Seconda lezione dedicata al trattato Del principe e delle lettere di Vittorio Alfieri.
Dopo aver passato in rassegna - nella lezione precedente - il contenuto dei tre libri che compongono il trattato, il relatore affronta alcuni passi del terzo libro, dedicati alla spiegazione dell'impulso naturale e di quello artificiale.
Lo scrittore autentico, per Alfieri, è colui che possiede in sè l'impulso naturale e che riesce a coltivarlo, in antitesi alla tirannide del principe. Scrive l'autore: "è questo impulso, un bollore di cuore e di mente, per cui non si trova mai pace, nè loco; una sete insaziabile di ben fare e di gloria; un reputar sempre nulla il già fatto, e tutto il da farsi, senza però mai dal proposto rimuoversi; una infiammata e risoluta voglia e necessità, o di esser primo fra gli ottimi, o di non essere nulla" (libro III, capitolo VI).
Ritornano qui i campi semantici e i concetti già espressi dal tragediografo astigiano nella Vita scritta da esso, come l'irrequietezza e l'uso di un linguaggio che parla di calore.
L'impulso naturale rappresenta, dunque, lo spirito sublime del letterato che gli permette di innalzarsi al di sopra della mediocrità incarnata dal principe. Il desiderio di gloria per sè non deve mai, però, essere slegato da quello di recare giovamento agli altri.
Dopo aver passato in rassegna - nella lezione precedente - il contenuto dei tre libri che compongono il trattato, il relatore affronta alcuni passi del terzo libro, dedicati alla spiegazione dell'impulso naturale e di quello artificiale.
Lo scrittore autentico, per Alfieri, è colui che possiede in sè l'impulso naturale e che riesce a coltivarlo, in antitesi alla tirannide del principe. Scrive l'autore: "è questo impulso, un bollore di cuore e di mente, per cui non si trova mai pace, nè loco; una sete insaziabile di ben fare e di gloria; un reputar sempre nulla il già fatto, e tutto il da farsi, senza però mai dal proposto rimuoversi; una infiammata e risoluta voglia e necessità, o di esser primo fra gli ottimi, o di non essere nulla" (libro III, capitolo VI).
Ritornano qui i campi semantici e i concetti già espressi dal tragediografo astigiano nella Vita scritta da esso, come l'irrequietezza e l'uso di un linguaggio che parla di calore.
L'impulso naturale rappresenta, dunque, lo spirito sublime del letterato che gli permette di innalzarsi al di sopra della mediocrità incarnata dal principe. Il desiderio di gloria per sè non deve mai, però, essere slegato da quello di recare giovamento agli altri.