Nel momento della sua massima espansione, l’Impero napoleonico, che aveva esteso a tutta Europa gli ideali della Rivoluzione e aveva stimolato il sorgere del sentimento nazionale e del movimento romantico, mostrava comunque delle crepe che ne preannunciavano, poco prima della campagna di Russia del 1812. Qui lo zar Alessandro I, a partire dal 1810 riprese i contatti commerciali con l’Inghilterra, in aperta violazione del “blocco commerciale”. L’ira dell’imperatore si concretizzò in una possente spedizione, di circa 700mila uomini, che attaccò la Russia nella primavera del 1812. Tuttavia, la strategia attendista dei generali russi e la loro ritirata strategica secondo la tecnica della “terra bruciata” fiaccò le forze e le risorse della Grande Armée, che giunse in una Mosca pressoché deserta nel settembre di quell’anno. I problemi di approvvigionamento, le condizioni climatiche e un gigantesco incendio della capitale (oltre al rifiuto dello zar di ricevere gli ambasciatori napoleonici), convinsero Bonaparte alla ritirata, il 19 ottobre: mezzo milione di uomini e l’intera cavalleria francese rimasero tragicamente sul campo.
Le nazioni europee (Prussia, Austria, Gran Bretagna e Russia), galvanizzate dalla disfatta in terra russa, si riunirono in una nuova coalizione che, nella “Battaglia delle nazioni” presso Lipsia (ottobre 1813), sconfisse nuovamente ciò che restava dell’esercito napoleonico. Mentre scoppiavano una serie di insurrezioni antifrancesi in Europa, Bonaparte fu costretto all’abdicazione e al confino sull’isola d’Elba. La successiva fuga e l’esperienza dei “cento giorni” si chiuderà con la battaglia di Waterloo (18 giugno 1815) e l’esilio definitivo nella sperduta isola di Sant’Elena, dove l’imperatore si spegne il 5 maggio 1821. Tuttavia, ciò non sminuirà il ruolo straordinario di Napoleone e della sua età per segnare un passo fondamentale (sociale, politico ed antropologico) nella storia del mondo moderno.
La lezione è a cura del Laboratorio LAPSUS (Università degli Studi di Milano).
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L’impero di Bonaparte alimentò in tutta Europa il sentimento nazionale. Erano state le stesse armate francesi, in quanto rappresentanti degli ideali rivoluzionari, a incoraggiarlo, ma ora il sogno dell’autodeterminazione si ritorceva contro la dominazione napoleonica. L’arma ideologica usata dai francesi contro le monarchie di antico regime ora veniva usata contro di loro, alimentata anche dalla propaganda inglese che prometteva indipendenza e libertà. Alcuni focolai di crisi iniziarono a minare le basi del sistema egemonico francese. In Spagna, come abbiamo già visto, la guerriglia popolare poteva ora contare anche sull’appoggio dei britannici guidati dal duca di Wellington. Sul suolo iberico la rivolta antifrancese aveva assunto il carattere di resistenza alla rivoluzione anticristiana portata dalla Francia e aveva unito in un unico fronte il popolo e i ceti privilegiati. Dopo l’occupazione dell’Andalusia da parte inglese le Cortes spagnole riunite a Cadice approvarono nel marzo 1812 una costituzione di tipo liberale sul modello di quella francese del 1791. In Germania la reazione antinapoleonica contribuì alla nascita del movimento romantico che esaltava la tradizione nazionale in opposizione alla cultura illuministica degli invasori francesi. Inoltre la politica del blocco continentale finì per alimentare non pochi scontenti. L’interruzione dei commerci con la Gran Bretagna causò a diversi paesi europei perdite economiche di grave portata, la decadenza dei loro porti marittimi, la difficoltà negli approvvigionamenti di materie prime e la grande diminuzione delle esportazioni. A essere danneggiati da questa politica non erano solo i commercianti e gli imprenditori europei, ma anche quelli francesi.
Nel frattempo l’alleanza franco-russa andava indebolendosi. A partire dal 1809 lo zar Alessandro I aveva ripreso una politica d’espansione conquistando la Finlandia e annettendo la Bessarabia, la Georgia e l’Azerbaigian. Inoltre lo zar decise di riprendere i contatti commerciali con l’Inghilterra dal 1810. Questo provocò l’ira di Napoleone che decise di giocare in anticipo e rispondere al tradimento russo con una nuova guerra. Nella primavera del 1812 Napoleone allestì una possente armata formata da quasi 700 mila uomini (reclutati in tutta Europa, e di cui solo la metà erano francesi) e nel giugno dello stesso anno varcò il fiume Niemen. Il grosso dell’esercito russo si ritirò ordinatamente evitando lo scontro diretto e adottando la tecnica della “terra bruciata”, ossia distruggendo raccolti e qualsiasi cosa potesse essere utili ai francesi in modo da privare il nemico dei rifornimenti necessari. Napoleone continuò ad avanzare in territorio nemico per alcuni mesi allontanandosi sempre più dalle proprie basi di approvvigionamento. Il 14 settembre i francesi entrarono a Mosca. Un grosso incendio rese ancora più difficile la sopravvivenza dell’esercito, mentre Napoleone decideva di aspettare invano che lo zar avviasse le trattative di pace. Il 19 ottobre con l’inverno alle porte e privo di rifornimenti Napoleone dovette ordinare la ritirata. Costrette a ripercorrere il cammino dell’andata in una campagna devastata, le truppe francesi andarono incontro a una catastrofe: le perdite raggiunsero il mezzo milione di uomini e la cavalleria praticamente scomparve.
La disfatta di Napoleone in suolo russo convinse Prussia, Austria, Gran Bretagna e Russia a unirsi nella sesta coalizione antifrancese per sbarazzarsi definitivamente dell’imperatore dei francesi. Federico Guglielmo III nel 1813 proclamò la guerra di liberazione. La battaglia decisiva, ribattezzata “Battaglia delle nazioni”, si ebbe a Lipsia tra il 16 e il 19 ottobre 1813, dove le armate della coalizione numericamente superiori ebbero la meglio. Napoleone si vide costretto a ripiegare sul Reno, mentre Germania, Svizzera e Olanda si ribellavano al suo dominio. Nel giro di pochi mesi i governi napoleonici crollavano uno a uno. In Spagna le truppe francesi furono costrette a evacuare e perfino il re di Napoli Gioachino Murat trattava con l’Austria. Il 31 marzo Parigi accolse gli alleati antifrancesi. Il 3 aprile su pressione delle potenze vincitrici il Senato francese proclamava la decadenza di Napoleone, il quale accettava di firmare l’abdicazione in cambio della sovranità dell’isola d’Elba. Lo stesso giorno il Senato richiamò dall’esilio inglese il fratello di Luigi XVI per insediarlo sul restaurato trono reale di Francia con il nome di Luigi XVIII. La Francia fu costretta a firmare la pace di Parigi (maggio 1814) che le imponeva il ripristino delle frontiere del 1789. Il nuovo assetto dei territori europei era affidato a un congresso da tenersi a Vienna. L’ultimo atto della vicenda di Napoleone doveva ancora compiersi. Napoleone infatti riuscì a scappare dall’isola d’Elba e a entrare a Parigi il 20 marzo 1815. Qui venne accolto con gioia da molti francesi che dopo l’iniziale sollievo per il ritorno della pace ora temevano una restaurazione dei diritti feudali e una rivendicazione da parte degli emigrati dei beni confiscati. Il 25 marzo si era già formata la settima coalizione antifrancese. L’esercito francese subiva il 18 giugno 1815 da parte delle truppe anglo-prussiane una rovinosa disfatta a Waterloo. Napoleone fu costretto a una seconda abdicazione il 22 giugno. Esattamente cento giorni dopo la resurrezione dell’impero, l’8 luglio Luigi XVIII rientrò definitivamente a Parigi e Napoleone fu deportato in un’isoletta sperduta nell’Atlantico, Sant’Elena dove morì il 5 maggio 1821.
Con la caduta di Napoleone finì anche il dominio francese in Italia. Il 15 marzo 1815 Gioacchino Murat dichiarò guerra all’Austria chiedendo agli italiani di unirsi per la liberazione nazionale. Il suo appello cadde nel vuoto, i generali napoletani sconfitti dagli austriaci firmavano la resa e Murat tentando di fuggire in Calabria fu arrestato dai borbonici e fucilato. Si chiudeva così il dominio napoleonico sull’Europa. Nonostante l’opera di Napoleone fu contraddittoria grazie a essa l’Europa subì dei grandi cambiamenti:
- l’affermazione della classe borghese,
- la diffusione del sentimento nazionale,
- l’evoluzione verso una laicizzazione dello Stato,
- l’impulso verso la modernizzazione degli assetti politici e sociali.