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Calvino tra invenzione e metaletteratura: "Le città invisibili"

Riassunto La "geografia" delle "Città"

Parlare delle Città invisibili di Italo Calvino – pubblicate per la prima volta presso l’editore Einaudi di Torino nel 1972 – significa innanzitutto parlare di geografia. Non però della geografia di un immaginario paese in cui le Città invisibili si trovano, ma della geografia del libro. Una prima “mappa” del testo calviniano è fornita dall’indice, che – non a caso – nella prima edizione nel 1972 era posto all’inizio del volume; oggi, invece, nell’edizione più corrente, quella della collana Oscar Mondadori (a cui si fa riferimento), l’indice è posto in fondo. Lo si osservi: ci sono nove sezioni contrassegnate da un numero romano, all’interno delle quali ci sono dei piccoli capitoletti che hanno titoli che ritornano; se si seguono uno ad uno questi titoli, a partire dal primo Le città e la memoria, si noterà facilmente che, se il titolo è ripetuto identico in più luoghi dell’indice, il numero che lo affianca cresce progressivamente fino a 5. Si tratta in totale di 11 titoli, ognuno ripetuto 5 volte: Le città e la memoria, Le città e il desiderio, Le città e i segni, Le città sottili, Le città e gli scambi, Le città e gli occhi, Le città e il nome, Le città e i morti, Le città e il cielo, Le città continue, Le città nascoste. Ognuno di questi titoli rappresenta una serie di descrizioni di città, accomunate da alcune caratteristiche che le riconducono all’“etichetta” utilizzata per indicarle.

 

Inoltre, ogni capitolo numerato in cifre arabe è aperto e chiuso da tre puntini di sospensione. Questi stanno ad indicare alcuni capitoletti composti tipograficamente in carattere corsivo, che introducono e commentano le pagine dedicate alle descrizioni di città. Queste parti corsive possono essere considerate la “cornice” del libro, ossia quello spazio testuale dedicato alla rappresentazione del contesto, della situazione nella quale la descrizione di città ha luogo. In questo caso i corsivi mettono in scena un dialogo tra Marco Polo 1 e l’imperatore Kublai Kan. I pezzi corsivi sono, dunque, in totale 18, ma è evidente che costituiscono 9 microcornici ai capitoli; queste ultime, sommate ai 55 capitoletti dedicati alle città, danno come risultato 64, che è il numero delle tessere di una scacchiera. La scacchiera è infatti l’immagine (una mappa anche in questo caso...) che sostiene la struttura delle Città invisibili ed è proprio nel momento in cui essa compare nel testo che viene fornita una indicazione di lettura molto importante: Marco Polo, infatti, non conoscendo la lingua dell’imperatore, “non poteva esprimersi altrimenti che con gesti […], o con oggetti che andava […] disponendo davanti a sé come pezzi degli scacchi 2, pezzi che “il sovrano doveva interpretare 3.

 

Allo stesso modo il lettore ha davanti a sé un libro composto da capitoletti che possono essere visti come tessere di una scacchiera e che devono essere interpretati, mettendoli in relazione l’uno con l’altro, per riuscire a dedurne un significato. L’operazione di scrittura non è mai - anche alla luce delle riflessioni di Calvino nel corso degli anni Sessanta e Settanta - qualcosa di neutro ed unilateralmente interpretabile: ogni atto di composizione letteraria si apre, per sua stessa costituzione e natura, al gioco delle interpretazioni possibili. Di qui, il proliferare nelle Città invisibili di strutture “a poliedro”, che portano con sé un indizio sulla infinita sfaccettatura del mondo reale (e delle città che vi possiamo incontrare); la stessa cornice di lettura, l’uso del corsivo come messa in rilievo tipografica, la mappa nell’indice sono strumenti utili per letture “trasversali” del testo calviniano. Se è infatti naturale che la prima lettura delle Città invisibili avvenga nell’ordine in cui sono disposte le pagine, successivamente si potrà scegliere se leggere tutti i corsivi di seguito e autonomamente, o se inseguire una ad una le serie delle città e le diverse peregrinazioni di Marco.

 

Questa componente combinatoria - poi portata al massimo grado con la sperimentazione postmoderna in Se una notte d’inverno un viaggiatore... - si salda così sia all’indole saggistica e metaletteraria di Calvino (che riflette così sugli ingranaggi della creazione letteraria e sul ruolo insostituibile del lettore per dar vita all’esperienza estetica), sia al compito che l’autore stesso assegna all’invenzione fantastica. È qui che la geografia del testo può lasciare spazio alla geografia dell’immaginazione, perché innanzitutto è la fantasia a guidare la penna dell'autore e a creare in poche righe dei mondi carichi di fascino, capaci di produrre immagini indelebili nella mente del lettore. Ogni breve capitoletto dedicato a una città rappresenta una tappa, quasi una cartolina fatta di parole, del viaggio di Marco Polo: tuttavia l’intento della scrittura non è puramente descrittivo, bensì ha come scopo quello di sviluppare una riflessione d’autore, proposta in termini metaforici ma che coinvolge la dimensione esistenziale, morale e politica (in senso antropologico) di ogni società civile. È sempre il testo a suggerirci il modo in cui leggerlo; per dirla con le parole dell’autore stesso:

Le descrizioni di città visitate da Marco Polo avevano questa dote: che ci si poteva girare in mezzo col pensiero 4.

È questa del resto una qualità tipica di ogni testo letterario, ma in special modo di quello poetico, che – data la sua particolare struttura retorica di echi e rimandi – induce il lettore a rallentare la lettura e non condurla solo linearmente e sempre in avanti, come più propriamente avviene nella prosa narrativa. Se le Città invisibili non sono composte in versi, tuttavia la struttura poliedrica del libro invita sia ad esplorarle con passione ed entusiasmo sia a fermarsi ogni tanto, a guardarsi intorno, a riflettere sullo stato delle cose: questo perché - è sempre Calvino a dircelo - occorre sovrapporre all’invenzione della fantasia “una possibilità di lettura […] saggistica” 5, proprio per evitare di lasciarsi trascinare solo dalla fascinazione creatrice, dai giochi di parole, dai tranelli della logica.

 

Sono questi elementi che appartengono profondamente alla scrittura di Calvino, e possono essere davvero colti solo se la superficie giocosa delle Città invisibili viene scalfita lentamente, volta per volta. Ci troviamo infatti di fronte ad uno dei testi letterari più complessi della nostra produzione novecentesca, che richiede più d’una lettura, magari anche a distanza di tempo, per riuscire a coglierne ogni volta nuovi significati.

 

Bibliografia essenziale:

- M. Barenghi, “Parte prima: un’idea di letteratura”, in Italo Calvino, le linee e i margini, Bologna, Il Mulino, 2007.
- F. Bernardini, I segni nuovi di Italo Calvino, Roma, Bulzoni, 1977.
- C. Milanini, L’utopia discontinua: saggio su Italo Calvino, Milano, Garzanti, 1990.
- M. Zancan, Le città invisibili di Italo Calvino, in Letteratura italiana. Le Opere, a cura di A. Asor Rosa, vol. IV, Il Novecento, tomo II, Torino, Einaudi, pp. 875-929.



1  Marco è il giovane mercante e esploratore veneziano, proprio lo stesso Marco che lasciò le sue memorie nella penna di Rustichello da Pisa, il quale scrisse, negli ultimi anni del 1200, Il Milione. Il testo medioevale è una delle principali fonti dell’opera di Calvino, a cui egli si ispira per ricreare l’esotica atmosfera delle Città invisibili, per riportare alla mente del lettore la sensazione fascinosa dei viaggi in terre lontane in epoche in cui il mondo era per la maggior parte sconosciuto.

2 I. Calvino, Le città invisibili, Milano, Mondadori, 2002, p. 21.

3 Ibidem.

4 Ivi, p. 40.

5 I. Calvino, Nel regno di Calvinia, in «L’Espresso», XVIII (1972), 45, p. 11.