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Il Fascismo dalla crisi del 1929 alle leggi razziali

Consolidato il proprio potere dal 1925 in poi, il Fascismo - nella sua natura di “totalitarismo imperfetto” in mezzo alle altre dittature europee del secolo - attraversa un sginficativo momento di difficoltà nell’autunno del 1929, in coincidenza con la crisi speculativa che da Wall Street si diffonde come un contagio sulle principali piazze finanziarie americane e poi sui mercati internazionali.
 
La recessione e la depressione colpiscono anche l’Italia, dove, tra 1929 e 1932, la produzione industriale si contrae del 15-25%, mentre la disoccupazione, nei due anni successivi, tocca 1 milione di lavoratori. La risposta di Mussolini, dopo la deflazione e l’orientamento liberista imposti dal 1925, punta verso due strade: l’autarchia economica e il deciso intervento dello Stato. La nuova “battaglia del grano”, affiancata dalla politica della “bonifica integrale”, mira ad aumentare la produzione cerealicola fino al soddisfacimento completo della domanda interna; dal 1933 l’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale) e poi l’IMI (Istituto Mobiliare Italiano) divengono organizzatori attivi della vita produttiva del paese, tramite il controllo del sistema bancario e dei finanziamenti pubblici. Sul piano politico-diplomatico, Mussolini all’estero (soprattutto presso Francia e Germania) vuole accreditarsi come utile forza antisocialista ed antibolscevica, sostenendo al tempo stesso i vari fascismi europei in via di formazione.
 
Tuttavia, il sogno mussoliniano di un impero coloniale (e di un ruolo “forte” sullo scacchiere europeo) si risolve in un insuccesso: la guerra d’Etiopia (1935-1936) e l’utilizzo di armi chimiche da parte dell’esercito italiano portano alle sanzioni internazionali che isolano economicamente e politicamente il Paese. La situazione muta profondamente tra 1933 e 1934 con la salita al potere di Adolf Hitler: dopo la breve crisi per le mire naziste sull’Austria, le posizioni di Hitler e Mussolini si avvicinano in virtù di una serie di patti militari - nel 1936 l’Asse Roma-Berlino, l’anno successivo l'Anticomintern allargato al Giappone militarista; nel 1938 il silenzio-assenso fascista all’Anschluss austriaco e infine il Patto d'Acciaio del 22 maggio 1939 - che segnano la sottomissione del Duce all’alleato tedesco. Le leggi razziali del 1938 e lo scoppio del secondo conflitto mondiale sono così alle porte.

La lezione è a cura del Laboratorio LAPSUS (Università degli Studi di Milano).
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Le risposte del regime fascista alla crisi del Ventinove


L’evento principale che segna gli sviluppi successivi fino alla guerra è sicuramente la crisi economica iniziata nell’autunno 1929: lo scoppio della bolla speculativa negli Stati Uniti causa infatti il crollo delle principali piazze finanziarie americane e, di conseguenza, dei mercati internazionali. A causa dell’effetto contagio dovuto al ruolo statunitense di potenza economica mondiale e di principale partner finanziario europeo, la crisi del ’29 dà avvio ad una profonda recessione e depressione economica a livello internazionale, che dura per tutto il decennio, con conseguenze politiche importanti. In Italia, nel ’29-32, la produzione industriale subisce una contrazione media del 15-25%, superando il 30% nei settori tessile, metallurgico e meccanico. La disoccupazione nel ’32-’33 raggiunge quota 1 milione di lavoratori; vengono ridotti i salari di industria, commercio, agricoltura e degli impiegati statali; si registra un crollo dei consumi interni e si interrompe l’afflusso di capitali dell’estero, che anzi cominciano a lasciare l’Italia. La risposta del governo fascista, dopo la deflazione e l’orientamento liberista imposti dal ’25, punta verso due strade: l’autarchia economica da un lato e il deciso interventismo statale dall'altro.


Si punta a ridurre la dipendenza dall’estero e, per motivare la popolazione, si lancia una grossa campagna propagandistica rappresentata da una nuova “battaglia del grano” e dalla “bonifica integrale”: l’obiettivo è l’aumento della produzione cerealicola e l’autosufficienza per sfamare il proprio fabbisogno. In secondo luogo, lo Stato fascista abbandona il liberismo degli anni Venti per intervenire direttamente nella crisi economica: nel 1933 viene costituito l’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale), cui si affianca l’IMI (Istituto mobiliare italiano), con la partecipazione delle principali industrie del paese. Si riforma il ruolo dello Stato ad attivo organizzatore della vita produttiva e a controllore dell’attività finanziaria del paese, tramite il controllo del sistema bancario e dei finanziamenti pubblici. Vengono inoltre costituiti tutta una serie di enti pubblici di assistenza sociale. La svolta assistenzialista e autarchica segnerà la forma economica dello Stato italiano anche nei decenni successivi.
Il rapporto tra il fascismo e le democrazie occidentali.


Per tutti gli anni Venti fino ai primi Trenta, Mussolini aveva puntato a fare del fascismo italiano un regime riconosciuto e legittimato anche all’estero; in particolare, l’obiettivo era ottenere il riconoscimento di movimento antisocialista e antibolscevico, di utilità europea, dalle democrazie liberali (Francia e Inghilterra soprattutto). Per questo la politica estera mussoliniana si basa in questa fase sul mantenimento dello statu quo uscito dai trattati di pace e dalla praticamente totale assenza di una politica militare all’estero (fatta eccezione per la breve occupazione di Corfù nel ’23, durata circa un mese). Contemporaneamente, si assiste al proliferare di partiti e movimenti filofascisti nel resto d’Europa, nella maggior parte dei casi dichiaratamente ispirato al regime mussoliniano: ovviamente il Partito Nazionale Fascista e Mussolini sostengono questi movimenti, ma stando attenti a non incrinare i rapporti coi governi liberali o conservatori dei paesi in cui questi sono presenti; in altri casi (come in Ungheria o in Austria), dove i fascisti riescono a giungere al potere, la relazione è chiaramente di simpatia. A partire dal ’33-’34 la politica estera di Mussolini cambia, a causa principalmente dell’ascesa al potere di Hitler in Germania e delle sue mire espansionistiche. In particolare, nel ’34, l’Austria (dove al potere c’è il regime fascista e cattolico di Engelbert Dollfuss, alleato e amico personale di Mussolini) è oggetto di una campagna terroristica e politica da parte di Hitler, nella cui ideologica pan germanica l’Austria deve essere annessa alla Germania (Anschluss). Mussolini schiera le truppe sul Brennero e minaccia direttamente Hitler, rinviando solo di poco l’annessione austriaca alla Germania.


Rientrata la crisi e vista l’assenza di iniziativa da parte dell’alleanza anglo-francese, Mussolini e il Gran Consiglio decidono di puntare sulla conquista coloniale per ottenere risorse in caso di una nuova guerra europea: dal 3 ottobre 1935 al 9 maggio 1936 si svolge la guerra d’Etiopia, aggressione condotta senza risparmio di energie contro uno degli ultimi stati africani indipendenti. L’utilizzo di armi chimiche e la particolare violenza dell’attività italiana in Etiopia, sia durante che dopo la guerra, spingono la comunità internazionale a condannare l’aggressione e isolare economica e politicamente l’Italia (in particolare, con l’imposizione di un embargo commerciale). Trovatasi sola, l’Italia fascista è costretta ad avvicinarsi al regime ad essa più affine: la Germania nazista, che nel frattempo stava diventando la prima potenza militare europea e una potenza industriale in ascesa.


L’alleanza con la Germania

 

Arrivato al potere nel 1933, dopo la crisi istituzionale seguita a quella economico-sociale scoppiata nel 1929 (di cui la Germania è uno dei paesi che accusa di più le conseguenze), Hitler è l’ideologo di un nazionalismo militarista e aggressivo, fortemente antisemita e razzista, sostenitore estremo del pangermanismo. Dopo l’iniziale simpatia mostrata da Mussolini per il nazismo prima del ’33 (considerato “un successo fascista”), i rapporti si incrinano con le mire espansioniste di Hitler verso l’Austria. Dal 1936 assistiamo ad un rapido avvicinamento dell’Italia fascista alla Germania nazista: la situazione economica che non migliora e i fallimentari risultati immediati dello sforzo bellico in Etiopia, sembrano infrangere il rapporto mistico tra Mussolini e popolo italiano, creando una profonda (per quanto silenziosa) ondata di malcontento. L’alleanza con la Germania e il suo supporto sono fondamentali per la sopravvivenza economica dell’Italia e il rafforzamento politico del regime. La superiorità militare ed economica tedesca presto sposta la posizione italiana da alleato a vassallo. La progressiva sottomissione di Mussolini all’alleato tedesco è rappresentata da una serie di patti militari: 1936, Asse Roma-Berlino; 1937, patto Anticomintern (comprendente anche il Giappone militarista); 1938, silenzio assenso di Mussolini all’annessione tedesca dell’Austria; 1939, Patto di Ferro. Inoltre, la partecipazione italiana alla guerra di Spagna è un punto di svolta decisivo: teatro di una guerra civile tra governo repubblicano di sinistra (comprendente comunisti, socialisti e anarchici) e rivoltosi nazionalisti guidati da Francisco Franco, la Spagna viene comunemente considerata la prova generale della Seconda Guerra Mondiale. Italia e Germania inviano truppe e fondi a sostegno di Franco; l’Urss aiuta economicamente i repubblicani, mentre l’articolato fronte antifascista europeo fonda le Brigate internazionali, composte da volontari che vanno in Spagna per combattere franchisti e fascisti. Francia e Inghilterra  boicottano il fronte repubblicano. Nel ’39 la guerra si conclude con la vittoria di Franco.

 

La svolta delle “leggi razziali” e vigilia della guerra

 

L’influenza nazista in Italia è particolarmente forte sul piano culturale e ha la sua manifestazione più drammatica nelle leggi razziali promulgate dall’ottobre 1938: attraverso una serie di provvedimenti discriminatori, vengono esclusi dalla già ristretta vita politica e civile in particolare gli ebrei (è qui centrale il forte carattere antisemita dell’ideologia hitleriana); in secondo luogo, il fascismo fa proprio il linguaggio razzista del nazismo tedesco, parlando apertamente di “razza ariana” da difendere e da purificare dagli elementi impuri. Le discriminazioni riguardano la legislazione su matrimonio, impiego statale, possibilità di trovare lavoro, utilizzo di mezzi pubblici e partecipazione dei soggetti discriminati a scuole e università. La svolta razzista, insieme al Patto d’Acciaio del 22 maggio 1939, sono il risultato di un percorso di asservimento dell’Italia fascista al regime nazista per evitare che la crisi economica e l’isolamento internazionale, portassero ad una crisi del regime. Se fino al ’38 Mussolini aveva comunque rappresentato l’elemento di mediazione tra anglo-francesi e Germania, oltre che colui su cui puntavano per contenere l’espansionismo aggressivo di Hitler (fallendo puntualmente, come nel caso della conferenza di Monaco), dal 1939 invece viene abbandonato questo ruolo, e il regime fascista si schiera a sostegno del sempre più minaccioso militarismo tedesco.