Introduzione
La scrittrice francese Marguerite Yourcenar pubblica Memorie di Adriano nel 1951, per l'editore parigino Plon. Lidia Storoni Mazzolani traduce il dattiloscritto per un editore napoletano a cui Plon lo cede nel 1953. Nonostante il raffinatissimo lavoro della traduttrice, il testo viene affidato a un revisore con il compito di renderne il contenuto più disinvolto e vendibile. Il volume subisce tagli, omissioni, errori; la terminologia utilizzata diviene sciatta e anacronistica. Ne segue un'azione giudiziaria da parte della traduttrice, a cui la Yourcenar sarà sempre grata, proprio per aver difeso il testo con ogni mezzo.
Nel 1963 Einaudi acquista i diritti per la seconda edizione: Yourcenar vuole che sia Lidia Storoni Mazzolani a curarla. Uscirà solo nel 1988. Da quel momento, la corrispondenza tra l'autrice e la traduttrice si fa sempre più fitta. In queste lettere le due donne discutono su una serie di episodi inclusi nell'opera, sul suo status ibrido, sulla terminologia utilizzata, sul confine tra immaginazione e storia. «È tutt'altro che un saggio di storia, non è un poema e meno ancora un romanzo, benché per comodità lo si chiami così.» 1, le Memorie di Adriano sono infatti di una lunga epistola che l'imperatore Adriano (117 – 138 d.C.), ormai anziano e malato, scrive al nipote adottivo, poi futuro imperatore, Marco Aurelio.
Il II secolo d.C. è tradizionalmente considerato il più prospero dell'impero romano che, grazie alla stabilità dei propri confini, poté godere di un notevole sviluppo economico e culturale. Nei Taccuini di appunti pubblicati insieme alle Memorie nella ristampa Einaudi del 2005, Yourcenar fa notare come fosse «impossibile prendere per figura centrale un personaggio femminile; porre, ad esempio, come asse del racconto, anziché Adriano, Plotina (moglie dell'imperatore Traiano ndr.). La vita delle donne è troppo segreta. Se una donna parla di sé, il primo rimprovero che le si farà è di non essere più una donna. È già abbastanza difficile far proferire qualche verità a un uomo» 2. Quanto al genere, «coloro che avrebbero preferito un Diario di Adriano alle Memorie di Adriano dimenticano che un uomo d'azione raramente tiene un diario; più tardi, al fondo d'un periodo d'inattività, egli si ricorda, prende nota e, il più delle volte, stupisce» 3. Infine, sempre sulla scelta del suo protagonista, Yourcenar precisa che «se quest'uomo non avesse conservato la pace nel mondo e rinnovato l'economia dell'impero, le sue gioie, le sue sventure mi sarebbero interessate di meno» 4.
A Roma, la successione avveniva per adozione, metodo in cui lo stesso Adriano ravvisa la saggezza di Roma.
«Conosco bene i pericoli d'una scelta, gli incerti ch'essa comporta; e non ignoro che l'accecamento non è esclusivo dell'affetto paterno; ma questa scelta a cui l'intelligenza presiede, o, quanto meno, partecipa, mi apparirà sempre infinitamente preferibile agli oscuri incontri del caso e della ottusa natura. L'impero al più degno: è bello che chi ha dato prova delle sue capacità nel maneggio degli affari di Stato scelga il successore, e che tale scelta, così gravida di conseguenze, sia, a un tempo, il suo estremo privilegio e l'estremo servigio ch'egli rende allo Stato» 5.
Così al buon governo di Nerva, seguì quello di Traiano, uomo di grande esperienza militare. Fu Traiano, che già lo aveva voluto accanto a sé durante la prima guerra dacica e in quella partica, ad adottare e affidare l'impero ad Adriano, dopo avergli assegnato incarichi di responsabilità come quello di governatore di Siria, o il comando dell'esercito per fronteggiare la rivolta degli Ebrei in Mesopotamia e Cirenaica. Lo stesso Adriano, ormai vecchio, adotta l'amico fidato Lucio, che morirà prima di poter effettivamente succedere alla porpora imperiale. La seconda scelta di Adriano cade dunque su Antonino, un senatore sulla cinquantina, di famiglia provinciale imparentata alla lontana con quella di Plotina. Antonino possiede una virtù che non sfugge all'imperatore: quella della bontà. Antonino ha i modesti difetti del saggio: un'intelligenza che mira al presente più che all'avvenire, un'esperienza di mondo limitata dalle sue stesse virtù, pochi viaggi, legati soprattutto a missioni ufficiali. S'intende pochissimo d'arte ed è restio alle innovazioni; «continuerà l'opera mia, più che ampliarla» afferma Adriano «ma la continuerà bene; lo Stato avrà in lui un servitore onesto e un buon padrone» 6.
E che Antonino sia, dunque. Antonino però ha cinquant'anni e Adriano sa che lo spazio di una generazione è poca cosa quando si tratta di preservare la sicurezza del mondo. Così cerca di estendere nel tempo la discendenza adottiva e lavora affinché Antonino adotti a sua volta un altro uomo, ancora troppo giovane per governare il mondo. È Marco Aurelio, spagnolo, appartenente alla famiglia dei Veri, una delle più liberali dell'alta magistratura. In Marco Aurelio, Adriano indovina un genio che non è per forza quello dell'uomo di Stato, ma è certo che, grazie a lui, gli uomini avranno l'occasione di vedere realizzato il sogno di Platone: su di loro regnerà un filosofo dal cuore puro. Ed è a questo giovane austero, che imita il contegno dei grandi, legge con passione gli scritti dei filosofi, si veste di lana ruvida e dorme sulla terra nuda per mortificare stoicamente il corpo, che Adriano indirizza le sue memorie e affida le sorti dell'impero romano.
Riassunto
Il libro si suddivide in sei parti il cui titolo in latino rimanda a formule che vengono riprese all'interno del capitolo stesso.
Animula vagula blandula
(Piccola anima smarrita e soave)
«Come il viaggiatore
che naviga tra le isole dell'Arcipelago
vede levarsi a sera i vapori luminosi,
e scopre poco a poco la linea della costa,
così io comincio a scorgere il profilo della mia morte 7»
La lettera comincia con un saluto: «Mio caro Marco», scrive Adriano con l'intento di informare il ragazzo delle sue precarie condizioni di salute. Ma a poco a poco la lettera diviene «lo sfogo di un uomo che non ha più l'energia necessaria per applicarsi a lungo agli affari dello Stato; la meditazione scritta d'un malato che dà udienza ai ricordi» 8. Adriano rivela al nipote che da quel punto l'intento del suo scritto muta: l'oggetto del racconto diviene la sua vita. Egli non si aspetta che un ragazzo di diciassette anni possa comprendere ogni cosa; il fine è piuttosto quello di istruire e, allo stesso tempo, scuotere. Quello offerto è un racconto scevro di preconcetti e astrazioni, un racconto d'esperienza, di cui lo stesso Adriano ignora la conclusione. Fatte le premesse, Adriano dedica alcune riflessioni al ruolo della parola scritta, ai libri, comparati alle azioni pratiche e alla realtà, e realizzando che «con l'andar del tempo la vita gli ha chiarito i libri» 9, certo, si troverebbe «molto male in un mondo senza libri, ma non è lì che si trova la realtà, dato che non vi è per intero» 9.
Animula vagula blandula è il primo verso di una poesia scritta dallo stesso Adriano che Yourcenar riporta in prosa alla fine del quinto capitolo.
Animula vagula blandula
Hospes comesque corporis
Quae nunc abibis in loca
Pallidula rigida nodula
Nec ut soles, dabis iocos. 11
Varius multiplex multiformis
(Eclettico, versatile e multiforme)
«Il vero luogo natio
è quello dove per la prima volta
si è posato uno sguardo consapevole su se stessi:
la mia prima patria sono stati i libri» 12
Eclettico, versatile e multiforme è il giovane Adriano: uomo assetato di conoscenza e allo stesso tempo dotato di virtù pratiche; animo raffinato e sensibile ma capace di atti crudeli, spirito inquieto, attratto dal mistero. In questo capitolo Adriano rivela al lettore i suoi gusti letterari e filosofici. Definisce la conoscenza della poesia inebriante quanto quella dell'amore; ringrazia anche il suo precettore per averlo costretto a studiare il greco: ha amato quella lingua e ritiene che «quasi tutto quel che gli uomini han detto di meglio è stato detto in greco. […] L'impero, l'ho governato in latino; in latino sarà inciso il mio epitaffio, sulle mura del mio mausoleo in riva al Tevere; ma in greco ho pensato, in greco ho vissuto» 13. È durante la giovinezza che Adriano mette a fuoco la propria idea di libertà: una sorta di tecnica in grado di rendere l'uomo libero e dunque potente. Dapprima egli ricercò una libertà fatta di vacanze e di tempo libero; poi mirò a una libertà in cui fossero possibili due condizioni allo stesso tempo, un modus vivendi per il quale adempiere perfettamente al compito più gravoso senza impegnarsi interamente in esso; in seguito tentò una libertà a ritmo alterno e con essa la possibilità di interrompere un compito e poi riprenderlo senza sentirsi schiavo di esso; infine, raggiunse la libertà più importante di tutte, quella di assentire: accettare l'imprevisto, il disagio, la sciagura cercando di trarne giovamento e volgendolo al positivo. «E in questo modo» afferma Adriano «con un misto di riserva e di audacia, di sottomissione e di rivolta ben concertate, di esigenze estreme e di concessioni prudenti, ho finito per accettare me stesso» 14.
Nei confronti di Roma, Adriano ha un atteggiamento di amore e odio. Ovunque vada sente di essere un romano in esilio ma, allo stesso tempo, la vita a Roma lo logora. Così accoglie di buon grado le missioni ai confini dell'impero: sul Danubio come soldato, poi in Dacia, infine, per volere dell'imperatore Traiano, come governatore in Siria. Per la prima volta non ha nostalgia di Roma, anzi, prova simpatia per le austerità e le privazioni a cui è soggetto. Si dimostra coraggioso e si fa notare da Traiano che lo adotta. Adriano sposa la nipote di quest'ultimo, Vibia Sabina, che definirà spesso rigida, austera, e di animo poco incline alle passioni. Ma è l'amicizia con la virtuosa Plotina, moglie di Traiano, ad avere un ruolo chiave nella sua adozione: il rapporto di stima reciproca che lega la donna e il futuro imperatore sarà spesso citato da Adriano come esemplare.
In questo capitolo, inoltre, Adriano riflette sulla virtù del coraggio. Tra una spedizione e l'altra si reca in Grecia, dove ha modo di osservare i crimini militari perpetrati dai romani. Promette a se stesso che veglierà su quella terra disarmata: affinché i Greci possano continuare le proprie opere sono necessari alcuni secoli di pace e la libertà che solo questa consente. I romani avrebbero dovuto farle da guardiani senza pretendere di esserne i padroni.
Tellus stabilita
(Terra stabile)
«Noi siamo funzionari di Stato, non siamo Cesari» 15
È in questo capitolo che vengono espresse per la prima volta le intenzioni del neo-imperatore. Dopo le epurazioni che si vede costretto a ordinare, Adriano cerca di dare prova di mitezza, dirigendo Roma come una casa «dalla quale il proprietario intenda potersi allontanare senza che essa abbia a soffrire della sua assenza» 16. Ammette di credere poco alle leggi, ma ritiene che sia necessario che esse somiglino il più possibile all'effettivo modo di vivere di coloro che ne sono soggetti e differiscano il meno possibile dalle usanze. Ne promulga alcune con lo scopo di regolamentare la condizione degli schiavi, proibendone l'utilizzo per mestieri disonoranti o rischiosi e la vendita alle scuole per gladiatori; quanto alla condizione delle donne, Adriano è consapevole che la debolezza della loro categoria dipende molto dalla loro posizione legale: si impegna affinché siano proibiti i matrimoni in cui le fanciulle non sono consenzienti, questo perché il matrimonio è a tutti gli effetti una faccenda dominante nella vita della donna romana. Rinuncia alle contribuzioni volontarie offerte dalla città all'imperatore considerandole un furto mascherato. Sostiene la classe dei contadini mettendo fine allo scandalo dei terreni incolti: «d'ora in avanti, ogni campo non coltivato da cinque anni apparterrà all'agricoltore che s'incaricherà di trarne buon partito» 17.
Il viaggio resta una costante della vita di Adriano, che confessa di non aver «mai avuto la sensazione di appartenere completamente a nessun luogo […] straniero dappertutto, non mi sentivo particolarmente isolato in nessun luogo» 18. Infine non perde occasione di ripetere che il bello, l'ideale a cui anela, è non di rado coincidente con il Genio della Terra pacificata, stabile (Tellus stabilita) e con l'aspetto di un giovinetto disteso che regge frutta e fiori».
In questo capitolo viene anche approfondito che significato può avere il termine confine per uno spirito inquieto come quello di Adriano. Dopo un accenno all'infinito mondo liquido della Britannia, dove descrive la costruzione del Vallo di Adriano, è l'Oriente a rapirlo. Qui, Adriano incontra l'imperatore Osroe; durante una festa assiste al rogo di un Bramino; si ferma per oltre un anno e a Eleusi si fa iniziare al culto misterico.
Saeculum aureum
(Secolo d'oro)
«Quando mi volgo indietro a quegli anni,
mi sembra di ritrovare l'Età dell'Oro» 19
Il secolo d'oro di Adriano coincide con la sua relazione amorosa con Antinoo, un giovinetto greco di Bitinia, che l'imperatore incontra a Nicomedia e per il quale fonderà la città di Antinopoli. In questo capitolo trovano spazio diverse meditazioni sul suicidio, dapprima considerato un diritto, poi, dopo quello del diciannovenne Antinoo, un problema e una sciagura. Adriano tornerà sul suicidio nell'ultimo capitolo, quando lo vaglierà come possibile uscita di scena per se stesso.
Disciplina Augusta
(Disciplina Augusta)
«Non si comprendono le malattie
se non se ne riconosce la strana somiglianza
con le guerre e con l'amore:
i compromessi, le finte, le esigenze,
quell'amalgama unico e bizzarro che nasce
dalla mescolanza d'un temperamento con un male» 20
La morte di Antinoo ha profondamente sconvolto Adriano. Antinoo era divenuto per l'imperatore l'immagine stessa della Grecia: per tutto l'arco della sua esistenza aveva ravvisato nella bellezza del giovine, l'armonia di un intero popolo. Adriano torna ad Atene per l'ultima volta, rientra dunque a Roma dove conduce una vita il più normale possibile; nonostante il dolore lacerante, si dedica al mestiere di imperatore con meno fervore e più discernimento. Il corpo cessa di essere il compagno fedele di un tempo e si trasforma in uno schiavo riluttante alla fatica. Adriano medita sulla propria vecchiaia: si avvicina il momento di decidere le sorti dell'impero. La sua scelta cade su Lucio, amico di vecchia data, che però muore prematuramente. Al suo posto sceglie Antonino e ottiene da quest'ultimo la promessa che adotterà Marco Aurelio insieme al figlio di Lucio, affinché l'amico sopravviva in lui.
Sullo sfondo: la rivolta degli zeloti di Giudea, l'assedio di Gerusalemme e la conseguente diaspora ebraica.
Patientia
(Pazienza)
«L'ora dell'impazienza è passata;
al punto in cui sono,
la disperazione sarebbe di cattivo gusto
tanto quanto la speranza» 21
Arriano, governatore di Cappadocia e amico di Adriano, scrive una lettera in cui rievoca l'amicizia tragica tra Achille e Patroclo. Adriano, chiuso nella sua villa a Tivoli, attorniato da statue che raffigurano Antinoo, medita il suicidio. Ma quando lo stesso medico Giolla pur di non acconsentire all'ordine dell'imperatore di consegnargli una dose di veleno, si suicida, Adriano abbandona l'idea: apparirebbe una prova di indifferenza e ingratitudine verso la piccola cerchia di amici che ancora gli è vicina. È la pazienza dunque l'atteggiamento più consono: essa dà presto i suoi frutti. Da uomo paziente egli soffre meno, la vita torna ad avere un sapore quasi dolce. Le ultime righe riportano la poesia che Adriano stesso ha composto e che, come spiegato nel primo capitolo, rappresenta il saluto alla propria anima che s'appresta a discendere al buio.
Bibliografia
M. Yourcenar, Memorie di Adriano. Seguite da Taccuini di appunti, Einaudi, 2005;
G. Geraci, A. Marcone, Storia romana, Le Monnier, 2004.
1 M. Yourcenar, Memorie di Adriano. Seguite da Taccuini di appunti, Einaudi, 2005, p. 314
2 Ivi, p. 281
3 Ivi, p. 287
4 Ivi, p. 283
5 Ivi, p. 232
6 Ivi, p. 244
7 Ivi, p. 7
8 Ivi, p. 21
9 Ivi, p. 22
10 Ivi, p. 22
11 Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora ti appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli non avrai più gli svaghi consueti (Ivi, p. 268).
12 Ivi, p. 32
13 Ivi, pp. 34-35
14 Ivi, p. 42
15 Ivi, p. 113
16 Ivi, p. 102
17 Ivi, p. 111
18 Ivi, p 116
19 Ivi, p. 145
20 Ivi, p. 228
21 Ivi, p. 257