Nel serie fantascientifica di successo Star Wars si narra di una “guerra dei cloni” in cui una delle due fazioni possiede un esercito costituito da soldati tutti uguali e indistinguibili fra di loro chiamati per l'appunto cloni: il termine viene usato per identificare due entità identiche, una delle quali deriva dall’altra.
Altrettanto successo mediatico ha ricevuto un esperimento di genetica salito alla ribalta nel 1997, e diventato famoso come il caso della “clonazione della pecora Dolly" che permise di ottenere un animale uguale alla madre, in quanto i loro corredi genetici erano identici. Un termine simile a clonazione, “clonaggio”, viene invece usato per identificare la replicazione di un frammento di DNA in molteplici copie uguali, utilizzando un microorganismo ospite: esso viene “preso in prestito” per poterne utilizzare l’apparato di replicazione del DNA.
Il gene d’interesse viene prima di tutto isolato dalla “fonte naturale”, ovvero dall’organismo che lo possiede: per fare ciò è possibile utilizzare la tecnica chiamata PCR (polymerase chain reaction) che permette di ottenere moltissime copie soltanto di questo gene, riuscendo a “ignorare” le regioni precedenti (a monte) e successive (a valle) ad esso. Successivamente il frammento di DNA viene inserito all’interno di un vettore, un plasmide o un cromosoma sintetico (o di origine naturale), che ne permetta la replicazione: questo processo prende il nome di ligazione.
Una volta ottenuto il vettore completo esso deve essere incorporato nell’ospite con un metodo chiamato trasformazione, nel caso in cui l’ospite sia un procariota come E. coli o un eucariota unicellulare come S. cerevisiae (per una loro descrizione si rimanda a questa lezione), o trasfezione, nel caso di cellule eucariotiche superiori, come quelle umane.
Per identificare e far crescere soltanto le cellule che hanno ricevuto il vettore, vengono utilizzati marcatori di selezione pre-inseriti nel vettore, ovvero geni che forniscono un fenotipo particolarmente visibile o che permettono la sopravvivenza in certe condizioni ambientali.
Classici marcatori di selezione sono quelli che conferiscono la resistenza a un antibiotico, per il quale l’ospite utilizzato è sensibile: solo le cellule trasformate (o transfettate) saranno in grado di vivere in un terreno contenente quell’antibiotico.
A questo punto le cellule vengono lasciate in crescita, durante la quale replicheranno anche il vettore di clonaggio, cedendolo anche alle cellule figlie. Siamo poi in grado di degradare le cellule e recuperare soltanto il vettore contenente il gene d’interesse che ora risulta essere moltiplicato in numero di copie.
In alternativa è possibile clonare il gene all’interno del vettore utilizzando direttamente la PCR, al fine di velocizzare il processo.
La tecnica del clonaggio può essere usata anche per la creazione di una collezione di cellule, generalmente batteriche, o vettori che rechino frammenti di DNA estranei (eterologhi) che nell’insieme rappresentano tutto il DNA con certe caratteristiche.
Questa “raccolta” viene chiamata libreria genomica nel caso in cui il DNA da cui si è partiti costituisse il genoma di un organismo in tutte le sue parti.
Per costruire una libreria non è strettamente necessario aver portato a termine in precedenza il sequenziamento del genoma, poiché la sua suddivisione nei vari frammenti avviene in maniera casuale. In questo modo si ha la certezza che in media tutto il DNA sia equamente rappresentato nei plasmidi, e di conseguenza nei ceppi che con essi sono stati trasformati o trasfettati.
Le librerie possono essere anche di altro tipo, come le librerie a cDNA, che rappresentano soltanto i geni trascritti, e le librerie di espressione, costruite in modo che il ceppo ospite sintetizzi la proteina codificata dal gene (o dai geni) presenti nel frammento eterologo. La libreria può essere inoltre utilizzata per la ricerca (screening) di una particolare sequenza fra tutte quelle presenti.