Introduzione
Paul Verlaine (Metz, 1844 – Parigi, 1896) è uno degli autori francesi più importanti della seconda metà dell’Ottocento. Nelle sue poesie, da molti considerate anticipatrici della corrente simbolista, cercò di piegare la musicalità e l’eleganza formale al racconto dei propri dissidi interiori. La sua fu infatti una vita turbolenta, funestata dall’insoddisfazione personale, dai difficili rapporti familiari e dall’alcol. Strinse un forte legame, anche sentimentale, con il più giovane Arthur Rimbaud, alla diffusione della cui opera e alla cui fama contribuì in larga parte. Proprio Rimbaud fu protagonista di un episodio poi destinato a passare alle cronache. Probabilmente in un moto di gelosia, Verlaine esplose infatti contro il giovane poeta due colpi di pistola dopo che quest’ultimo gli aveva comunicato la decisione di lasciarlo. Venne perciò condannato a due anni di carcere, durante i quali si convertì al cattolicesimo e scrisse alcune fra le sue pagine migliori. Una volta uscito dal carcere, cercò con scarsi risultati di rimettersi in sesto. Proprio mentre la fortuna critica ed editoriale cominciava ad arridergli cadde infatti in miseria, ritrovandosi a vivere i suoi ultimi anni in condizioni di estrema indigenza.
La poetica
Ancora prima che per i suoi contenuti, la poetica di Verlaine si caratterizza per l’attenzione posta alla forma dei testi e per gli effetti che essa mira a suscitare nel lettore. L’ambizione di Verlaine era infatti quella di creare una poesia formalmente armoniosa e nel contempo suadente; una poesia che cioè fosse in grado di colpire il lettore di primo acchito, a livello sensoriale prima ancora che razionale.
Questa attenzione e cura per la forma si spiega alla luce di un’idea che sorregge tutta l’opera dell’autore: l’elemento musicale del testo poetico (come un dato testo “suona”) deve essere preponderante rispetto a quello semantico (cosa un dato testo racconta), e – per l’appunto – il suono delle parole utilizzate deve arrivare prima del loro senso. L’importanza attribuita alla musicalità del testo poetico viene indicata in modo programmatico in un componimento datato 1874 e intitolato Ars poetica (Art poétique), che alcuni commentatori ritengono una sorta di manifesto del simbolismo. In questo testo, aperto all’insegna del proclama “Sia musica, sia innanzi tutto musica!” e chiuso ammettendo che “tutto il resto [è] letteratura” 1, si afferma che dalla scelta del metro a quella delle parole passando per le rime lo sforzo del poeta deve essere tutto teso a far percepire l’essenza musicale della poesia. Quest’ultima, inoltre, deve essere alleggerita il più possibile, quasi a diventare – al pari del metro “dispari” suggerito come il più idoneo all’arte poetica – “più vaporosa dell’aria” 2: “Sia musica, ancora e sempre musica! / Il tuo verso sia cosa dileguata / Che si intuisce in fuga da un’anima involata / Verso altri cieli, verso altri amori” 3. È proprio questa idea di una poesia immediata, in grado di parlare anzitutto ai sensi, che attirerà l’interesse dei simbolisti; ed è la sua intrinseca musicalità che ispirerà musicisti come Claude Debussy e Gabriel Fauré, i quali daranno poi forma sonora ai componimenti di Verlaine.
Paradossalmente, questa estrema raffinatezza compositiva e la scelta di investire le risorse poetiche sugli effetti sensoriali dei testi, si accompagna a contenuti tutt’altro che superficiali. Molte fra le poesie di Verlaine, infatti, sono costruite attorno allo struggimento interiore dell’autore, le sue riflessioni amare sull’esistenza, sulla sua fugacità, e soprattutto la convinzione che il suo sia un destino “maledetto”. È una consapevolezza, questa, che pur maturando nel corso degli anni emerge già dai suoi primi componimenti, raccolti nelle Poesie saturnine (Poèmes saturniens), del 1866, il cui titolo allude a quella credenza antica per cui i nati sotto Saturno (come è appunto il caso di Verlaine) sono destinati a patire nel corso della loro vita molte sofferenze. Così, in una delle poesie più note della raccolta ma anche di tutta l’opera di Verlaine, cioè Canzone d’Autunno (Chanson d’Automne), la malinconia del poeta è paragonata alla tristezza del paesaggio autunnale, e il poeta stesso a una foglia in balia del vento: “E vado errando / Nel cupo vento / Che mi trasporta / Di qua, di là / Simile alla / Foglia morta” 4. Ma più esplicitamente, nell’introduzione alla raccolta, si può leggere che “Così han da soffrire i Saturnini e così / Han da morire, – ammettendo che siamo mortali, – / Poi che il corso della vita per loro è disegnato, / Passo a passo, da un Influsso malnato” 5.
È su questi opposti che di fatto si regge la poetica di Verlaine: da un lato – a livello dei contenuti – la malinconia e un certo pessimismo di fondo; dall’altro – a livello formale – l’armonia e la musicalità con le quali questi contenuti vengono espressi.
Opere principali
La poesia del primo Verlaine, rappresentata dai Poemi saturnini, è ancora imparentata con quella estetizzante dei parnassiani 6, frutto di un lavoro certosino sulla forma poetica del sonetto e del verso alessandrino. È però allo stesso tempo una poesia molto personale, da cui emergono già alcune fra quelle istanze che verranno poi messe in rilievo nelle raccolte successive, vale a dire Feste galanti (Fêtes galantes), del 1869, La Canzone Buona (La Bonne Chanson), del 1870, e soprattutto Romanze senza parole (Romances sans paroles), del 1874. I versi contenuti in quest’ultima raccolta vengono scritti nei due anni precedenti, quando dunque Verlaine ha già conosciuto Rimbaud, con il quale ha intrapreso una serie di viaggi per l’Europa e da cui si è infine bruscamente separato, ma soprattutto quando, incarcerato a seguito del ferimento dell’amico-amante, il poeta si converte al cattolicesimo. Entrambe le esperienze incidono sui testi e più in generale sull’esperienza poetica dell’autore. La sua riflessione sull’esistenza si fa infatti più seria, e i temi del pentimento, delle sofferenze terrene e del conforto che la fede può donare assumono un rilievo centrale. Va tuttavia ricordato che, paradossalmente, la conversione religiosa non impedirà a Verlaine di scrivere pochi anni più tardi, quando già la sua parabola sarà tramontata, versi di stampo erotico (se non addirittura pornografico).
Importante è però sottolineare che, proprio con Romanze senza parole, matura definitivamente l’idea – peraltro già presente nelle raccolte precedenti – dell’importanza della musicalità della parola poetica. Il titolo stesso della raccolta, del resto, indica l’intenzione dell’autore di realizzare testi improntati a valorizzare l’aspetto sonoro, e che idealmente possano prescindere dalle parole.
A questa raccolta seguono Saggezza (Sagesse), del 1880, che prosegue sulla falsariga della raccolta precedente, e Un tempo e Poco fa (Jadis et Naguère), del 1884. Quest’ultima comprende testi scritti in vari periodi della vita dell’autore; alcuni fra questi testi (è il caso del sopra citato Ars poetica) risalgono a molti anni prima, altri più recenti rappresentano delle specie di brevi epitaffi poetici. Fra questi ultimi, in particolare, si può ricordare Languore (Langueur), sonetto che secondo alcuni commentatori dell’opera di Verlaine coglierebbe in pieno le atmosfere e i toni del decadentismo: “Sono l’Impero al limite estremo della decadenza, / Che componendo acrostici indolenti / Con stile d’oro, ove danza il languore / Del sole, guarda passare i gran Barbari bianchi” 7. In questi versi, il poeta si paragona a un Impero in procinto di crollare definitivamente, e si ritrae nell’atto di osservare impassibile le rovine che lo circondano. In questa condizione, non può che limitarsi a comporre poesie indolenti, stilisticamente perfette ma ormai prive di un vero e proprio contatto con la realtà.
Le ultime raccolte, pubblicate da Verlaine tra 1888 e 1896, aggiungono poco a quanto già scritto, e anzi sembrano limitarsi a replicare, in maniera talvolta stucchevole, temi e forme delle raccolte precedenti. Tuttavia, ancora una volta per paradosso, proprio nel momento in cui la sua vena creativa va esaurendosi Verlaine verrà nominato Principe dei poeti 8, e la sua fama comincerà a crescere. Ma è ormai troppo tardi: l’8 gennaio del 1896, infatti, morirà di polmonite nella sua casa di Parigi.
Accanto al suo lavoro poetico, va ricordato che Verlaine fu anche autore di alcune prose, di vario argomento e genere, fra cui alcuni testi autobiografici. Su tutti va però ricordato I poeti maledetti(Les Poètes maudits), del 1884 (poi ampliato nel 1888), testo con il quale si fece promotore di alcuni autori al tempo poco conosciuti o non del tutto compresi, ma destinati nel giro di pochi anni a diventare altrettanti capisaldi della poesia moderna. Si tratta di Arthur Rimbaud, Stéphane Mallarmé e Tristan Corbière, cui nella seconda edizione del testo si aggiungeranno Marceline Desbordes-Valmore, Villiers de l’Isle-Adam e – sotto le mentite spoglie di Pauvre Lelian – Verlaine stesso. Fu probabilmente anche quest’ultimo suo atto critico, quando già la sua carriera poetica era in declino, a consegnarlo definitivamente ai posteri, e a far sì che negli anni immediatamente successivi alla sua morte venisse preso a modello dai cosiddetti intellettuali decadenti.
1 P. Verlaine, Ars poetica, in Poesie e prose, a cura di Diana Grange Fiori, prefazione di Luciano Erba, introduzione di Michel Décaudin, Milano, Mondadori, 1992, pp. 357, 359.
2 Ivi, p. 357.
3 Ivi, p. 359.
4 Id., Canzone d’Autunno, in Poesie e prose cit., p. 55.
5 Id., Introduzione a Poesie saturnine, in Poesie e prose cit., p. 21.
6 I parnassiani sono un gruppo di poeti attivi in Francia nella seconda metà dell’Ottocento, accomunati da un’idea di poesia come arte sublime, che deve evitare tanto gli slanci romantici quanto l’impegno civile per focalizzarsi anzitutto sulla forma. Il nome del gruppo è ripreso dal titolo di un’antologia pubblicata nel 1866, Le Parnasse contemporain, sulla quale comparvero anche componimenti dello stesso Verlaine.
7 P. Verlaine, Languore, in Poesie e prose cit., p. 377.
8 Il titolo di Principe dei poeti è un’onorificenza non ufficiale attribuita in Francia a quello che si ritiene essere il poeta più importante del tempo. Il titolo rimane attribuito fino alla morte dell’autore. Nel caso di Verlaine, egli ne fu insignito dal 1894 al 1896.