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Francesco Guicciardini, "Ricordi": riassunto ed analisi dell'opera

I Ricordi vengono pubblicati per la prima volta nel 1576 (col titolo di Avvertimenti), all'incirca quarant'anni dopo la morte dell'autore. Guicciardini non pubblica, finché è vivo, nessuno dei suoi scritti, in quanto non li considera destinati alla divulgazione.

 

Quest'opera, che raccoglie in modo non sistematico 221 pensieri, rappresenta un punto di riferimento essenziale per il genere aforistico che si sviluppa in epoca moderna. I Ricordi sono riconducibili a una tradizione letteraria molto diffusa nelle famiglie mercantili fiorentine del Quattrocento (di cui i Quattro libri della famiglia di Leon Battista Alberti, del 1440, possono essere citati come l'esempio più noto), che si presentano come raccomandazioni e riflessioni riferiti alla morale, di natura pratica e quotidiana, caratteristica dei ceti mercantili dell'epoca. Tuttavia, l'opera di Guicciardini appare molto più complessa e articolata e supera per rigore e acume il moralismo limitato della tradizione. L'autore si mostra spesso disponibile a modificare il proprio punto di vista, nel tentativo di consigliare un atteggiamento più adatto all'instabilità del reale (una caratteristica presente anche nell'Alberti, il quale si trova a dichiarare che “tiene gioco la fortuna solo a chi se gli sottomette”). Guicciardini parte dal presupposto che nessuna teoria sia utile per agire bene nella realtà pratica, perché questa possiede in sé dei caratteri imprevedibili: essa è infatti mutevole e sfugge al controllo della ragione, perciò i valori assoluti non hanno alcuna funzione se non quella di illudere l'uomo che, nella realtà, le regole si conservino uguali a se stesse e abbiano quindi una natura costante.

 

L'unico valore assoluto nella condotta di un uomo dev'essere la “discrezione”, ovvero la capacità di adattarsi agli eventi mutevoli e instabili della fortuna. L'uomo “discreto” è consapevole che i rapporti tra i singoli sono regolati dalle opinioni, dall'apparenza e dalle false illusioni, quindi, al pari di Machiavelli, Guicciardini indica nel gioco della simulazione la migliore condotta politica, ma, a differenza dello stesso, egli non ripone alcuna fiducia nella natura positiva dello Stato. Nella sua mutevolezza il mondo è dominato da una forza negativa e in qualche modo ostile all'uomo, per questo ognuno deve adoperarsi a curare e difendere il proprio “particulare”, e cioè i propri interessi individuali e quelli della famiglia: una sorta di cinismo, scevro da qualsiasi principio di ordine universale, con cui anche il politico è chiamato a regolare la propria condotta.