del mondo Elena, sposa di Menelao re di Sparta, che dopo il ratto a Troia da parte di Paride causerà la disastrosa guerra.( vedi l’Encomio di Elena da parte di Gorgia che assolve Elena determinata o dal Caso divino, o dalla forza del rapimento o dalla lusinga delle parole). In più Teti, madre di Achille chiede ad Efesto di forgiare le armi che uccideranno Ettore.
Quindi il potere di Zeus, mantenuto grazie alla profezia rivelatagli, ha come risvolto che alla stirpe umana dagli sfidanti titani vinti e sprofondati nelle viscere della terra vengono i beni e i mali: i beni dall’eroe Prometeo che con il fuoco avvia la civiltà ed i mali provenienti dalla moglie del fratello, cioè Pandora. L’altro filone del mito, quello di Teti, che Zeus evita di sposare per rispettare la profezia di Prometeo origina l’altro male per gli uomini, la guerra di Troia, paradigma di tutte le guerre. All’eroe positivo, che è sempre maschile, si contrappongono le figure femminili presentate al "negativo" nei loro comportamenti e nei loro effetti e questo implica già un chiaro giudizio del mondo antico sulla donna. Si noti, infine, che questo ruolo dell’eroe non è confinato al mito ed alla tragedia greca, ma indica una tendenza perenne ed universale della società umana, come si può ritrovare anche nella attuale comunicazione dei mass-media, che celebra fino all’eccesso la presenza nella realtà quotidiana di una folla variegata di "eroi" di tutti i tipi, dai campioni sportivi a semplici soldati caduti in missione all’estero fino ad anonimi cittadini autori di qualche atto qualificabile come coraggioso e altruista.
Franco Sarcinelli, docente di Storia e Filosofia nei Licei milanesi, si è occupato in vari saggi di temi di epistemologia delle scienze umane e storiche, di fenomenologia e di ermeneutica. Tra i suoi volumi ha pubblicato per Mimesis "Filosofia della mancanza" (2007) ed è nel comitato di redazione di "Fenomenologia e società". Da due anni è invitato ad intervenire alle International Conferences on Ricoeur Studies per i suoi approfondimenti sul pensiero del filosofo Paul Ricoeur.
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L'epopea di Gilgamesh e il Prometeo incatenato: il mito dell'eroe
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