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“La cena di Trimalcione” dal Satyricon di Petronio

Introduzione: la Cena Trimalchionis (Satyricon, 27-78)

 

La Cena Trimalchionis è un lungo episodio (dal capitolo 27 al capitolo 78) del Satyricon di Petronio che, a differenza della maggior parte del romanzo, tramandatoci in modo soltanto parziale, è giunto integro fino a noi. Nella ricostruzione moderna del Satyricon, l’episodio occupa il centro della narrazione e racconta la cena-spettacolo a casa del liberto Trimalchione (o Trimalcione) cui assistono, più che partecipare, i tre protagonisti dell’opera, Encolpio, Ascilto e Gitone. Nell’economia del romanzo la Cena, che non determina alcun avanzamento nella storia di Encolpio e dei compagni, costituisce di fatto una pausa, nella quale l’autore offre uno spaccato (grottesco ed efficacissimo) della società del tempo. I personaggi che vi partecipano sono infatti la rappresentazione, a volte realistica a volte caricaturale, di alcune tipologie umane che dovevano animare la vita delle città campane nel I secolo d.C.

 

Primo tra tutti, Trimalchione è l’emblema del “servo arricchito”, cioè del liberto 1 che è riuscito ad accumulare notevoli ricchezze, ma che non sa come usarle (se non per farne sfoggio di fronte ai suoi ospiti) e che si dà arie da raffinato poeta, pur essendo rozzo e ignorante.

Trimalchione, insomma, vorrebbe essere ciò che non è, e quindi risulta ridicolo o persino grottesco. Parimenti i suoi convitati, che sono anch’essi liberti o parassiti affamati, si improvvisano retori o poeti, ma in realtà sembrano interessati soprattutto alle gioie del cibo e del sesso. Durante la cena si intavolano quindi discorsi apparentemente seri ed elevati sul senso della vita e della morte, ma si finisce poi per raccontarsi soprattutto storie scabrose o persino macabre, e ci si abbandona al vino e agli incontri erotici. Da un certo momento in poi si annullano anche le apparenti distinzioni di classe sociale e i liberti arricchiti fanno comunella con la servitù; il gruppo dei veri letterati, capeggiato dal retore Agamennone, rimane in silenzio, ma la sua presenza stimola tutti gli altri a fingersi colti e interessati a temi di letteratura o di arte.

 

La Cena Trimalchionis, lungi dal seguire un andamento coerente e narrativo, si frantuma in singole scenette e il sontuoso banchetto, dove vengono servite portate simili a opere d’arte, non è altro che una cornice in cui si inseriscono diversi quadretti (come i discorsi retorici di Trimalchione e dei suoi ospiti, i racconti di eventi stupefacenti, le danze, gli spettacoli circensi) che concorrono a creare un’atmosfera realistica e al contempo barocca, di cui i veri protagonisti sono il lusso, la volgarità e l’eccesso.

Del lungo passo della Cena sono particolarmente significativi i due brani che aprono e chiudono l’episodio, che sono particolarmente significativi per delineare sia la figura del liberto Trimalchione (e, di conseguenza, di tutta la categoria sociale di appartenenza) sia l’atmosfera dell’intero banchetto.

 

L’arrivo alla casa di Trimalchione (28,8-29,8)

 

Dopo essere stati alle terme e aver lì incontrato per la prima volta il padrone di casa, Trimalchione, i tre protagonisti del romanzo arrivano a casa del liberto e, già solo camminando per il portico, cominciano a capire la personalità del loro ospite, che ha fatto affrescare i muri con delle scene della sua vita e ha conservato la sua prima barba, per metterla in mostra come se fosse una reliquia.

 

[28.8] In aditu autem ipso stabat ostiarius prasinatus, cerasino succinctus cingulo, atque in lance 2 argentea pisum purgabat. [9] Super limen autem cavea pendebat aurea, in qua pica varia intrantes salutabat. [29.1] Ceterum ego dum omnia stupeo, paene resupinatus crura mea fregi 3. Ad sinistram enim intrantibus non longe ab ostiarii cella canis ingens, catena vinctus, in pariete erat pictus superque quadrata littera scriptum “cave canem” 4. [2] Et collegae quidem mei riserunt, ego autem collecto spiritu non destiti totum parietem persequi 5. [3] Erat autem venalicium cum titulis 6pictum, et ipse Trimalchio capillatus caduceum 7 tenebat Minervaque ducente 8 Romam intrabat. [4] Hinc quemadmodum ratiocinari didicisset deinque dispensator factus esset, omnia diligenter curiosus pictor cum inscriptione reddiderat. [5] In deficiente 9 vero iam porticu levatum mento in tribunal excelsum Mercurius rapiebat. [6] Praesto erat Fortuna cornu abundanti copiosa 10 et tres Parcae 11aurea pensa torquentes 12. [7] Notavi etiam in porticu gregem cursorum cum magistro se exercentem. [8] Praeterea grande armarium in angulo vidi, in cuius aedicula erant Lares 13 argentei positi Venerisque signum marmoreum et pyxis aurea non pusilla, in qua barbam ipsius conditam esse dicebant.

 

[28.8] Nell’atrio stesso stava il portiere vestito di verde, legato con una cintura color ciliegia, e lavava piselli in un catino d’argento. [9] Sopra la soglia, poi, pendeva una gabbia d’oro, nella quale una gazza dai vari colori salutava chi entrava. [29.1] Io, del resto, mentre guardavo stupefatto ogni cosa, per un pelo non mi ruppi le gambe cadendo riverso. Infatti alla sinistra di chi entra, non lontano dalla guardiola del portiere, era dipinto sulla parete un grande cane, legato ad una catena, e sopra, a lettere capitali, c’era scritto “ATTENTI AL CANE”. [2] E i miei compagni certo risero di me, ma io, ripreso fiato, non rinunciai a scrutare l’intera parete.  [3] C’era poi dipinto un gruppo di schiavi in vendita con le targhette, e lo stesso Trimalchione, ancora con i capelli lunghi, teneva il caduceo ed entrava a Roma sotto la guida di Minerva.  [4] Da quel momento, in qualunque modo avesse imparato a tenere i conti e fosse poi divenuto amministratore, il pittore scrupoloso aveva registrato tutto con cura, mettendovi anche la didascalia. [5] Poi, dove il portico stava per finire, Mercurio lo rapiva, sollevandolo per il mento e portandolo a un seggio eminente. [6] Vicino c’era la Fortuna, fornita di un corno abbondante, e le tre Parche che filavano fili d’oro. [7] Notai poi nel portico un gruppo di schiavi corridori che si esercitava con l’istruttore. [8] Infine in un angolo vidi un grande armadio, nella cui edicola erano stati posti dei Lari d’argento, una statua di marmo di Venere e un cofanetto d’oro non piccolissimo, nel quale dicevano che fosse custodita la barba di Trimalchione stesso.

 

La fine della festa e il finto funerale di Trimalchione (77,4- 78,8)

 

Dopo una lite furibonda con la moglie Fortunata, nel delirio finale del banchetto, ormai completamente ubriaco, Trimalchione tiene un lungo discorso in cui presenta la propria vita e si vanta dei notevoli successi economici conseguiti. Alla fine, Trimalchione chiede agli schiavi di portarlo via in un sudario, celebrando un finto funerale. Nel frattempo, gli eccessivi schiamazzi e la musica troppo alta hanno fatto arrivare i vigili, che pongono definitivamente fine alla festa.

 

[77.4] “Interim dum Mercurius vigilat, aedificavi hanc domum. Ut scitis, cusuc 14 erat; nunc templum est. Habet quattuor cenationes, cubicula viginti, porticus marmoratos duos, susum cellationem, cubiculum in quo ipse dormio, viperae huius 15sessorium, ostiarii cellam perbonam; hospitium hospites C capit. [5] Ad summam, Scaurus 16 cum huc venit, nusquam mavoluit hospitari, et habet ad mare paternum hospitium. Et multa alia sunt, quae statim vobis ostendam. [6] Credite mihi: assem habeas, assem valeas; habes, habeberis 17. Sic amicus vester, qui fuit rana, nunc est rex 18. [7] Interim, Stiche 19, profer vitalia, in quibus volo me efferri. Profer et unguentum et ex illa amphora gustum, ex qua iubeo lavari ossa mea 20”. [78.1] Non est moratus Stichus, sed et stragulam albam et praetextam 21 in triclinium attulit [...] 22 iussitque nos temptare an bonis lanis essent confecta 23. [2] Tum subridens “vide tu” inquit “Stiche, ne ista mures tangant aut tineae; alioquin te vivum comburam. Ego gloriosus volo efferri, ut totus mihi populus bene imprecetur 24”. [3] Statim ampullam nardi 25 aperuit omnes que nos unxit et “spero” inquit “futurum ut aeque me mortuum iuvet tamquam vivum 26”. [4] Nam vinum quidem in vinarium iussit infundi et “putate vos” ait “ad parentalia mea 27 invitatos esse”. [5] Ibat res ad summam nauseam, cum Trimalchio ebrietate turpissima gravis novum acroama, cornicines, in triclinium iussit adduci, fultus que cervicalibus multis extendit se supra torum extremum et “fingite me” inquit “mortuum esse. [6] Dicite aliquid belli”. Consonuere cornic[in]es funebri strepitu. Unus praecipue servus libitinarii illius, qui inter hos honestissimus erat, tam valde intonuit, ut totam concitaret viciniam. [7] Itaque vigiles, qui custodiebant vicinam regionem, rati ardere Trimalchionis domum effregerunt 28 ianuam subito et cum aqua securibus que tumultuari suo iure coeperunt. [8] Nos occasionem opportunissimam nacti Agamemnoni verba dedimus raptim que tam plane quam ex incendio fugimus.

 

[77.4] Intanto, sotto la protezione di Mercurio, ho costruito questa casa. Come sapete, era una topaia; ora invece è un tempio. Ha quattro sale da pranzo, venti camere da letto, due portici di marmo, di sopra una dispensa, la camera dove dormo io, il soggiorno di questa vipera, la bellissima guardiola del portiere; la foresteria tiene cento ospiti. [5] Insomma, Scauro, quando viene da queste parti, ha sempre preferito farsi ospitare, anche se ha una casa paterna sul mare. E poi ci sono molte altre parti della casa che vi farò vedere.  [6] Credetemi: chi ha un soldo, vale un soldo; quanto hai, tanto sarai considerato. Così il vostro amico, che era un ranocchio, ora è un re. [7] Intanto, Stico, porta le vesti funebri, nelle quali voglio essere portato via. Porta anche l’unguento e un assaggio di quell’anfora con cui voglio che le mie ossa siano lavate”. [78.1] Stico non indugiò, ma portò nel triclinio sia un sudario bianco sia una toga praetexta [...] e [Trimalchione] ordinò che le toccassimo, per capire se fossero state confezionate con una buona lana. [2] Allora sorridendo disse: “Stico, che topi o tarme non le tocchino, altrimenti ti farò bruciare vivo! Io voglio essere portato via con grande gloria, così che tutta la gente preghi per me”. [3] Subito aprì l’ampolla del nardo e ci unse tutti, poi disse “Spero che in futuro da morto mi piaccia quanto da vivo”. [4] Quindi ordinò che il vino fosse versato nell’anfora e disse: “Pensate di essere invitati al mio funerale”. [5] La situazione arrivava ormai al massimo del disgusto, quando Trimalchione appesantito da una terribile sbornia ordinò che fossero fatti entrare nel triclinio un nuovo musico e dei suonatori di corno, poi si sdraiò appoggiato su dei cuscini sopra il fondo del letto e disse: “Fate finta che io sia morto. [6] Dite qualcosa di bello”. I suonatori di corno intonarono una marcia funebre. In particolare uno schiavo di quell’impresario di pompe funebri, che tra quelli era il più raccomandabile, suonò così forte da svegliare tutto il vicinato. [7]  Allora i vigili che controllavano tutto il quartiere, pensando che la casa di Trimalchione stesse andando a fuoco, sfondarono all’improvviso la porta e iniziarono a modo loro a trafelarsi con acqua e scuri. [8] Noi, cogliendo al volo l’occasione favorevole, dicemmo due parole ad Agamennone e fuggimmo di fretta proprio come per un incendio.

1 Nel sistema legislativo della Roma antica, il liberto è uno schiavo che, in vari modi, è stato affrancato dalla propria condizione e si è quindi guadagnato la libertà. La procedura con cui si realizzava la liberazione era detta manumissio.

2 lance: da lanx, lancis, indica qui la bacinella in cui si lava la verdura.

3 fregi: da frango, frangis, fregi, fractum, frangere, “rompere, frantumare, fare a pezzi”.

4 Fin dalla scena iniziale il realismo quasi quotidiano di alcune immagini - il portiere che lava la verdura, la scritta CAVE CANEM all’entrata - si accompagna ad alcuni segnali inconfondibili del lusso esagerato che caratterizza la casa di Trimalchione: molti oggetti della vita comune, infatti, sono di metalli preziosi come la bacinella d’argento per lavare i piselli o la gabbia d’oro degli uccelli.

5 persequi: da persequor, persequeris, persecutus sum, persequi, “seguire, cercare di raggiungere, persistere“.

6 cum titulis: per essere venduti al mercato, gli schiavi portavano al collo una medaglietta dove erano indicati nome, cenni biografici e - ovviamente - prezzo.

7 caduceum: il caduceo è un bastone con due serpenti attorcigliati che nell’antichità era il simbolo dei messaggeri e, in particolare, del dio Mercurio; qui indica chiaramente il legame di Trimalchione con Mercurio, divinità protettrice dei mercanti, cui era dovuta la fortuna economica del liberto. Poco oltre, infatti, sarà raffigurato nell’atto di elevare la posizione sociale di Trimalchione (29, 5).

8 Minervaque ducente: l’altra divinità protettrice di Trimalchione è Minerva, che, in quanto dea dell’operosità e dell’astuzia, ha fornito al liberto la sua scaltrezza negli affari. “Minervaque ducente” è un ablativo assoluto.

9 deficiente: si tratta di un participio presente da deficio, deficis, defeci, defectum, deficere, che significa “venir meno, cessare, finire”.

10 cornu abundanti copiosa: l’iconografia tradizionale della Fortuna prevede che la dea tenga tra le mani la cornucopia, il corno dell’abbondanza, da cui fuoriescono frutti e fiori.

11 tres Parcae: Le Parche (Cloto, Lachesi, Atropo) sono le dee che presiedono al destino degli uomini dalla nascita fino alla morte, e sono rappresentate come filatrici; qui stanno intessendo la felice e fortunata vita di Trimalchione e per questo utilizzano fili d’oro. Rispetto al mito, l’immagine sulle pareti della villa del libero non può che apparire pacchiana e di dubbio gusto.

12 torquentes: da torqueo, torques, torsi, tortum, torquere, “torcere, ruotare, piegare”.

13 Lares: nella mitologia romana, i Lari sono le divinità che vegliano e proteggono la casa, la famiglia e la proprietà, e sono tradizionalmente identificati con gli spiriti degli antenati. Anche qui i segni della religiosità e del mos maiorum sono inframezzati con gli indizi del cattivo gusto di Trimalchione, che conserva la propria barba come un oggetto degno di venerazione.

14 cusuc: visto che la parola “cusuc” - tramandata dal codice -  non è attestata in latino, molti editori hanno pensato di correggere il testo tradito, ad esempio con “casula”; tuttavia alcuni editori ritengono che possa trattarsi di una parola straniera, forse di origine punica, e la mantengono nel testo. Ad ogni modo, il significato del termine si evince facilmente dal contesto: Trimalchione si sta vantando di aver eretto una reggia dove prima c’era un stamberga

15 viperae huius: Trimalchione si riferisce così alla moglie Fortunata, con la quale ha appena duramente litigato.

16 Scaurus: su chi fosse questo personaggio qui ricordato da Petronio i critici si sono a lungo interrogati, senza giungere ad una risposta esauriente. Di sicuro, è una delle figure, tra l’ipocrita e l’approfittatore, che s’aggirano attorno al personaggio di Trimalchione, di cui sfrutta l’ospitalità.

17 habes, habeberis: la lapidaria sententia qui pronunciata da Trimalchione, “habes, habeberis”, sintetizza in due sole parole tutto il pensiero del liberto e dell’intera classe sociale che rappresenta: per essere considerati, bisogna avere, non essere. Dal punto di vista linguistico, si noti che la sententia è giocata sul doppio significato del verbo habeo, es, habui, habitum, habere, che significa sia “possedere”, sia “considerare, ritenere”.

18 fuit rana, nunc est rex: Trimalchione allude qui a un proverbio o una favola altrimenti ignoti; non si può tuttavia non notare la vicinanza con la celebre fiaba dei fratelli Grimm Il principe ranocchio..

19 Stiche: è di uno degli schiavi di Trimalchione.

20 iubeo lavari ossa mea: era usanza antica cospargere il cadavere di profumi e anche di alcune gocce di vino.

21 preatextam: la toga praetexta era la tipica toga romana, orlata di porpora, che era indossata dai fanciulli fino ai sedici anni, dai magistrati e dai sacerdoti.

22 Una breve porzione di testo è andata perduta, tanto che il soggetto del successivo verbo è cambiato, ed è Trimalchione.

23 confecta: dal verbo conficio, conficis, confeci, confectus, conficere, “confezionare, fabbricare, eseguire”.

24 Esplicito nelle parole di Trimalchione il legame tra lo sfarzo della sua cerimonia funebre e il ricordo positivo che lascerà nei vivi; anche il funerale si connota in senso superficiale e materialistico.

25 ampullam nardi: Il nardo era una pianta da cui si ricavava un omonimo profumo balsamico, usato anche per i cadaveri..

26 Battuta salace di Trimalchione: anche quando si pensa alla morte o si mette in scena il proprio funerale, ad avere la precedenza sono sempre i piaceri del corpo e della gola.

27 ad parentalia mea: i Parentali erano appunto le celebrazioni di un parente defunto, analoghe ai nostri funerali.

28 effregerunt: dal verbo effringo, effringis, effregi, effractum, effringere, “sfondare, irrompere”.