Pico della Mirandola (in realtà, Giovanni dei Pico, conti di Mirandola e della Concordia, località del Modenese) nasce nel 1463. Grazie alle parentele della madre, imparentata con Matteo Boiardo, Pico ha una formazione d’eccellenza, sia a livello universitario sia presso i centri intellettualmente più vivaci della penisola, entrando in contatto con il Poliziano, Marsilio Ficino e la corte medicea. La formazione di Pico si caratterizza subito per lo spiccatissimo sincretismo e l’eterogeneità degli spunti, nonché per un’insaziabile curiosità: alla filosofia neoplatonica si aggiungono gli studi di aristotelismo a Padova, fino all’apprendimento dell’ebraico (oltre al greco e all’arabo), chiave d’accesso fondamentale per i testi della mistica e della cabala. Pico della Mirandola prova a riassumere tutto il suo pensiero nelle Conclusiones, novecento tesi che spaziano attraverso tutto lo scibile umano del tempo, che l’autore prepara (assieme alla celebre prolusione De hominis dignitate) per un futuro convegno di dotti che avrebbe dovuto tenersi a Roma. I sospetti di eresia che si addensano su Pico da parte della curia romana portano non solo all’annullamento del simposio culturale, ma anche al tentativo di fuga in Francia e all’accorata difesa dello scrittore nella Apologia. Nel 1492, due anni prima dell’improvvisa e misteriosa morte, Pico dedica al Poliziano un trattato filosofico, il De ente et uno, in cui svolge l’idea di una possibile sintesi tra dottrine e religioni diverse, e sul rapporto tra l’insufficienza della ragione (che pure arricchisce l’uomo) e il ruolo essenziale dell’amore di Dio.
Autentico spirito umanistico e rinascimentale, Pico nella sua pur breve esistenza, e in particolare nel De hominis dignitate, sa consegnare alla posterità l’idea che in ogni posizione intellettuale ci sia un fondo di verità e che la “concordia” tra le diverse discipline e i differenti punti di vista sia il vero obiettivo dell’intellettuale moderno. Cosa che si vedrà all’opera nella celebre polemica a mezzo di lettera con Ermolao Barbaro, dove, con gli affilati strumenti dell’ironia e della sua profondissima formazione, Pico sostiene ancora una volta le ragioni di una cultura concreta ed attivamente impegnata.