L’ode La caduta venne originariamente composta nel 1785, in seguito ad un fatto realmente accaduto al poeta (una caduta per le strade di Milano, dovuta anche alle precarie condizioni fisiche),all’epoca cinquanteseienne; il testo cominciò a circolare in prima edizione nel gennaio 1786, tuttavia il titolo attuale è definitivo solo dall’edizione delle Odi pariniane del 1791.
Metro: strofa di tre settenari e un endecasillabo a rime piane alternate. Schema abaB.
- Quando Orïon 1 dal cielo
- declinando imperversa;
- e pioggia e nevi e gelo
- sopra la terra ottenebrata versa,
- me spinto ne la iniqua
- stagione, infermo il piede 2,
- tra il fango e tra l’obliqua
- furia de’ carri la città gir vede 3;
- e per avverso sasso
- mal fra gli altri sorgente 4,
- o per lubrico passo
- lungo il cammino stramazzar sovente 5.
- Ride il fanciullo; e gli occhi
- tosto gonfia commosso,
- che il cubito o i ginocchi
- me scorge 6 o il mento dal cader percosso.
- Altri accorre; e: oh infelice
- e di men crudo fato
- degno vate! mi dice;
- e seguendo il parlar, cinge il mio lato
- con la pietosa mano;
- e di terra mi toglie;
- e il cappel lordo 7 e il vano
- baston 8dispersi ne la via raccoglie:
- te ricca di comune
- censo la patria loda 9;
- te sublime, te immune
- cigno da tempo che il tuo nome roda
- chiama gridando intorno 10;
- e te molesta incìta
- di poner fine al Giorno 11,
- per cui cercato a lo stranier ti addita.
- ed ecco il debil fianco
- per anni e per natura
- vai nel suolo pur anco
- fra il danno strascinando 12 e la paura:
- né il sì lodato verso
- vile cocchio ti appresta,
- che te salvi a traverso
- de’ trivii dal furor de la tempesta.
- Sdegnosa anima 13! prendi
- prendi novo consiglio,
- se il già canuto intendi
- capo sottrarre a più fatal periglio.
- Congiunti tu non hai,
- non amiche, non ville,
- che te far possan mai
- nell’urna del favor preporre a mille 14.
- Dunque per l’erte scale
- arrampica qual puoi;
- e fa gli atrj e le sale
- ogni giorno ulular de’ pianti tuoi 15.
- O non cessar di porte
- fra lo stuol de’ clienti,
- abbracciando le porte 16
- de gl’imi, che comandano ai potenti;
- e lor mercé penètra
- ne’ recessi de’ grandi;
- e sopra la lor tetra
- noja le facezie e le novelle spandi 17.
- O, se tu sai, più astuto
- i cupi sentier trova
- colà dove nel muto
- aere il destin de’ popoli si cova;
- e fingendo nova esca
- al pubblico guadagno,
- l’onda sommovi, e pesca
- insidioso nel turbato stagno 18.
- Ma chi giammai potrìa
- guarir tua mente illusa,
- o trar per altra via
- te ostinato amator de la tua Musa? 19
- Lasciala: o, pari a vile
- mima, il pudore insulti,
- dilettando scurrile
- i bassi genj dietro al fasto occulti 20.
- Mia bile, al fin costretta,
- già troppo, dal profondo
- petto rompendo, getta
- impetuosa gli argini; e rispondo:
- chi sei tu, che sostenti
- a me questo vetusto
- pondo 21, e l’animo tenti
- prostrarmi a terra? Umano sei, non giusto.
- Buon cittadino, al segno
- dove natura e i primi
- casi ordinàr, lo ingegno
- guida così, che lui la patria estimi.
- Quando poi d’età carco
- il bisogno lo stringe,
- chiede opportuno e parco
- con fronte liberal 22, che l’alma pinge.
- E se i duri mortali
- a lui voltano il tergo,
- ei si fa, contro ai mali,
- della costanza sua scudo ed usbergo.
- Né si abbassa per duolo,
- né s’alza per orgoglio 23.
- e ciò dicendo, solo
- lascio il mio appoggio; e bieco indi mi toglio.
- Così, grato ai soccorsi,
- ho il consiglio a dispetto;
- e privo di rimorsi,
- col dubitante piè torno al mio tetto 24.
- Quando la costellazione di Orione
- tramontando porta con sé il brutto tempo;
- e riversa pioggia e neve e gelo
- sopra la terra oscurata dalle nubi,
- Milano mi vede camminare, costretto
- a uscire nella stagione sfavorevole,
- con le gambe sofferenti,
- nel fango e tra la corsa dei carri disordinata;
- e, a causa di un sasso a me nemico
- e sporgente rispetto agli altri,
- o per un tratto di strada scivoloso,
- spesso mi vede cadere a terra rovinosamente.
- Ride il fanciullo; e tuttavia subito i suoi occhi
- si riempiono di lacrime per la commozione,
- poiché vede che mi sono ferito, cadendo,
- il gomito o il ginocchio o il mento.
- Un passante si avvicina, e: “Oh sfortunato
- poeta e degno di un destino
- meno avverso!” mi dice;
- e continuando a parlare, mi abbraccia
- con la sua mano pietosa;
- e mi solleva da terra;
- e il cappello sporcatosi e l’inutile
- bastone, caduti nella via, raccoglie:
- La patria, colma di denaro
- pubblico, ti loda;
- ti chiama a gran voce poeta sublime
- e il cui nome il tempo
- non può corrompere;
- e fastidiosamente ti incita
- a terminare il tuo poema Il Giorno,
- ti indica agli stranieri che ti cercano.
- Ed ecco che per la vecchiaia e per la
- malattia il tuo debole corpo
- vai portando in giro
- tra il dolore per la caduta ed altre paure:
- e la tua tanto lodata poesia non
- ti permette neppure un’umile carrozza,
- che ti protegga in mezzo agli incroci
- dove c’è più pericolo.
- Anima fiera e sdegnosa! Matura
- un nuovo atteggiamento,
- se vuoi sottrarre la tua testa canuta
- ad un pericolo maggiore.
- Non hai parenti benestanti,
- né protettrici né luoghi in cui essere ospitato,
- che possano mai farti anteporre.
- ad altri mille nell’assegnazione dei benefici.
- Dunque cerca di arrampicarti per quanto puoi
- su scale molto alte e faticose;
- e fai in modo che le sale e le altre persone
- ogni giorno riecheggino i tuoi lamenti.”
- O non smettere di insinuarti
- fra l’insieme dei “parassiti”,
- supplicando persone che, nonostante
- le umili origini, hanno influenza sui potenti;
- e grazie a loro entra nelle
- stanze più intime dei potenti;
- e allevia la loro noia cupa
- con facezie e storie salaci.
- O, se tu ne sei capace,
- trova il modo di entrare nelle stanze
- dove, nel segreto,
- si decide il destino dei popoli;
- e proponendo un nuovo modo
- per aumentare le entrate,
- crea confusione, e con l’inganno
- approfittane a tuo vantaggio.
- Ma chi mai potrà guarire
- la tua mente idealista,
- o portare su un’altra via
- te, poeta ostinato ed amante della Musa?
- Lasciala: o, simile ad una vile commediante,
- non curarti del pudore e rallegra
- con composizioni scurrili i desideri volgari
- dei potenti nascosti dietro le loro false apparenze”.
- La mia indignazione, già fin troppo
- trattenuta, prorompendo dal profondo
- del petto, sfonda
- i confini; e rispondo:
- “Chi sei tu, che sostieni il
- peso del mio vecchio
- corpo, e tenti di prostare a terra il mio animo?
- Sei umano, ma non sei corretto.
- Il buon cittadino, tenuto in considerazione
- dalla patria, rivolge così la sua intelligenza
- verso dove lo indirizzarono
- la natura e i primi fatti della vita,
- Quando poi a causa dell’età il bisogno
- lo mette in difficoltà, chiede aiuto
- in maniera opportuna e discreta con una dignità
- da uomo libero che ben esprime ciò che prova.
- E se gli uomini insensibili
- gli hanno voltato le spalle,
- egli si crea, contro le cattiverie,
- uno scudo e una corazza con la sua costanza.
- Né si piega per dolore,
- né si alza per orgoglio.”
- e dicendo questo, da solo mi allontano dal
- passante, e mi allontano da lui, sdegnato.
- Così, grato per l’aiuto,
- non accetto il consiglio,
- e privo di rimorsi,
- torno a casa sempre incerto nel camminare.
1 La costellazione di Orione prende il proprio nome da un cacciatore della Boezia che si innamorò di Diana, la quale lo uccise; Giove lo trasformò poi nella costellazione omonima, detta appunto anche “il cacciatore”. Qui la perifrasi sta a designare la stagione invernale, quando Orione è meglio visibile in cielo.
2 infermo il piede: Parini soffrì sin dall’infanzia di una malattia nervosa agli arti inferiori, che ne limitò la capacità di camminare.
3 Costruzione: “la città me vede gir spinto ne la iniqua stagione, infermo il piede, tra il fango e l’obliqua furia dei carri”. La sintassi è modellata sullo stile del latino, per conferire dignità e sotenutezza all’ode “civile” del poeta.
4 e per avverso sasso | mal fra gli altri sorgente: si noti anche qui l’accurata scelta e disposizione degli aggettivi.
5 stramazzar sovente: biografi pariniani sottolineano che, oltre alla circostanza effettiva della caduta, probabilmente l’ode è stata anche suggerita a Parini dalla mancata concessione di un beneficio ecclesiastico da parte dell’oratorio di Santa Maria Assunta di Lentate, nei pressi di Cantù. In quella circostanza, Parini si era visto scavalcato da tale abate conte Cesare Melzi, “raccomandato” dalla potente famiglia aristocratica. La “caduta” vuole essere quindi anche rivendicazione della propria integrità etica, nonostante la debolezza fisica.
6 me scorge: qui la figura retorica dell’iperbato che spezza alterando la sintassi e l’ordine normale della frase; è un’altra risorsa tipica dello stile assai letterario delle Odi pariniane.
7 cappel lordo: cappello sporco di fango a causa della caduta.
8 vano baston: il bastone che è stato inutile per evitare la caduta.
9 Si noti anche qui la costruzione della frase, mossa dall’inversione dell'ordine della frase e dall’enjambement tra i vv. 25-26.
10 Secondo quanto afferma il passante che soccorre Parini, la patria, ricca ma insensibile alla condizione di indigenza del poeta, lo invoca a gran voce (“chiama gridando intorno”) e lo chiama ricorrendo pure a termini aulici
11 di poner fine al Giorno: Parini pubblicò le prime due parti della sua opera maggiore, Il Giorno, tra 1763 (Il Mattino) e 1765 (Il Mezzogiorno); tuttavia il poema, il cui titolo è indicato per la prima volta proprio in quest’ode, non fu mai completato.
12 strascinando: anche qui lo stile pariniano si appoggia all’iperbato (che colloca il verbo tra i due complementi, alterando l’ordine sintattico più convenzionale) per impreziosire il suo dettato.
13 Sdegnosa anima: lo “sdegno” del poeta è quello che, per orgoglio etico e fierezza personale, gli fa rifiutare l’appoggio dei potenti, che pure potrebbe avere riscontri positivi sulla vita del poeta (come l’avere a disposizione almeno un “vile cocchio” per i suoi spostamenti cittadini). Il termine ha un rimando intertestuale dantesco, e più precisamente all’ottavo canto dell’Inferno, dove l’espressione “Alma sdegnosa” (v. 44) si riferisce all’atteggiamento orgoglioso del poeta che ha ribrezzo per i peccati dei dannati (in quel caso, gli iracondi e il fiorentino Filippo Argenti).
14 Costruzione vv. 47-48: “Che possan mai far te preporre a mille nell’urna del favor”. Parini torna così sul tema dei favori e dei benefici, governati sia dalla fortuna sia dalle amicizie influenti.
15 Il consiglio del passante è quindi quello di adulare i potenti, così da poter entrare nelle loro grazie e vivere placidamente alle loro dipendenze.
16 Si osservi la rima equivoca tra il v. 53 (“porte” è voce arcaica per “porti”, nel senso di “metterti”, “infilarti”) e il v. 55 (dove “porte” sono gli ingressi delle case nobiliari, che Parini dovrebbe abbracciare mimando il gesto che nell’antichità caratterizzava gli atti di supplica).
17 Il suggerimento è insomma quello di farsi poeta cortigiano, dedito ad adulare e a far divertire gli esponenti della nobiltà.
18 L’altro consiglio, se non si vuol vivere alla corte di un aristocratico, è quello di far valere il proprio nome per diventare consigliere di un politico, e godere i privilegi della casta. Le immagini dell’“onda” (v. 67) e del “turbato stagno” (v. 68) alludono appunto alle manovre con cui si pesca nel torbido, metafora abbastanza trasparente della possibilità di arricchirsi con la corruzione e lo sfruttamento della propria posizione di pubblico amministratore.
19 Il passante si chiede come mai il poeta continua a seguire i dettami della Musa, rispettando i valori e gli ideali della poesia, senza vendersi per denaro.
20 La conclusione del discorso del passante è particolarmente secco e cinico: meglio comportarsi da “vile mima” e rinunciare al pudore per soddisfare il gusto volgare (“i bassi genj”, con lessico tipicamente neoclassicheggiante) dei nobili e dei potenti.
21 vetusto pondo: espressione assai letteraria, che, dal latino pondus, -dĕris, indica la parte materiale del corpo umano, in antitesi rispetto all’anima.
22 con fronte liberal: altro latinismo (da liberalis, -is “degno di un uomo libero”).
23 La risposta del Parini si sviluppa in diciotto versi, in cui esprime la sua profonda adesione ad un’etica di dignità ed onestà intellettuale, che gli fa preferire la solitudine e la sofferenza per l’abbandono della gente comune (contro cui farsi “scudo ed usbergo” con la propria “costanza”, la propria legge morale). L’ideale pariniano è insomma quello dell’intellettuale e del poeta estranei alla vita di società e ai piaceri delle ricchezze, ma coerenti con una loro “missione” morale e civile (quale appunto quella dell’autore del Giorno nel svelare gli inutili lussi, le patetiche meschinità e la stridente superficialità della vita del “giovin signore”).
24 L’ode si chiude con l’affermazione del poeta in cui dice di essere stato grato dell’aiuto ricevuto, ma di non provare minimamente alcun rimorso nè per la risposta secca nè per il fatto di essersi allontanato con sdegno da colui che lo ha aiutato ad alzarsi. Parini torna a casa a passo incerto, ma con la dignità intatta.