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Giovanni Verga: vita e opere

Giovanni Verga nasce a Catania (o, secondo fonti meno attendibili, a Vizzini, dove la famiglia aveva terreni e proprietà) il 2 settembre del 1840, in una famiglia dell’aristocrazia siciliana. Agli anni della prima formazione sotto la guida di un intellettuale di formazione liberale, don Antonino Abate, fanno seguito i primi tentativi letterari, ancora fortemente legati al modello del romanzo storico: nasce così Amore e patria, completato ma non pubblicato dal giovane scrittore nel 1857. Iscrittosi alla facoltà di Legge dell’Università di Catania per assecondare i desideri del padre (Verga nel 1861 abbandonerà di fatto gli studi), lavora intanto al secondo romanzo, questa volta edito a proprie spese: I carbonari della montagna (1861-1862) in cui vengono raccontate, sempre nel filone del romanzo storico, le vicende dei moti catanesi del 1810-1812. Nel frattempo, arruolatosi nella Guardia Nazionale (chiaro indizio dei suoi sentimenti patriottici), inizia a collaborare a settimanali politici e riviste locali, quali il «Roma degli italiani» e «L’Italia contemporanea», e, più avanti, «L’Indipendente». Tra il 1862 e il 1863, Verga pubblica poi sul periodico fiorentino garibaldino «La Nuova Europa» il romanzo Sulle lagune, ennesima tappa del suo lungo apprendistato letterario.

La prima svolta della carriera verghiana arriva però nel 1865, quando lo scrittore, soggiornando per alcuni mesi a Firenze (che era da poco divenuta capitale del Regno), viene introdotto nei salotti e nei circoli letterari più noti; pubblicato l’anno successivo il romanzo Una peccatrice" (di sapore autobiografico), Verga stringe quella che sarà una duratura amicizia con Luigi Capuana e soprattutto dà alle stampe, nel 1870, Storia di una capinera per le riviste milanesi «Corriere delle Dame» e «La ricamatrice». Il notevole successo del libro (pubblicato in volume nel 1871 ed incentrato sulla tragica vicenda di una monacazione forzata), induce l’autore a stabilirsi, per circa un ventennio, nella città lombarda, dove entra in contatto con i più importanti scrittori, intellettuali ed editori di quegli anni. In particolare, è con Treves che Verga inaugura una lunga (e talora travagliata) collaborazione editoriale: nel 1873, Eva, romanzo iniziato negli anni fiorentini, presenta, con un occhio di riguardo al pubblico femminile, l’infelice vicenda sentimentale ed artistica di un giovane pittore bohémien.

Questi però sono anche anni di messa in discussione dei propri principi di poetica e del proprio stile narrativo: allo sfruttamento del filone delle opere più “commerciali” (come Tigre reale ed Eros, entrambi usciti per Brigola nel 1875) si affiancano sperimentazioni di natura diversa, come quella Nedda, pubblicato sulla «Rivista italiana di Scienze, Lettere e Arti», "bozzetto" che dà il via all’interesse per la realtà siciliana, poi tema privilegiato dei grandi romanzi verghiani come I Malavoglia (che anzi proprio in Nedda trovano un primissimo nucleo genetico) e Mastro don Gesualdo.

Affiancando d’ora in poi alla stesura delle opere maggiori una fitta produzione di novelle e racconti, Verga si avvia a toccare il punto più alto della propria produzione, imprimendo alla propria penna una netta svolta in senso realista, dovuta anche (ma non solo) alla lettura dei grandi modelli francesi, Flaubert e Zola su tutti. Già nel 1876 Primavera è un segnale esplicito in questa direzione; nel 1878 poi, esce sul «Fanfulla» la celebre novella Rosso Malpelo, che solleva la questione dello sfruttamento delle classi popolari in Sicilia. L’anno successivo, sempre sullo stesso periodico, vede invece la luce Fantasticheria, un'importante lettera in forma di monologo che l’anno successivo confluisce, assieme ad altri testi, nell’importante raccolta Vita dei campi.

I Malavoglia, romanzo che apre quel “ciclo dei vinti” che nelle intenzioni dello scrittore voleva dare un quadro complessivo della società dell’epoca e della “fiumana del progresso”, viene pubblicato a Milano nel 1881: al grande rilievo letterario dell’opera, capolavoro del verismo verghiano, non corrisponde affatto l’apprezzamento di gran parte del pubblico. Si apre così una nuova fase creativa: alla pubblicazione di raccolte di racconti (prima usciti in rivista) nel corso degli anni ottanta e novanta dell’Ottocento (Novelle rusticane e Per le vie, 1883; Vagabondaggio, 1887; I ricordi del capitano d’Arce, 1891; Don Candeloro e C.i, 1894) si affiancano fortunate riduzioni teatrali di alcuni tra i testi brevi più noti di Verga, su tutte Cavalleria rusticana (1884). Nel frattempo, lo scrittore lavora al nuovo romanzo, Mastro don Gesualdo, che verrà pubblicato sulla «Nuova Antologia» tra il 1° luglio e il 16 dicembre del 1888 e poi in volume l’anno successivo. Il successo del romanzo, soprattutto nella seconda edizione profondamente rivista, non allevia la profonda crisi dello scrittore, che di fatto interrompe a quest’altezza il suo programma romanzesco ciclico: La duchessa di Leyra verrà solo abbozzato negli anni successivi, che anzi vedono il definitivo rientro di Verga a Catania, e un significativo rallentamento dall’attività di scrittura, che si concretizza solo, oltre che nella revisione di Vita dei campi (1897), nel romanzo Dal tuo al mio (1903, tratto da un’opera teatrale) e nell’ultima novella (Una capanna e il tuo cuore, pubblicata postuma).

Lo scrittore, a seguito di una trombosi cerebrale, si spegne a Catania il 27 gennaio del 1922.