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Manzoni e "I promessi sposi": "il sugo di tutta la storia"

Quando, nel cap. XXXVII de I promessi sposi, a Pasturo, Renzo e Agnese hanno modo di rivedersi, dopo lungo tempo e molte traversie, e di parlarsi, Manzoni, osserva quanto segue:

 

son certo che, se il lettore, informato come è delle cose antecedenti, avesse potuto trovarsi lì in terzo, a veder con gli occhi quella conversazione così animata, a sentir con gli orecchi que' racconti, quelle domande, quelle spiegazioni, quell'esclamare, quel condolersi, quel rallegrarsi, e don Rodrigo, e il padre Cristoforo, e tutto il resto, e quelle descrizioni dell'avvenire, chiare e positive come quelle del passato, son certo, dico, che ci avrebbe preso gusto, e sarebbe stato l'ultimo a venir via. Ma d'averla sulla carta tutta quella conversazione, con parole mute, fatte d'inchiostro, e senza trovarci un solo fatto nuovo, son di parere che non se ne curi molto, e che gli piaccia più d'indovinarla da sé.

L’osservazione d’altro canto si inserisce all’interno di un capitolo caratterizzato da un gran fermento legato agli spostamenti di Renzo, di Agnese e di Lucia e al lento ritorno alla normalità quotidiana dei protagonisti della vicenda. La ripresa di una inarrestabile vitalità, non vinta dalle catastrofi della storia e in armonia con la vicenda della natura, è specificatamente sottolineata dall’autore quando, all’uscita di Renzo dal lazzaretto, descrive il temporale che si abbatte, come una catarsi, durante il viaggio di ritorno da Milano del giovane. La vicenda si è avviata allo scioglimento e proprio questo significa la pioggia per Renzo: “in quel risolvimento della natura sentiva come più liberamente e più vivamente quello che s’era fatto nel suo destino”.

 

Nel Fermo e Lucia invece all’incontro fra Renzo e Agnese erano dedicate poche righe, all’interno dell’ultimo capitolo del romanzo che condensa, in forma molto riassuntiva, quelle tappe che scandiscono lo scioglimento della vicenda cui l’edizione definitiva dedica invece ben due capitoli. Si ha come l’impressione che nel Fermo e Lucia , dopo la morte di don Rodrigo, narrata nei termini molto drammatici di una cavalcata infernale dai marcati tratti gotici, non ci fosse spazio che per sintetici ragguagli finalizzati alla conclusione della narrazione ed all’espressione di quello che, in modo enfatico, è definito, alla conclusione del romanzo, come “il costrutto morale di tutti gli avvenimenti”, il quale viene affidato alle parole semplici di Lucia.

 

Ebbene, nel passaggio di queste parole dallo statuto di “costrutto morale di tutti gli avvenimenti” a quello, molto più umile e domestico presente nella versione definitiva de I promessi sposi, di “sugo di tutta la storia”, si compie il senso profondo dell’opera narrativa di Manzoni e dei suoi continui rifacimenti sino alla versione definitiva. E se questo compimento non poteva avvenire se non attraverso la morte di don Ferrante, cioè attraverso il significato simbolico che essa assume nella vicenda, dopo tale compimento non poteva esserci che il silenzio; cioè quel silenzio che sarà dell’attività creativa di Manzoni, il quale rinunciava alla Letteratura dopo aver tentato di sopprimerne le mediazioni e le sovrastrutture per trasformarla in uno strumento espressivo in grado di dare voce alla verità degli umili.