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"I promessi sposi", capitoli 14-15: riassunto e commento

Introduzione


I capitoli quattordici e quindici dei Promessi Sposi di Manzoni hanno per loro protagonista Renzo che, coinvolto nei tumulti milanesi, si lancia prima in un’orazione a sostegno di Ferrer e poi si ubriaca all’Osteria della Luna Piena, dove una spia governativa gli fa pronunciare parole compromettenti. Denunciato anche dall’oste, Renzo viene arrestato ma riesce a scappare sfruttando l’intervento di un gruppo di rivoltosi. Dal punto di vista cronologico, gli eventi vanno dalla sera dell'11 novembre 1628 e la mattina del giorno successivo.


Capitolo XIV: Renzo e la Storia


Il capitolo si apre su una scena di gruppo, che vede la folla radunatasi di fronte all’abitazione del vicario di provvisione (come descritto nel capitolo tredicesimo) disperdersi e sciogliersi progressivamente, una volta che Ferrer ha tratto in salvo l’uomo del governo spagnolo. Resta per le strade, secondo Manzoni, solo “un branco di birboni” che “malcontenti d'una fine così fredda e così imperfetta d'un così grand'apparato, parte brontolavano, parte bestemmiavano, parte tenevan consiglio, per veder se qualche cosa si potesse ancora intraprendere” 1. Se la prospettiva del narratore nei confronti dei rivoltosi è insomma critica e negativa, Renzo, che simbolicamente cammina “con la testa per aria” 2 tanto è coinvolto nel clima di fervore e di euforia della giornata di tumulti, si sofferma con loro per tenere un suo discorso. L'ingenuo popolano, che per la prima volta è coinvolto nei meccanismi della Storia (e nelle dinamiche della folla), sfoga così il proprio desiderio di giustizia, sovrapponendo alle confuse ragioni della protesta l’allusione alla persecuzione di don Rodrigo contro lui e Lucia:

[...] “signori miei!” gridò, in tono d’esordio: “devo dire anch’io il mio debol parere? Il mio debol parere è questo: che non è solamente nell’affare del pane che si fanno delle bricconerie: e giacché oggi s’è visto chiaro che, a farsi sentire, s’ottiene quel che è giusto; bisogna andar avanti così, fin che non si sia messo rimedio a tutte quelle altre scelleratezze, e che il mondo vada un po’ più da cristiani. Non è vero, signori miei, che c’è una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio de’ dieci comandamenti, e vanno a cercar la gente quieta, che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi hanno sempre ragione? anzi quando n’hanno fatta una più grossa del solito, camminano con la testa più alta, che par che gli s’abbia a rifare il resto? Già anche in Milano ce ne dev’essere la sua parte” 3.

Il discorso accorato del giovane Renzo individua Ferrer l’uomo cui far riferimento, in quanto egli è, ai suoi occhi, “un galantuomo, un signore alla mano” 4. La prospettiva sincera ma ingenua di Renzo 5, che riceve complimenti e critiche dal suo pubblico, colpisce l’attenzione di una spia del governo, che dice di chiamarsi Ambrogio Fusella e che, scambianod il protagonista per un rivoltoso, porta Renzo in un’osteria, con l’intenzione di carpirgli ulteriori dichiarazioni compromettenti e nuove informazioni.

All’Osteria della Luna Piena l’oste, apparentemente noncurante, riconosce nell’accompagnatore di Renzo una spia della polizia, e pensa così che il ragazzo sia a sua volta o "cane o lepre" 6, e cioè collega o vittima inconsapevole. Ben Renzo si ubriaca e, eccitato dall'alcool, si getta nuovamente in pericolose affermazioni sulle agitazioni per il pane, sul problema delle “grida” e della giustizia, e sulle prepotenze dei potenti, che con lo strumento della scrittura possono ingannare un “pover figliuolo” come lui 7. Il protagonista rifiuta così di dare le proprie generalità all’oste - come pure prevederebbe la legge - ma, con la mente offuscata dal troppo vino, le rivela alla spia, che abbandona l’osteria per recarsi al palazzo di giustizia.Il capitolo si chiude con Renzo completamente ubriaco che diventa lo “zimbello della brigata” 8.


Capitolo XV: l’arresto di Renzo


Il capitolo quindicesimo dei Promessi sposi prosegue la narrazione del precedente: Renzo viene accompagnato in stanza dall’oste, che prova (ancora una volta senza successo 9) ad estorcergli l’identità. Il protagonista crolla anzi a letto, e l’oste, per tutelare i propri affari e perché ha riconosciuto la spia della polizia che accompagnava il “montanaro” 10 a cena, decide di recarsi nottetempo al palazzo di giustizia (dov’è già giunto il rapporto di Ambrogio Fusella) per richiedere l’intervento delle guardie e del notaio criminale per la mattina successiva.

All’alba, il magistrato e due uomini armati vanno nella stanza del giovane ad arrestarlo. L’uomo di legge è tuttavia intimorito dall’ipotesi di una rivolta popolare 11, e quindi è assai circospetto ed attento nel chiedere a Renzo di seguirlo a palazzo. Il protagonista, che ribadisce d’essere un “galantuomo” 12 prima si ribella alle manette dei poliziotti e poi, una volta in strada, vede un gruppetto di persone che discute ancora degli eventi del giorno prima.  

Passando di fronte a loro, Renzo, sfrutta l’occasione, proclamando la propria innocenza ed appellandosi all’ìingiustizia compiuta nei suoi confronti:

Ma Renzo, visto il bel momento, visti i birri diventar bianchi, o almeno pallidi, "se non m'aiuto ora, pensò, mio danno". E subito alzò la voce: – figliuoli! mi menano in prigione, perché ieri ho gridato: pane e giustizia. Non ho fatto nulla; son galantuomo: aiutatemi, non m'abbandonate, figliuoli! 13

Così i "birri" e il notaio, temendo per la propria incolumità, abbandonano il loro prigioniero pur di sfuggire alla folla infuriata, e Renzo torna libero.


Il percorso di formazione di Renzo nei Promessi Sposi


Renzo Tramaglino, il protagonista maschile dei Promessi sposi, è quello che cambia e “matura” maggiormente nel corso delle vicende che lo separano dalla sua “promessa sposa” Lucia, ed è assai significativo che questo cambiamento abbia inizio nel momento in cui Renzo arriva a Milano. Il capoluogo lombardo, oltre a essere il fulcro della polemica contro il prezzo del pane (le cui ragioni sono state analizzate dal narratore nei capitoli precedenti) rappresenta anche il mondo della Storia, in cui un personaggio umile e popolare come Renzo 14 può fare quelle esperienze di vita che ne segnano ed indirizzano il percorso di formazione.

Renzo, dall’ingresso in città fino alla notte al’osteria, si presenta come un giovane ingenuo ed inesperto, che si lascia trascinare dagli eventi e dalla sua voglia sotterranea di rivalsa e di vendetta contro don Rodrigo; il suo discorso alla fine della giornata di tumulti è fatto “tanto di cuore” 15, e lo espone agli intrighi della spia e dell’oste. Questi due personaggi si presentano da subito come due esperti ingannatori che, con gli strumenti della parola, cercano di mettere in difficoltà il protagonista e di strappargli più informazioni possibili.

In tal senso, l’osteria diventa lo spazio del capovolgimento delle regole e della realtà stessa, complice anche il vino che Renzo beve a volontà: il protagonista, che è stato ingannato da Azzeccagarbugli e da Don Abbondio si prende qui una sua piccola rivincita facendosi beffe delle “grida” che obbligano i frequentatori delle osterie a fornire le proprie generalità. L’ironia del narratore fa sì che le parole di Renzo ubriaco e le sue “baggianate” 16 svelino involontariamente i meccanismi, innanzitutto linguistici, di controllo e di gestione del potere da parte dei dotti e dei politici.

Ma l’ingenuità di Renzo, dopo la notte all’osteria, si può ribaltare subito in una scaltra capacità di cogliere l’occasione giusta per liberarsi dal notaio di giustizia e dai due "birri" al suo seguito. Renzo, che ora intuisce il pericolo, si attarda nel vestirsi per guadagnar tempo, non crede alle parole dell’uomo di elgge che lo richiama ipocritamente all’onore e al rispetto (come invece la sera prima aveva creduto all’ingannevole Fusella e si era lasciato andare a bere) e, di fronte alla folla, chiede aiuto per potersi liberare e fuggire.

Il percorso di formazione di Renzo è insomma inizialmente dettato dal passaggio dalla completa ingenuità ad una prima presa di coscienza delle leggi (anche di quelle più ipocrite) che governano il mondo e i rapporti tra le persone; la successiva avventura presso l’osteria di Gorgonzola costituiranno un nuocvo capitolo della sua crescita.

1 A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di E. Raimondi e L. Bottoni, Milano, Principato, 1988, p. 308.

2 Ivi, p. 309.

3 Ivi, p. 310.

4 Ivi, p. 311.

5 Ibidem: “E se i prepotenti non vogliono abbassar la testa, e fanno il pazzo, siam qui noi per aiutarlo, come s'è fatto oggi. Non dico che deva andar lui in giro, in carrozza, ad acchiappar tutti i birboni, prepotenti e tiranni: sì; ci vorrebbe l'arca di Noè”.

6 Ivi, p. 314.

7 Ivi, p. 320: “«Ma la ragione giusta la dirò io,» soggiunse Renzo: «è perché la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per aria, con quella penna, e te le inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo»”.

8 Ivi, p. 325.

9 ”«Ah birbone!» esclamò Renzo: «mariolo! tu mi torni ancora in campo con quell'infamità del nome, cognome e negozio!»”

10 Ivi, p. 333: “«Testardo d'un montanaro!» Ché, per quanto Renzo avesse voluto tener nascosto l'esser suo, questa qualità si manifestava da sé, nelle parole, nella pronunzia, nell'aspetto e negli atti.”.

11 Ivi, p. 339: “[...] non era momento da ridere. Già nel venire, aveva visto per le strade un certo movimento, da non potersi ben definire se fossero rimasugli d'una sollevazione non del tutto sedata, o princìpi d'una nuova: uno sbucar di persone, un accozzarsi, un andare a brigate, un far crocchi. [...] Desiderava dunque di spicciarsi; ma avrebbe anche voluto condur via Renzo d'amore e d'accordo; giacché, se si fosse venuti a guerra aperta con lui, non poteva esser certo, quando fossero in istrada, di trovarsi tre contr'uno”.

12 Ivi, p. 338.

13 Ivi, p. 345.

14 Si ricordi la definizione dell’Anonimo nella celebre Introduzione al romanzo: “gente meccaniche, e di picciol affare” (ivi, pp. 1-2).

15 Ivi, p. 312.

16 Ivi, p. 319. Più avanti Renzo dice: “«Ma la ragione giusta la dirò io,» soggiunse Renzo: «è perché la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene, e presto presto le infilzan per aria, con quella penna, e te le inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo»” (ivi, p. 320).