L’endecasillabo è il verso più importante dell'intera poesia lirica italiana e il maggiormente usato in tutta la tradizione nazionale, dalle origini (con Dante Alighieri e Francesco Petrarca) fino alle soglie della versificazione libera novecentesca. Viene utilizzato per molte delle forme metriche, in particolar modo per quelle meglio consolidate e radicate nella storia letteraria: il sonetto (canonizzato sin dai tempi della scuola siciliana), la ballata, la canzone (codificata dalla lezione petrarchesca del Canzoniere), l'ottava (caratteristica dei poemi cavallereschi ed epici di Boiardo, Ariosto e Tasso) e la sestina lirica.
Per endecasillabo si intende un verso, tendenzialmente di undici sillabe (il nome deriva dal greco éndeka, "undici"), che abbia come ultima sillaba tonica (e cioè, accentata) la decima. Numerose sono, tuttavia, le varietà formali, che si realizzano in base alla posizione delle altre sillabe toniche all’interno del verso, alle cesure (cioè le pause del ritmo all'interno del verso) e alle uscite dell'endecasillabo stesso. Due varianti sono le più importanti: la prima si realizza con la quarta sillaba accentata, dando vita così nella parte iniziale (o emistichio) dell'endecasillabo a un quinario, che risulta più breve della parte restante del verso, il quale viene pertanto detto a minore. La seconda possibilità si realizza quando è la sesta sillaba ad essere tonica, realizzando nella parte iniziale un settenario, cioè un emistichio più lungo della parte restante del verso, che quindi è chiamato nel suo complesso a maiore. I primi due versi del canto incipitario della Commedia di Dante sono appunto un endecasillabo a maiore e uno a minore:
Nel | mez|zo | del | cam|mìn | di | nos|tra | vi|ta
mi | ri|tro|vái | per | u|na | sel|va os|cú|ra
Questi due modelli presentano al loro interno diversi soluzioni stilistiche. In particolare per l’a minore sono utilizzati per lo più due tipi, il primo con accenti sulla quarta, ottava e decima sillaba (come nel v. 2 citato sopra), il secondo con accentate la quarta, la settima e la decima; nell’a maiore generalmente viene accentata, oltre alla sesta e alla decima sillaba, almeno una delle sillabe che precedono la sesta, di solito la seconda, ma in certi casi anche la prima e la quarta. Se dobbiamo la canonizzazione metrica dell'endecasillabo alle Prose della volgar lingua di Pietro Bembo (e alla scuola del petrarchismo), non mancano naturalmente autori che nel corso dei secoli si sono discostati dalle "regole": l’endecasillabo non canonico (dove la quarta e la sesta sillaba sono atone) è comunque raro e viene usato soprattutto nella poesia delle origini o in autori particolari come Guittone D'Arezzo e Cino da Pistoia, riemergendo semmai in sperimentazioni metriche novecentesche, come in Eugenio Montale.