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Arthur Rimbaud: poesie e opere principali

Introduzione

Nato a Charleville, nelle Ardenne, il 20 ottobre 1854, Arthur Rimbaud è considerato uno dei massimi poeti moderni. Autore di celebri raccolte poetiche, la sua attività copre un arco temporale limitato, di fatto concentrandosi fra il 1870, data in cui tenta di pubblicare i suoi primi versi, e il 1873, quando viene data alle stampe la sua opera più nota, Una stagione in inferno. La sua indole inquieta e la volontà di “rompere” con la tradizione poetica lo portarono a essere etichettato (da Paul Verlaine, suo principale sostenitore) come poeta “maledetto”. Probabilmente a causa dell’insuccesso dei suoi lavori, o forse proprio per la sua irrequietezza, si disaffezionò ben presto alla letteratura, smettendo di comporre versi a soli vent’anni. Per il resto della sua vita viaggiò moltissimo, facendo spesso ritorno a Charleville e mantenendosi con i lavori più diversi. In ultimo si trasferì in Africa, dove si dedicò al commercio e probabilmente anche alla tratta di armi e schiavi. A causa di complicazioni a seguito di un’operazione cui si era sottoposto per amputare una gamba da tempo malata, si spense a Marsiglia il 10 novembre del 1891. La sua fama e il successo dei suoi testi crebbero enormemente negli anni successivi alla sua morte.

 

La poetica

Benché i primissimi componimenti di Rimbaud si collochino sotto il segno dei cosiddetti parnassiani, un gruppo di poeti francesi che concepivano la poesia come un’arte sublime e improntata a ideali classicistici, la sua opera si contraddistingue da subito per l’originalità formale e per una sorta di furia iconoclasta. Per lo meno in apparenza, Rimbaud sembra infatti volersi sbarazzare delle regole e dei modelli ereditati dalla tradizione, e allo stesso tempo farsi carico di una serie di tematiche, esperienze e prerogative solitamente estranee al dominio lirico. Il suo progetto poetico (posto che di vero e proprio progetto si possa parlare) prevede lo scardinamento e la messa in discussione della figura stereotipa del poeta come custode di un sapere superiore, in grado tramite la sua opera di trasmettere contenuti edificanti e di educare il lettore.
Queste considerazioni sono esposte da Rimbaud stesso in una celebre lettera inviata il 15 maggio del 1871 al poeta Paul Demeny, che solitamente viene ricordata come Lettera del Veggente. Qui si afferma che “Il Poeta si fa veggente attraverso un lungo, immenso e ragionato sregolarsi di tutti i sensi”, e che il suo obiettivo ultimo è quello di giungere “all’ignoto” 1. Alcuni commentatori considerano queste parole un vero e proprio manifesto di poetica; altri sottolineano come in realtà si tratti anzitutto di una presa di coscienza dell’autore, il quale – ancora diciassettenne – indica la sua decisione di legare strettamente vita e opera d’arte all’insegna della trasgressione, e insieme il desiderio di una poesia nuova, che si discosti nettamente da quella esistente tanto nella forma quanto nei contenuti.
Un primo esito delle intenzioni espresse nella lettera a Demeny può essere considerato Battello ebbro (Le Bateau ivre), che risale al settembre del 1871. In questa poesia, tra le più celebri dell’autore, Rimbaud assume il punto di vista di un battello senza equipaggio che percorre mari ignoti, scoprendo di volta in volta nuovi paesaggi e territori:

La sorte d’ogni equipaggio mi era indifferente,
Recavo grano fiammingo e cotone inglese.
Quando con i trainanti ebbe fine il clamore,
Discesi per quei fiumi a mio talento.

Nel furibondo sciabordìo delle maree, lo scorso
Inverno, io, più sordo d’un cervello infantile,
Correvo! E libere da ormeggi le Penisole
Non subirono mai scompigli più trionfali 2

Da questi versi traspare l’ideale di una poesia non più sottoposta a vincoli, che dà voce alla confusione ma anche all’entusiasmo del poeta. L’ebbrezza del battello (il senso di libertà che prova nel potersi abbandonare alle acque, senza più doversi preoccupare di dover trasportare un equipaggio) è probabilmente da leggersi come la sregolatezza cui il poeta aderisce nel tentativo di raggiungere l’ignoto; come il battello naufraga “nel Poema / Del Mare” 3, così il poeta si abbandona in balia delle proprie sensazioni e percezioni, mentre i territori nuovi che il battello scopre naufragando possono essere identificati con quei limiti che il poeta si propone di esplorare scrivendo.
L’ideale di poesia che emerge da questi versi verrà poi ulteriormente sviluppato da Rimbaud nelle sue successive poesie, e in particolare nella sua opera maggiore, dove la lingua e la sintassi abbadonano le più tradizionali convenzioni formali per dare vita a una sorta di flusso poetico teso a rendere l’esperienza interiore del poeta. Rimbaud si avvicinerà così all’ideale assoluto di un “linguaggio universale”, di una lingua “dell’anima per l’anima [che riassume] tutto, profumi, suoni, colori” 4.

 

Opere principali

Malgrado a suo nome siano state pubblicate diverse raccolte di poesie, si può dire che Rimbaud sia veramente autore di un solo libro, Una stagione in inferno (Une saison en Enfer), composto tra l’aprile e l’agosto del 1873 e pubblicato per la prima volta a Bruxelles nell’ottobre dello stesso anno. Le altre raccolte pubblicate a suo nome, infatti, sono in realtà frutto di operazioni editoriali postume o realizzate senza l’avallo dell’autore, il quale del resto – ancora ventenne – aveva ben prestoripudiato la poesia. Una stagione in inferno è invece un’opera concepita da Rimbaud sin dall’inizio come unitaria, e può dunque essere intesa come il risultato di un progetto coerente.
Si tratta, per ammissione dello stesso Rimbaud, di una collezione di piccole storie in prosa, o meglio di brevi poemi i quali non hanno una struttura poetica immediatamente riconoscibile, e tendono ad avvicinarsi maggiormente alla prosa. I testi non sono infatti suddivisi in versi e strofe, e le tradizionali strutture poetiche (come per esempio le rime) vengono meno.
La raccolta è composta da nove sezioni, precedute da un Prologo in cui l’autore chiarisce quale sia il suo intento. Dopo avere ammesso di essersi “disteso nel fango”, “asciugato al vento del delitto” e di avere “giocato qualche brutto tiro” alla follia, allontanando dal suo spirito “tutta l’umana speranza” 5, invoca Satana e dichiara di voler raccontare il suo viaggio infernale. L’inferno in questione è la società occidentale del suo tempo e i valori morali, religiosi ed economici a essa connessi; questi valori – viene suggerito – opprimono la libertà individuale, e per questo motivo è necessario sbarazzarsene. Una stagione in inferno può essere letto come il tentativo di realizzare questo proposito. Nella prima sezione del poema, intitolata Sangue cattivo (Mauvais sang), il poeta si descrive come “una bestia” pagana, che intraprende un viaggio lontano dalla civiltà perché questa è malata, ispirata “dalla febbre e dal cancro” 6. Durante questo viaggio, che occupa le successive sezioni della raccolta, incontra personaggi che raccontano le loro storie di dannazione, si identifica con essi, per il loro tramite rievoca – trasfigurandoli – momenti della propria vita.
Ma Una stagione all’inferno è anche il poema in cui Rimbaud riflette sulla sua esperienza poetica, cercando di tracciare un bilancio. In particolare, nella seconda parte della terza sezione della raccolta, Alchimia del verbo (Alchimie du verbe), Rimabud ripercorre le tappe della sua opera, parla del “vecchiume poetico” in essa contenuto, del suo tentativo di “sviare gli incantamenti adunati sul suo cervello” attraverso lo sregolamento dei sensi e del tentativo di andare oltre i limiti, per poi concludere affermando che “È finita. Oggi, so salutare la bellezza” 7. Questa constatazione, che è anche una dichiarazione di sconfitta – la sconfitta di non essere stato in grado, attraverso la poesia, di evadere dall’inferno in cui era prigioniero –, viene poi ripresa nell’ultima sezione della raccolta, intitolata Addio (Adieu): “Ho cercato d’inventare nuovi fiori, nuovi astri, carni nuove, lingue nuove. Ho creduto di poter acquisire poteri sovrannaturali. Ebbene! Mi tocca sotterrare l’immaginazione e i ricordi!” 8. Si tratta di una consapevolezza che comporta inevitabilmente un ritorno alla realtà, e che forse contiene già la decisione – di lì a breve maturata – di congedarsi dalla poesia.
In realtà, sappiamo che Rimabud continuò, anche se per poco, a scrivere, anche a dispetto dell’insuccesso della sua raccolta maggiore. I suoi ultimi componimenti sono infatti datati, per lo meno presumibilmente, tra il 1874 e il 1875, dunque due anni dopo la pubblicazione di Una stagione all’inferno. Ma laddove i testi compresi in quest’ultima raccolta erano appunto il frutto di una visione unitaria, di un progetto poetico vero e proprio, i testi scritti successivamente sono tra loro meno coerenti e la loro natura è eterogenea, sia per tono che per genere. Quarantadue fra questi furono riuniti per volontà di Verlaine in una raccolta cui egli stesso diede il nome di Illuminazioni (Illuminations), e che venne pubblicata nel 1886, quando ormai Rimbaud era in Africa e la tentazione della poesia non era ormai che un lontano ricordo.

1 A. Rimbaud, Rimbaud a Paul Demeny – 15 maggio 1871, in Opere, a cura di Diana Grange Fiori, Introduzione di Yves Bonnefoy, Milano, Mondadori, 1992, p. 454.

2 Id., Battello ebbro, in Opere cit., p. 143.

3 Ibid.

4 Id., Rimbaud a Paul Demeny – 15 maggio 1871, in Opere cit., pp. 455, 457.

5 Id., Una stagione in inferno, in Opere cit., p. 211.

6 Id., Sangue cattivo, in Opere cit., p. 221.

7 Id., Alchimia del verbo, in Opere cit., pp. 243, 251, 253.

8 Id., Addio, in Opere cit., p. 263.