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Guido Cavalcanti, "Donna me prega": parafrasi e commento

Canzone dal metro complesso, soprattutto per la presenza della “rima al mezzo” (in genere corrispondente alla quinta sillaba), Donna me prega è composta da cinque stanze di quattordici versi endecasillabi e un breve congedo. È considerata il manifesto dottrinale di Guido Cavalcanti che, con “natural dimostramento” (e cioè avvalendosi della filosofia naturale di matrice aristotelica) illustra l'azione dell'amore sulle diverse facoltà dell'anima.

 Il componimento prende avvio da un sonetto in forma di tenzone di Guido Orlandi, un contemporaneo di Cavalcanti, con quesiti dai riferimenti tematici molto vicini alla tradizione, da Andrea Cappellano alla Scuola siciliana. Nella prima stanza, rivolgendosi ad una donna, l'autore definisce l'amore un “accidente” (che nella filosofia aristotelica si differenzia da “sostanza” per essere una qualità non esistente in sé, ma accidentale e transitoria). Cavalcanti precisa che il suo ragionare potrà essere compreso solo da coloro che non hanno “basso core” (v. 6), ed elenca i temi della canzone: il luogo in cui dimora amore (“là dove posa”), chi lo crea, quali ne siano la virtù, la potenza e l'essenza, i moti dell'animo e il piacere che può recare, e infine se tale accidente sia percepibile alla vista.

Nelle successive stanze argomenta le risposte disponendone due per ogni segmento: Amore ha luogo là dove risiede la memoria, è creato e non si crea (essendo accidente) ed ha una natura sensitiva. È conformato all'anima e al desiderio del cuore, procede dalla vista (“Ven da veduta forma”, v. 21; si veda pure Amor è un desio di Jacopo da Lentini) e va nell'intelletto possibile (la sede dei processi di astrazione), ma in quella parte non coglie piacere, bensì contemplazione (“consideranza”, v.27). Anziché dal cuore, è alimentato nell'intelletto, che tuttavia non ha alcun potere su di lui. L'amore non viene dalla perfezione razionale ma da quella sensitiva e per questo rende inefficace la ragione, poiché nelle scelte il desiderio si sostituisce all'intelletto. Per questo la morte (dello spirito) ne è talvolta una conseguenza, perché con esso l'uomo perde il dominio di sé (come spiegato sia in Voi che per li occhi mi passaste 'l core dello stesso Cavalcanti che in Lo vostro bel saluto di Guido Guinizzelli). L'amore non è mai accompagnato dal riposo (in Cappellano è infatti un'“immoderata cogitazione”), fa mutare l'aspetto di chi lo prova e nasconde il suo sguardo. Genera ira, in quanto l'oggetto contemplato è imperfetto, tuttavia non può essere tenuto segreto. L'amore è inoltre doloroso (“le bieltà son dardo”, v. 60) e gli occhi non lo percepiscono: esso è infatti oscuro nel colore e invisibile nella forma.