Lo "Zibaldone" di Leopardi: struttura dell'opera e teoria della "doppia vista"

Introduzione allo Zibaldone di pensieri di Giacomo Leopardi, lettura e commento di un passo scelto, a cura di Andrea Cortellessa.
 
Viene presentata la struttura dell'opera e vengono evidenziate le riflessioni letterario-filosofiche di Leopardi che sembrano anticipare quelle dei filosofi del Novecento. Lo Zibaldone dice Cortellessa, "è un grande edificio incompiuto, che proprio nella sua incompiutezza mostra il suo carattere moderno". Qui si presenta la lettura e il commento della pagina dello Zibaldone sulla "Doppia vista", scritta nel 1828: in poche righe vengono condensati la linea di lavoro di Leopardi poeta, la sua intuizione del compito del poeta e la specificità della sua visione della letteratura e dell'esistenza. In questo brano Leopardi sembra contraddire la sua concezione materialistica e il suo sensismo, dal momento che afferma l'esistenza di oggetti astratti molto più evocativi e importanti di quelli reali per l'immaginario del poeta. Sono gli oggetti e i luoghi dell'immaginazione. Tuttavia Leopardi non sta evocando un'astrazione o una fuga dalla realtà, ma una "doppia vista", come la definisce lui stesso, che è qualcosa che si basa sulla realtà e che si fonda sull'esperienza sensibile ma che permette, proprio per le sue fondamenta empiriche, uno sguardo che supera il reale. Questa teoria dell'immaginazione evidenzia l'essenza stessa del poeta: questa doppia natura, questa "doppia vista", fisica e metafisica.
 
Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il manifesto e La Stampa-Tuttolibri.
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Ancora una pagina dello Zibaldone. 30 novembre 1828: qui siamo nell’ambito della riflessione più specificamente letteraria, poetica di Leopardi e che peraltro si mescola inscindibilmente con la riflessione filosofica. Nel secolo e più che ci separa da questa esistenza sono stati molti coloro che si sono interrogati se il pensiero di Leopardi possa essere considerato quello di un vero e proprio filosofo. In realtà la temperie culturale prevalente nell’Italia novecentesca, nella prima metà del 900, quella dell’idealismo, tendeva a negare "la patente di filosofo" a Leopardi, per via delle numerose contraddizioni, non solamente nel tempo, delle varie tesi, delle varie posizioni che Leopardi alterna nelle diverse fasi del suo pensiero, ma anche per le contraddizioni intrinseche in ogni singola fase del suo pensiero stesso. E tuttavia proprio anche per la forma in cui lo Zibaldone è scritto, una forma antisistematica, antilineare, che ha una struttura assolutamente non compatibile con ogni tentativo di ordinamento, con ogni possibilità di trattazione organica, anticipa in realtà il tipico modo di ragionare e di argomentare dei filosofi del tempo successivo, dei filosofi del '900. Non è un caso che il pensiero di Leopardi abbia numerose tangenze con quello di grandi poeti, sia coetanei del suo stesso tempo, sia immediatamente successivo. Penso a Novalis, grande poeta romantico tedesco, che compone un gran numero di pensieri sempre in questa forma frammentaria non sistematica, oppure ai cosiddetti Cahiers, i quaderni che Paul Valery alla fine dell’800 e nei primi decenni del 900 a sua volta assommerà in gran copia, oppure ancora a quel gran libro scritto e mai pubblicato da Walter Benjamin su Parigi capitale del XIX secolo. Lo Zibaldone è un grande edificio incompiuto, che proprio nella sua incompiutezza mostra il suo carattere più moderno ed in questa pagina appunto del 1828 in poche righe condensa la linea di lavoro del Leopardi poeta, la sua intuizione del compito del poeta, della specificità della visione del poeta all’’interno della letteratura e direi di più, all’interno dell’esistenza.


“All'uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; udrà cogli orecchi un suono d'una campana; e nel tempo stesso coll'immaginazione vedrà un'altra torre, un'altra campagna, udrà un altro suono. In questo secondo genere di obiettivi sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione.”

 

Ora questo appunto è un passo che parrebbe contraddire il materialismo leopardiano, parrebbe contraddire il sensismo della riflessione leopardiana, cioè quell’insistere tipico della riflessione di Leopardi sugli elementi sensibili. Sembrerebbe dirci Leopardi che ci sono tutta una serie di oggetti immaginari, di visioni astratte, visioni non legate direttamente al referente reale, che sono tanto più importanti delle cose stesse, che sono tanto più evocativi, suggestivi, tanto più nutrienti per l’immaginario del poeta, appunto i luoghi degli oggetti dell’immaginazione. Eppure se ci facciamo caso qui Leopardi non sta evocando un’astrazione, una sorta di fuga dalla realtà, ma sta evocando una sorta di doppia vista, qualcosa che si fonda sulla realtà, che si basa sul dato sensibile, sensistico, sul dato empirico dei nostri sensi, delle nostre sensazioni, e che solo in quanto si basa su quello può permettere uno sguardo ulteriore, uno sguardo penetrante, uno sguardo che va in un’altra direzione. Ora, in questo doppio binario, in questo doppio canale dell’immaginazione, c’è tutta la modernità di Leopardi, c’è il suo essere molto al di là delle poetiche del suo tempo, tanto nel Neoclassicismo, che gli poteva insegnare Pietro Giordani, tanto nel Romanticismo, vissuto come mero catalogo di immagini cupe, tenebrose, che poteva venire appunto dalla letteratura delle ballate nordiche che nella Milano del Conciliatore doveva essere la grande poesia moderna, e che Leopardi rifiutava. Si tratta invece di una visione, di una sensazione, di una - come dicevano in quegli anni i poeti e i teorici tedeschi - "sensazione", che Leopardi ha in comune appunto con i grandi poeti e con i grandi pensatori della sua età. E’ qualcosa che va al di là delle epoche letterarie, va al di là anche della stessa suddivisione che manualisticamente si tende a fare del pensiero di Leopardi tra un pessimismo storico, un pessimismo cosmico, e tutte formule che gli sono state sovrapposte. In realtà la parte più originale di Leopardi è proprio questa parte fisica e metafisica insieme (una delle Operette Morali si chiamerà proprio Dialogo di un fisico e di un metafisico). Ed è proprio questa doppia natura delle cose, questa doppia vista, che è l’essenza stessa della sensibilità del poeta ed è quella di Leopardi dello Zibaldone una vera e propria filosofia dell’immaginazione, una teoria dell’immaginario che si squaderna e si dipana tra immagini e visioni che troveranno nelle forme poetiche, nelle immagini della poesia, la loro più consapevole, più matura messa a punto, spesso in anticipo rispetto alla loro elaborazione nelle pagine dello Zibaldone. E’ come se la poesia e la prosa filosofica dello Zibaldone fossero a loro volta in un rapporto di mutuo e dinamico scambio, esattamente come la realtà fisica l’immaginazione metafisica, fossero costantemente l’una lo stimolo dell’altra, fossero l’uno il punto di innesco, di inizio, dell’altro. Teoria e poesia, pensiero ed estetica, bellezza e verità sono tutt’uno.