Lettura e analisi del primo canto dell'Inferno di Dante, a cura di Andrea Cortellessa.
Il primo esempio della straordinaria ricchezza di piani della Divina Commedia è già nel Proemio, probabilmente il canto più letto di tutta l'opera: "Nel mezzo del cammin di nostra vita | mi ritrovai per una selva oscura | chè la diritta via era smarrita. | Ahi quanto a dir qual era è cosa dura | esta selva selvaggia e aspra e forte | che nel pensier rinova la paura! | Tant'è amara che poco è più morte; | ma per trattar del ben ch'i' vi trovai, | dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte. | Io non so ben ridir com'i' v'intrai, | tant'era pien di sonno a quel punto | che la verace via abbandonai."
Il cammino dell'esistenza, che secondo la dottrina religiosa dovrebbe essere sempre retto, prende invece altre direzioni, portando l'uomo nel peccato. Dante riesce a far coesistere il piano allegorico (rappresentato, ad esempio, da Virgilio e dalle tre fiere) con la concretezza materiale delle immagini descritte. Grande importanza viene subito attribuita alla vista, che non è solo materiale, ma onirica. La lonza, prima fiera incontrata da Dante, rappresenta la lussuria; l'angoscia e la paura provocate da essa possono essere messe in fuga solo dall'apparizione di una belva ancora più temibile: il leone, che simboleggia la superbia. L'ultima fiera è la lupa, cioè l'avarizia, che riduce gli uomini in miseria. L'apparizione di Virgilio è quella della letteratura: di fronte ai pericoli della lussuria, della superbia e dell'avarizia, essa rappresenta l'unica difesa dai pericoli dell'esistenza.
Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il manifesto e La Stampa-Tuttolibri.