Per Alfieri la libertà è l'esigenza principale di ogni uomo dal «forte sentire» e rappresenta la chiave della sua esistenza; tuttavia essere liberi in un mondo governato dall'assolutismo conduce inevitabilmente a un conflitto tragico con il potere. La tirannia delle moderne monarchie assolute del suo tempo (Austria, Prussia, Russia, Francia, Regno di Sardegna) assegnava all'aristocrazia un ruolo di complicità cortigiana e la espropriava della sua specifica autonomia. I suoi trattati politico-letterari nascono dallo sdegno e dal rifiuto del servilismo della nobiltà verso il potere monarchico, ritenuto primo fattore della sua decadenza. Formatosi sulle opere di Montesquieu, Helvétius, Rousseau, Voltaire, il suo discorso si struttura sulle posizioni più moderate dell'illuminismo, ma rifiuta il dispotismo illuminato di Voltaire e la distinzione tra monarchia e dispotismo di Montesquieu. Alfieri sembra guardare alla monarchia costituzionale inglese come l'unica forma di governo capace di garantire un certo grado di autonomia alla classe nobiliare e il suo atteggiamento si ispira principalmente all'opera di Plutarco: l'esaltazione dell'eroismo e della virtù e l'amore per la libertà sono i materiali principali del suo rifiuto antimonarchico. Nonostante la sua cultura politica sia prevalentemente illuministica, Alfieri mantiene uno stretto legame con gli autori del passato e tende a proporre una restaurazione individualistica dei costumi e dei valori dell'antichità.
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