La rivoluzione francese: dal Termidoro all’ascesa di Napoleone Bonaparte

La reazione termidoriana, che pone fine al cupo periodo del “Terrore”, apre anche la via alla soluzione moderata, con la repressione contro i sanculotti e la chiusura dei club giacobini, mentre il Comitato di Salute pubblica vede considerevolmente ridotti i propri poteri. La nuova Costituzione, approvata nel 1795, affiancava alla Dichiarazione dei diritti una nuova Dichiarazione dei doveri, e istituiva i criteri (tra cui un censo particolarmente elevato) per l’eleggibilità a livello nazionale. Il Consiglio dei Cinquecento, che doveva presentare e discutere le leggi, e il Consiglio degli Anziani, che poteva approvarle o respingerle, sostituiscono l’Assemblea unica, mentre il potere esecutivo rimaneva di pertinenza di un Direttorio di cinque membri. Non mancano tuttavia i tentativi di colpi di mano da entrambe le parti: all’insurrezione filomonarchica dell’ottobre 1795 fa da contraltare, nel maggio 1796, la Congiura degli Eguali di Gracco Babeuf e Filippo Buonarroti.

L’Europa monarchica ed aristocratica nel frattempo si mobilita per arginare il “contagio” rivoluzionario: se intellettuali e filosofi come Immanuel Kant e Pietro Verri solidarizzano con le vicende francesi (antitetico il caso di Edmund Burke in Inghilterra), i principali stati europei si coalizzano in ottica antifrancese. Anche la Francia ha interesse a proseguire l’impegno bellico, soprattutto per rinsaldare l’unità nazionale e rimpolpare le casse statali. Così per la primavera 1796 fu deciso un poderoso attacco attraverso l’Europa centrale, mentre all’armata d’Italia venne assegnato il compito di creare un diversivo per tenere occupata una parte delle truppe nemiche. Ed è qui che comincia la vertiginosa carriera politico-militare di Napoleone Bonaparte: i successi lungo la penisola, che danno il via al cosiddetto “triennio giacobino”, e la campagna d’Egitto contro gli inglesi preparano il colpo di mano del 18 brumaio, che trasmette il potere nelle mani del giovane generale.

La lezione è a cura del Laboratorio LAPSUS (Università degli Studi di Milano).

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Molti furono i francesi che accolsero la morte di Robespierre come una liberazione. La fine del terrore portò allo svuotamento delle carceri e  alla diffusione di movimenti controrivoluzionari come “la gioventù dorata”. Giacobini e sanculotti furono così fatti bersaglio di un odio a lungo represso. Dal canto suo la Convenzione cercò di non esasperare il livello di conflittualità, limitandosi a pochi interventi in campo istituzionale ed economico. I poteri del Comitato di Salute pubblica furono ridotti, il Tribunale rivoluzionario venne soppresso e vennero riammessi alla Convenzione i girondini superstiti. Nel novembre 1794 fu anche chiuso il club dei giacobini. In economia vi fu l’abolizione del sistema di vincoli creato nell’anno II e la rimozione del “maximum”. Tuttavia l’inflazione degli assegnati continuava, mentre i cattivi raccolti del biennio 1794-95, uniti alla riluttanza dei contadini a rifornire i mercati urbani, aggravarono le condizioni delle masse popolari. L’esasperazione spinse i sanculotti ad invadere (aprile-maggio 1795) la Convenzione. Ne seguì un’epurazione sia dei deputati montagnardi, sia dei militanti delle sezioni, che decapitò il movimento popolare.

Nel ’95 viene anche approvata la nuova Costituzione, che alla dichiarazione dei diritti aggiunge una Dichiarazione dei doveri, tra i quali la sottomissione alle leggi e il rispetto per la autorità costituite. Le elezioni per la rappresentanza nazionale erano a doppio turno e per la qualifica di elettore era previsto un censo molto elevato. Sul piano istituzionale nascono, sostituendo una sola assemblea, il Consiglio dei Cinquecento, che doveva presentare e discutere le leggi, e il Consiglio degli Anziani, che doveva approvarle o respingerle. Il potere esecutivo spettava a un Direttorio di cinque membri, eletti dagli Anziani tra 50 nomi indicati dai Cinquecento. Timorosa dell’orientamento moderato in crescita nell’opinione pubblica, la Convenzione approvò un decreto in base al quale due terzi dei componenti delle nuove camere dovevano obbligatoriamente essere eletti tra i membri della Convenzione. Le sezioni parigine filo monarchiche risposero con un’insurrezione il 5 ottobre, presto repressa dalla Convenzione grazie anche al contributo del generale Bonaparte. Il Direttorio si trovò a dover affrontare fin da subito enormi problemi (la crisi finanziaria, la conduzione della guerra, la divisione religiosa del paese) senza avere la necessaria base di consenso. Nel frattempo, al fianco della corrente filomonarchica riprendeva piede, sull’onda del malessere sociale, il movimento giacobino, anche se con meno presa sulle masse, deluse dai fallimenti primaverili. Un evento circoscritto ma da ricordare è la cosiddetta “congiura degli eguali”, organizzata nell’inverno 1795-96 da Babeuf con la collaborazione di Filippo Buonarroti, emigrato toscano. Il programma degli “eguali” prevedeva l’abolizione della proprietà privata e la messa in comune dei beni, ma il Direttorio scoprì la congiura nel maggio 1796 e condannò a morte i principali capi, tra cui lo stesso Babeuf. Intanto l’inflazione degli assegnati aumentava vertiginosamente e nel febbraio ’97 si ritornò alla moneta metallica approfittando delle rimesse di buone monete dai territori conquistati. All’inflazione seguì una altrettanto forte deflazione che mise in serie difficoltà il governo, ormai impossibilitato a stampare denaro e in debito sia verso i creditori, sia con i suoi stessi funzionari.

La rivoluzione francese e l’Europa

Gli eventi che sconvolsero la Francia durante gli anni della Rivoluzione produssero grande clamore fra gli intellettuali europei. Alcuni, come il filosofo tedesco Immanuel Kant e l’illuminista milanese Pietro Verri, salutarono la nuova fase con entusiasmo, nonostante i numerosi episodi di violenza. Altri, come il poeta Vittorio Alfieri, che inizialmente avevano accolto positivamente gli avvenimenti francesi, in un secondo momento si scagliarono con violenza contro la Rivoluzione. In questo contesto va ricordato l’inglese Edmund Burke, il cui libro Riflessioni sulla Rivoluzione francese divenne una vera e propria bibbia dei controrivoluzionari. Burke condannava senza appello l’idea della rottura con l’autorità della tradizione e con l’ordinamento gerarchico della società. Per il pensatore inglese gli intellettuali francesi erano prigionieri di astratto utopismo e irreligiosità.

Tali argomentazioni vennero subito fatte proprie dai governi assoluti che, già impegnati per altri motivi con alcune zone in fermento (Belgio e Ungheria per la monarchia asburgica, Irlanda, Polonia, Sardegna), temevano il contagio delle idee rivoluzionarie. Ne seguirono una generale stretta della censura e la persecuzione dei gruppi filofrancesi, specie dopo lo scoppio delle ostilità e l’appello lanciato dalla Convenzione alla liberazione di tutti i popoli oppressi (novembre 1792). Ma la resistenza della Francia rivoluzionaria e la svolta moderata seguita al Terrore portarono alcune delle potenze impegnate nel conflitto a cessare le ostilità. Così la Prussia, che riconobbe l’occupazione della riva sinistra del Reno; le Province Unite, che accettarono di mantenere un esercito francese di 25000 uomini e di modificare i suoi ordinamenti in senso repubblicano; la Spagna, che cedette alla Francia la parte occidentale dell’isola di Hispaniola. Rimasero a combattere la guerra l’Inghilterra, l’Austria, e alcuni stati minori come il Piemonte. D’altro canto il governo francese aveva diversi motivi per continuare il conflitto: l’obiettivo delle “frontiere naturali” ; la necessità di rinsaldare l’unità nazionale; il bisogno di contribuzioni dai territori invasi per la crisi finanziaria. Per il Direttorio era soprattutto l’Austria a costituire l’anello debole della coalizione. Così per la primavera 1796 fu deciso un poderoso attacco attraverso l’Europa centrale, mentre all’armata d’Italia venne assegnato il compito di creare un diversivo per tenere occupata una parte delle truppe nemiche.

Tuttavia fu proprio l’armata d’Italia, guidata da Napoleone Bonaparte, ad ottenere le vittorie più strepitose, mentre in Germania l’esercito francese fu costretto a ripiegare oltre il Reno. Una volta valicato il passo di Cadibona e sconfitti austriaci e piemontesi, Napoleone stipulò con Vittorio Amedeo III l’armistizio di Cherasco (aprile 1796). Subito dopo accerchiò l’esercito asburgico oltrepassando il Po all’altezza di Piacenza, per poi sbaragliare la loro difesa presso Lodi, costringendoli quindi a ripiegare verso Mantova. A maggio il generale conquistava Milano. Fra il luglio e il gennaio successivo  i francesi discesero lungo la penisola, costringendo i governi di Parma, Roma e Napoli a firmare tregue onerose. In febbraio capitolava Mantova, mentre il papa, Pio VI, fu costretto a firmare la pace di Tolentino, ovvero la rinuncia a Bologna, a Ferrara e alla Romagna. Napoleone decise di creare in Italia settentrionale una repubblica formalmente indipendente, andando contro il parere del governo, che avrebbe preferito scambiare i territori italiani con il riconoscimento austriaco delle “frontiere naturali” francesi. Mentre si andava preparando quello che è stato definito il "triennio giacobino” in Italia, il dissesto finanziario legava sempre più il governo francese a banchieri e generali. In una situazione di corruzione dilagante, le elezioni per il rinnovo di un terzo delle assemblee legislative portarono alla vittoria dei monarchici, che conquistarono così la maggioranza dei consigli.

Fu allora che il direttorio scelse di operare un colpo di forza, ispirato soprattutto dai generali che per la maggior parte erano rimasti fedeli agli ideali repubblicani. Nel settembre 1797 due dei Direttori furono destituiti e le elezioni favorevoli ai monarchici furono dichiarate nulle. Seguirono arresti, chiusure di giornali e circoli di destra, era l’inizio della soggezione del potere politico al potere militare. Durante il processo di insediamento delle nuove repubbliche in Italia fu firmato nell’ottobre 1797 il trattato di Campoformio, con cui l’Austria, in cambio del riconoscimento della repubblica Cisalpina otteneva il Veneto, l’Istria e la Dalmazia. L’unico avversario rimaneva dunque l’Inghilterra, per colpire la quale Napoleone propose al Direttorio una spedizione in Egitto, che avrebbe consentito di minacciare gli interessi britannici in India. La battaglia delle Piramidi (luglio 1798) vide le forze egiziane sopraffatte da quelle francesi, che però persero la loro flotta ad opera del contrammiraglio inglese Horatio Nelson. Nel frattempo il nuovo Zar di Russia Paolo I decise di scendere in campo alleandosi agli inglesi contro la Francia rivoluzionaria (seconda coalizione, dicembre 1798), alleanza cui aderirono poi l’Austria e la Turchia. Nel ’99 la guerra in Italia fu una disfatta per i francesi, mentre un po’ meglio andarono le cose in Svizzera e in Belgio. Intanto nell’aprile 1798 il governo direttoriale aveva di nuovo annullato i risultati delle elezioni parziali, favorevoli ai neogiacobini. Mentre la destra monarchica e il banditismo rialzavano la testa e imperversavano nelle campagne, il Direttorio era sempre più osteggiato dai Consigli. Fu allora che Bonaparte, sfuggendo alla vigilanza della flotta inglese, sbarcò a Frejus, e con l’appoggio di Sieyès, membro del Direttorio, indusse i Consigli a trasferirsi presso Saint-Cloud sotto scorta militare, con il pretesto di una cospirazione giacobina. Era il “18 brumaio” (9 novembre) di Napoleone, accompagnato dalle dimissioni di tre dei direttori (Sieyès, Ducos e Barras). Mentre gran parte dei deputati venne disperso dai militari, i pochi rimasti votarono la consegna dei poteri a tre consoli: Bonaparte, Sieyès e Ducos.