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Leopardi, "Canti pisano-recanatesi": introduzione e commento

Introduzione: la nuova fase poetica dei Canti

 

Dopo il lungo silenzio poetico (1822-1828), in cui Leopardi scrive le Operette morali, a partire dal 1828 il poeta ricomincia a comporre. Nasce qui quella che costituirà la seconda sezione dei Canti, i cosiddetti canti "pisano-recanatesi (Il Risorgimento, A Silvia, Il passero solitario, Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio, il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia), scritti durante il soggiorno di Leopardi a Pisa e il suo ritorno a Recanati, prima di abbandonare il paese nel 1830. Secondo una definizione, risalente al critico Francesco De Sanctis (1817-1883), questi testi vengono anche chiamati grandi idilli, presentandosi cioè come uno sviluppo dello stile e della poetica dei “piccoli idilli” del 1818-1821. Questi componimenti si distinguono tuttavia dalla fase precedente soprattutto per lo schema metrico e per la svolta “filosofica” successiva alle Operette morali.

Dal punto di vista metrico, mentre i “piccoli idilli” sono in endecasillabi sciolti, questi nuovi versi hanno la forma della canzone libera, con alternanza di settenari ed endecasillabi.

 

Il pessimismo cosmico leopardiano

 

La concezione leopardiana della realtà passa dal pessimismo storico al pessimismo cosmico. Così l'infelicità individuale del poeta diventa comune a tutti gli esseri viventi, vittime di un identico destino. Proprio per questo, l'argomento dei canti non è più il ritorno alle illusioni, ma la dimensione memoriale, per riprendere e recuperare sensazioni e situazioni appartenenti a un passato lontano. Ed è questo uno dei temi centrali dei componimenti: la caduta delle illusioni e la scoperta del "vero". Il crollo delle illusioni porta inevitabilmente al confronto con la Natura, ormai matrigna, che ha abbandonato l'uomo alla sua dolorosa esistenza (come in A Silvia, vv. 36-38: "o natura, o natura, | perché non rendi poi quel che prometti allor?").

La consapevolezza che la vita è solo un inganno illusorio è particolarmente esplicito in due figure-chiave dei canti “pisano-recanatesi”, ovvero Silvia e Nerina. Le due giovani sono destinate a una morte prematura, dopo aver simboleggiato - soprattutto la prima - la speranza di una possibile felicità. Ma non solo; il poeta recupera anche la propria biografia personale, tratteggiando i quadri della vita nel “natio borgo selvaggio” (la Recanati de Le ricordanze), come nel Sabato del villaggio e nella Quiete dopo la tempesta. Sono figure e situazioni concrete, legate alla memoria del poeta, che diventano esempi e testimonianze delle concezioni morali e filosofiche di Leopardi sul mondo. Un componimento differente, perché lontano dal mondo campagnolo di Recanati, è invece il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia. La riflessione del poeta non è concentrata nella sua dimensione personale e individuale, ma assume un carattere universale e fortemente drammatico, perché espressa da un personaggio esterno, da un individuo comune e non eroico, e in uno spazio ideale e lontano. Non è più il poeta che si rivolge alla luna, ma un suo alter ego, il pastore, che mostra con il suo canto alla luna la sofferenza di ogni uomo.

Centrale è sempre la riflessione del poeta su alcuni temi come la giovinezza e la morte, il pessimismo cosmico e la crudeltà della Natura indifferente. Alla base poetica e stilistica dei canti "pisano-recanatesi", come degli Idilli, vi è la poetica dell'indefinito e del vago, ma questa si evolve in una dimensione di ricordo e di rievocazione del passato. Per questo si può parlare di poetica della ricordanza. Questo aspetto fondamentale del ricordo è presente in tutti i canti, come base e punto di partenza: il poeta ricrea immagini del passato, che sa che non potranno più tornare.

A livello linguistico-stilistico si crea un contrasto tra scelte stilistiche e riflessione filosofica: infatti Leopardi non traspone del tutto a livello ritmico-sintattico la durezza e la drammaticità della sua analisi del presente, tradotta nel definitivo crollo delle illusioni. Questa attenuazione si appoggia allora sulla vaghezza del linguaggio e sul ricordo consolatorio, ma sempre doloroso.