Introduzione
Nel quarto capitolo de I promessi sposi il narratore sposta la sua attenzione sul personaggio di Fra Cristoforo, che si sta recando da Agnese e Lucia. Il capitolo si sofferma così a ricostruire le vicende passate di questo personaggio e il motivo per cui si è fatto frate. Il tempo della storia è la mattina del 9 novembre 1628.
Riassunto
Dopo aver saputo della richiesta d’assistenza da parte di Lucia, che già si era confessata con lui dopo il tentativo di seduzione da parte di don Rodrigo, fra Cristoforo, uscito dal suo convento a Pescarenico, attraversa la campagna di Lecco. La serena descrizione della campagna autunnale 1 contrasta con quella delle misere figure popolari che il frate incontra nel suo percorso:
La scena era lieta; ma ogni figura d’uomo che vi apparisse, rattristava lo sguardo e il pensiero. Ogni tanto, s’incontravano mendichi laceri e macilenti, o invecchiati nel mestiere, o spinti allora dalla necessità a tender la mano. [...] Questi spettacoli accrescevano, a ogni passo, la mestizia del frate, il quale camminava già col tristo presentimento in cuore, d'andar a sentire qualche sciagura” 2.
L’anticipazione della drammatica carestia che sta sopraggiungendo e la preoccupazione del frate stuzzica l’interesse del narratore, che, in un lungo flashback che occupa tutto il capitolo IV, presenta la sua storai passata. Manzoni descrive inizialmente il suo aspetto e ripercorre la storia della sua giovinezza: i suoi tratti fisici evidenziano aspetti nascosti del suo carattere, come la sua irrequietezza e fierezza, celate dietro un’apparente calma e tranquillità. Il frate, il cui vero nome è Lodovico, è figlio di un ricco mercante ed è stato educato secondo i costumi della aristocrazia cavalleresca dell’epoca. A causa delle sue origini borghesi, tuttavia, viene rifiutato dai giovani aristocratici e per la sua “la sua indole, onesta insieme e violenta” si trova a “vivere co’ birboni, per amor della giustizia”, difendendo la povera gente dai nobili arroganti, sentendo “un orrore spontaneo e sincero per l’angherie e per i soprusi: orrore reso ancor più vivo in lui dalla qualità delle persone che più ne commettevano alla giornata; ch’erano appunto coloro coi quali aveva più di quella ruggine” 3.
È questo spirito combattivo e ribelle, che si rivolta alle ingiustizie del mondo anche per soddisfare una propria rabbia intima e repressa, che conduce Lodovico all’episodio che cambierà la sua vita. Infatti, durante un duello scoppiato per futili motivi, Cristoforo, uno dei servitori del giovane Lodovico, viene ucciso da un rivale, assassinato a sua volta da Lodovico. Il giovane, che è costretto a rifugiarsi in un convento di cappuccini per sfuggire alla vendetta dei parenti, cade in un profondo turbamento interiore. In seguito al suo pentimento e conversione, Lodovico prenderà gli ordini monacali, assumendo il nome del servitore ucciso. Con questa nuova identità Cristoforo si presenta nel palazzo del nobilee ucciso per domandare il perdono della famiglia. Inginocchiandosi di fronte al fratello e confessando la sua colpa, ottiene il perdone e in dono un piatto d’argento con il pane del perdono.
La sua indole focosa, seppur nascosta, rimane ancora accessa in lui e riemerge, ancora, di fronte alle ingiustizie perpetrate dai nobili nei confronti della povera gente, come Renzo e Lucia.
La funzione di fra Cristoforo nel romanzo
Il personaggio di fra Cristoforo è una delle figure centrali del romanzo di Alessandro Manzoni, come dimostra l’attenzione e la cura con cui l’autore costruisce questo personaggio. È rilevante infatti l’analisi psicologica e sociale 4 con cui Manzoni presenta la figura del giovane Lodovico, figlio di una famiglia benestante che però sconta su di sé il pregiudizio (tipico della mentalità aristocratica) per cui l’attività mercantile è volgare e degradante. Il desiderio insoddisfatto di Lodovico di integrarsi nel mondo nobiliare viene frustrato, e ciò amareggia quel carattere condotto da “due cavalli bizzarri” 5, cui, come già al padre, ricompare sempre di frotne agli occhi, come un’ossessione, l’origine delle proprie ricchezze 6.
La lunga introduzione concessa a Lodovico sviscera allora le ragioni profonde della sua avversione per il potere sprezzante di don Rodrigo ma anche il ruolo di “secondo padre” che egli svolge nei confrotni di Renzo; il giovane, infatti, ha ripetuto spesso nei primi capitoli del libro, la parola “vendetta”, proponendosi a parole di risolvere con la forza bruta la prepotenza del nobilotto spagnolo. Cristoforo, che ha conosciuto e scontato le conseguenze della violenza inutile e fine a se stessa, svolge allora un ruolo fondamentale non solo nell’esser un “aiutante” 7 per Lucia e Agnese (indirizzandole al convento della monaca di Monza) ma anche convincendo Renzo a riparare a Milano, in attesa che gli eventi migliorino. Con lui, compare sulla pagina una figura di religioso nettamente antitetica rispetto a quella, mediocre e timorosa, di don Abbondio.
1 A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di E. Raimondi e L. Bottoni, Milano, Principato, 1988, p. 73: “Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il sole s'alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità de' monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendìi, e nella valle. Un venticello d'autunno, staccando da' rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall'albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne' campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza”.
2 Ivi, pp. 73-74.
3 Ivi, p. 77.
4 Dietro a fra Cristoforo ci sarebbe tale fra Cristoforo Picenardi, figura di religioso del Seicento della zona di Cremona. Nel Fermo e Lucia, Cristoforo è appunto originario del cremonese.
5 Ivi, p. 75. L’immagine è tradizionale, e risale addirittura ad Omero.
6 C’è qui una seconda immagine letteraria, tratta dal Macbeth di Shakespeare: “Ma il fondaco, le balle, il libro, il braccio, gli comparivan sempre nella memoria, come l'ombra di Banco a Macbeth, anche tra la pompa delle mense, e il sorriso de' parassiti” (A. Manzoni, I promessi sposi, cit., p. 75).
7 Con il termine ci si riferisce alle funzioni tipiche delle fiabe, come identificate dall’antropologo russo Vladimir Propp (1895-1970) nel suo Morfologia della fiaba (1928). Per Propp, i personaggi delle fiabe - e, in generale, di tutte le narrazioni umane - si possono suddividere in funzioni, tra cui si possono citare quella dell’eroe, dell’oggetto del desiderio, dell’antagonista, del donatore o dell’aiutante.