Nelle sue Rime, edite prima nel 1530 e poi nel 1535, Pietro Bembo attua un'importante “rifondazione del petrarchismo”: l'imitazione quattrocentesca di Petrarca, che mostra fino a quel momento una natura ibrida, riadattata e spesso occasionale, viene superata a favore di un travestimento totale della personalità letteraria dello scrittore toscano, che nel suo corpus poetico racconta di errori giovanili e di illusioni, di un sofferto e tormentato rapporto con Dio e di una maturità spirituale raggiunta solo in età adulta. Bembo instaura perciò, nel suo canzoniere, l'imitazione di quel tracciato storico dell'intimità personale già visibile nelle opere del poeta trecentesco. La struttura delle Rime, che conta 165 testi, segue il principio di un unico modello per ogni genere della comunicazione letteraria, discusso per la prima volta in uno scambio epistolare tra il 1512 e il 1513 con Giovanni Francesco Pico della Mirandola.
Una caratteristica che l'autore ripropone in maniera sistematica nelle Prose della volgar lingua, in cui predomina però la descrizione delle proprietà stilistico-retoriche del suo "ottimo modello" (il Petrarca), nella ricerca di un equilibrio formale assieme a una commistione armonica tra gravità e piacevolezza. Pubblicate per la prima volta nel 1525, le Prose sono un trattato in forma di dialogo ambientato a Venezia in un periodo antecedente al 1503, tra Federico Fregoso, Giuliano de' Medici, Ercole Strozzi e Carlo Bembo, preceduto da una dedica al cardinale Giulio de' Medici. L'opera è suddivisa in tre libri: il primo tratta delle origini del volgare e dei suoi legami con il latino e il provenzale; in questa prima sezione vengono meglio definite le caratteristiche del volgare italiano e viene confutata la tesi della lingua cortigiana (sostenuta ad esempio dal Castiglione), a favore della teoria arcaizzante, dell'eccellenza del toscano letterario e dell'imitazione di Boccaccio per la prosa e di Petrarca per la poesia. Nel secondo libro, vengono trattate le tesi già citate della gravità e della piacevolezza, oltre a quella della variatio, esposta attraverso le parole di Federico Fregoso. In questa parte, Bembo mette in atto un confronto stilistico tra Dante e Petrarca, a favore di quest'ultimo. Nel terzo libro è contenuta la descrizione di una lingua stabile e depurata, e cioè una vera e propria grammatica della lingua toscana letteraria, esposta attraverso numerosi esempi.
Con il modello delle Rime e la teoria delle Prose, il “classicismo moderno” di Bembo stabilisce un nuovo e più definito orientamento della lingua letteraria italiana e determina la progressiva scomparsa del latino.