Manzoni, "Promessi Sposi": trama e genesi del romanzo

Alessandro Mazzini spiega le ragioni che spingono Manzoni a dedicarsi al romanzo storico e a scegliere il soggetto dei "Promessi Sposi".

Queste ragioni sono ben indicate in due lettere: una di Ermes Visconti a Victor Cousin, filosofo francese considerato il fondatore della storiografia filosofica, del 1821; la seconda di Alessandro Manzoni a Claude Fauriel del 1822.

Nella prima lettera Ermes Visconti comunica al filosofo le scelte e l'attività letteraria di quel periodo di Manzoni. Dalla lettura di Walter Scott Manzoni è stato indotto alla scrittura di un romanzo in prosa, decidendo quindi di rappresentare la società milanese e le persone del XVII secolo, epoca caratterizzata da "passioni, anarchia, disordine, follia, ridicolaggini". Caratteristiche proprie, secondo Manzoni, della società in ogni epoca. Visconti comunica la volontà di Manzoni di evitare l'errore di Walter Scott, cioè di allontanarsi dalla verità storica, quando risulta utile alla narrazione. Secondo Manzoni i fatti immaginari devono trovarsi in linea, nella maniera più assoluta, con i fatti storici. La Storia, come ha osservato il critico Lanfranco Caretti, nel romanzo di Manzoni non è una cornice scenografica, ma un elemento di connessione tragica con il destino individuale. La storia diventa lo sfondo sul quale la vita dei personaggi acquista un senso e consente una nuova prospettiva sulla Storia, cioè dal punto di vista degli umili.
L'idea del nuovo genere letterario matura, per Manzoni, a partire da un'esigenza storico-morale. Il romanzo si qualifica come l'unica forma artistica in grado di armonizzare le istanze di meditazione storica, morale, polemica, critica e di innovazione poetica.

Nella seconda lettera Manzoni espone le ragioni della scelta del soggetto: "uno stato della società veramente straordinario, dato dalla compresenza del governo più arbitrario, di anarchia feudale e anarchia popolare, legislazione stupefacente, ignoranza profonda e feroce, classi con interessi e massime opposte e di tutto in gradazione assai sviluppata". Questa situazione storica, che si presenta particolarmente conflittuale e caotica, offre a Manzoni l'occasione di un'indagine sulle radici dell'arretratezza italiana. Il quadro fortemente negativo del Seicento si qualifica come un ritratto al contrario di come dovrebbe essere la società nella prospettiva liberale e borghese di Manzoni. L'autore evidenzia poi il suo sforzo di penetrare e vivere nell'epoca, che ha deciso di commentare, e ammette che il suo costante obiettivo è stato quello di evitare il romanzesco. Questo approccio permette di parlare del passato, ma rivolgendosi alle esigenze del presente.

Alessandro Mazzini è professore di Greco e Latino presso il Liceo Classico Manzoni. Si è laureato in Letteratura Greca con il professore Dario Del Corno presso L'Università degli Studi di Milano. Ha collaborato con riviste di divulgazione culturale e ha insegnato per 10 anni Lingua e Letteratura Italiana e Lingua e Letteratura Greca presso il Liceo della Scuola Svizzera di Milano. Dal 2001 è ordinario di Italiano e Latino nei Licei e dal 2003 ordinario di Greco e Latino al Liceo Classico.

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Le ragioni che spingono Manzoni a dedicarsi al romanzo storico e soprattutto a scegliere il soggetto del suo romanzo sono ben indicate in due lettere.

 

La prima è una lettera di Ermes Visconti, amico di Manzoni, scritta a Victor Cousin, un filosofo francese considerato il fondatore della storiografia filosofica francese; lettera del 30 aprile 1821 in cui Ermes Visconti, intimo amico di Manzoni, comunica a Victor Cousin le scelte e l’attività letteraria che in quel momento Manzoni stava affrontando. Visconti informa che, dalla lettura di Walter Scott, Manzoni è stato indotto alla scrittura di un romanzo in prosa, per il quale trarre ispirazioni dai costumi, dalle abitudine domestiche, dalle idee che hanno influito sulle venture e sventure della vita nelle diverse epoche della storia. Di qui, prosegue Visconti, nasce la rappresentazione come soggetto della vicenda del milanese nel 1630, un’epoca caratterizzata da passioni, anarchia, disordine, follia, ridicolaggini; si tratta sostanzialmente di quei caratteri della società che nello specifico qui Visconti, che chiaramente citava una posizione di Manzoni, ravvisava nel ‘600, ma che in realtà erano le caratteristiche della dimensione sociale che Manzoni metteva in luce del vivere sociale in generale, proprio di ogni epoca.

 

“La peste in Lombardia”, dice, “qualche aneddoto su Federigo Borromeo, il processo della colonna infame”, sono indicati come la materia di fatti accertati sui quali Manzoni intende modellare la trama del romanzo. Visconti afferma però che è netta nel Manzoni la volontà di evitare quella che, secondo Manzoni, è stato l’errore di Walter Scott: allontanarsi dalla verità storica quando gli risulta utile nelle circostanze e nei mezzi che le hanno prodotte. I fatti immaginari, secondo Manzoni, dovranno invece trovarsi in modo assoluto in linea con i particolari storici, non dovranno affatto essere in contrasto e dovranno presentarsi come tali che gli storici possano averli trascurati o ignorati. In effetti questa critica, che qui Visconti rileva da parte di Manzoni, sul modo in cui secondo Walter Scott la storia e l’invenzione si rapportavano, è in effetti una critica molto importante per quanto riguarda le ragioni e la strategia che Manzoni adotta nei confronti del suo romanzo. Come ha osservato Lanfranco Caretti, la storia ne I promessi Sposi, o anche nel Fermo e Lucia, ovvero la storia nel romanzo di Manzoni non è più una cornice scenografica, ma è un elemento di una connessione tragica con il destino individuale e quindi la storia diventa lo sfondo sul quale la vita degli individui, di cui si parla nella storia di invenzione, acquista un senso e anzi consente una prospettiva nuova sulla storia. In effetti gli umili, che acquistano vita per il fatto di vivere come comportano i princìpi dell’epoca storica in cui tocca loro di vivere, consentono anche di osservare la storia dal loro punto di vista: una prospettiva dal basso, una prospettiva nuova. Anche sotto questo aspetto si coglie come l’idea del nuovo genere letterario maturi a partire da un’esigenza storico-morale in Manzoni e quindi il romanzo si qualifica come unica forma artistica in grado di armonizzare le istanze di meditazione storica, meditazione morale, polemica critica e invenzione poetica, cioè istanze che Manzoni aveva rappresentato nelle sue precedenti opere, ma a suo giudizio mai a sufficienza, mai in maniera adeguata, proprio per i limiti che imponevano i vari generi letterari.

 

Su una tematica analoga alla lettera di Ermes Visconti, torna Manzoni stesso in una lettera a Claude Fauriel del 29 maggio 1822. In questa lettera Manzoni espone in maniera esplicita le ragioni per le quali ha scelto il suo soggetto che è qualificato in questo modo:

 

uno stato della società veramente straordinario, dato dalla compresenza del governo più arbitrario, di anarchia feudale e anarchia popolare, legislazione stupefacente, ignoranza profonda e feroce, classi con interessi e massime opposte e di tutto in gradazione assai sviluppata.

Una peste che ha dato occasione a scelleratezze, pregiudizi, virtù e quindi una situazione storica particolarmente conflittuale e caotica che però offre a Manzoni anche l’occasione di un’indagine sulle radici dell’arretratezza italiana. Non bisogna dimenticare infatti che una delle ragioni che spiega la scelta del romanzo storico, di questo tipo di romanzo storico, è anche la volontà di Manzoni di parlare alla classe dirigente, alla borghesia a lui contemporanea che sta, o che perlomeno dovrebbe progettare il futuro. In effetti il quadro fortemente negativo tratto dal ‘600 si qualifica come un ritratto al contrario di come dovrebbe essere la società nella prospettiva liberale e borghese di Manzoni in quanto, sulla base del suo progressismo moderato e dei suoi ideali illuministici, è chiaro che da quel tipo di società, i cui caratteri negativi sono messi così fortemente in luce da Manzoni, si evince come dovrebbe essere la società per Manzoni, cioè:

 

una società caratterizzata da un saldo potere statale contro i particolarismi,una società in cui ci fosse una legislazione razionale ed equa con una giustizia che sappia farla rispettare,una società che presenti una politica economica liberale per lo sviluppo di uno stato moderno,una società organizzata in maniera tale da non presentare il conflitto di classe che Manzoni aveva sostenuto proprio ne La Pentecoste, terminata nel 1822.

 

Pur nell’insoddisfazione con cui sente di lavorare al romanzo, Manzoni riconosce di aver fatto un’opera per la quale egli non si qualifica assolutamente come un imitatore, cioè qualcosa di nuovo; si riconosce il suo sforzo di compenetrarsi e di vivere nell’epoca che ha voluto rappresentare come sfondo per l’intreccio e ammette che il suo costante obiettivo è stato quello di evitare il romanzesco, cioè evitare quella convenzionale rappresentazione letteraria che, come sosteneva nella lettera allo Chauvet, allontana dalla rappresentazione della realtà.
Questo tipo di approccio consente di parlare del passato, rivolgendosi alle esigenze del presente e della presente situazione politica in Italia.