Introduzione: i Re cristianissimi alle prese con la Riforma protestante (1534-59)
Con i trattati di pace di Cateau-Cambrésis, nel marzo-aprile 1559 ebbe termine il conflitto che aveva insanguinato l’Europa continentale nei decenni precedenti, vedendo contrapporsi le mire egemoniche della Francia e degli Asburgo austro-spagnoli. Il re di Francia Enrico II (1519-59), accordandosi con il re di Spagna Filippo II (1527-98) e con la regina d’Inghilterra Elisabetta I (1533-1603), dovette abbandonare ogni pretesa sul ducato di Milano e sul regno di Napoli, sui quali la Francia aveva cercato di estendere la sua influenza sin dai tempi di Carlo VIII (1494), e ottenne alcuni ampliamenti territoriali.
Se Enrico II si decise a scendere a patti con i suoi nemici, fu anche e soprattutto per potersi dedicare in pace “a sterminare e bandire l’eresia di Calvino” dai suoi domini, come spiegò davanti al Parlamento di Parigi 1 il cardinale Carlo di Lorena (1524-74). In Francia, in effetti, la penetrazione delle idee calviniste fu un fenomeno ampio e articolato, che investì tutta la società francese e mostrò notevole capacità di presa anche sulla nobiltà e sugli ambienti di corte. La monarchia, però, che con il concordato del 1516 si era vista riconoscere da Roma ampi poteri di controllo sulla cosiddetta Chiesa gallicana, aveva tutto da perdere da un movimento di riforma che avrebbe compromesso l’unità religiosa e rovesciato le gerarchie ecclesiastiche. L’unità di fede era un aspetto che riguardava non solo la dimensione spirituale, ma anche quella politica: “une foi, une loi, un roi” (ovvero: “una fede, una legge, un re”), era questo il motto della monarchia francese, che, dal battesimo di Clodoveo (466ca-511) in poi, si era sempre pensata in termini strettamente simbiotici con la religione cattolica.
Per questi motivi, a partire dal 1534, Francesco I (1494-1547) e poi suo figlio Enrico II avevano adottato misure sempre più dure contro gli ugonotti, come venivano chiamati i calvinisti francesi 2. Nonostante le persecuzioni, però, le comunità protestanti continuarono a crescere in numero e importanza, grazie anche al flusso di missionari e predicatori che arrivavano dalla vicina Ginevra, la nuova Gerusalemme di Giovanni Calvino, tanto che nel maggio 1559 si tenne il primo sinodo generale delle Chiese riformate di Francia.
La monarchia francese in difficoltà: da Enrico II a Francesco II (1559-60)
Enrico II (1519-59) - Francesco II (1544-60).
La morte improvvisa e prematura di Enrico II, mortalmente ferito nel luglio 1559 durante un torneo, complicò notevolmente le cose, indebolendo la posizione della monarchia. Il nuovo re, infatti, il quindicenne Francesco II (1544-60), era inesperto e malaticcio e preferì lasciare le redini del governo in mano agli zii di sua moglie, la regina di Scozia Maria Stuart, ovvero il duca Francesco di Guisa (1520-63) e suo fratello, il cardinale di Lorena, i quali s’applicarono per portare avanti la politica anti-protestante seguita fino ad allora dalla corona. Alcune famiglie aristocratiche convertite al calvinismo, tra le quali spiccava la potente casata dei Borbone, sovrani della Navarra, cercarono però di sfruttare l’incertezza del momento e la debolezza del sovrano per rovesciare lo strapotere dei Guisa e volgere la politica in proprio favore. Nel marzo 1560 fu così ordito un complotto per catturare Francesco II e la sua corte, che si trovavano ad Amboise, ma la trama fu scoperta e diversi aristocratici calvinisti vennero uccisi o catturati. Tra questi vi era anche Luigi di Borbone, principe di Condé (1530-69), la cui condanna a morte fu sospesa e poi annullata a causa della dipartita del re, avvenuta nel dicembre 1560.
Nel frattempo gli ugonotti avevano anche cercato di rivendicare pacificamente i propri diritti: all’assemblea dei notabili riunitasi a Fontainebleau nell’agosto 1560, i loro delegati chiesero il permesso di riunirsi pubblicamente per ascoltare le prediche e svolgere il loro culto, ma la supplica fu bruscamente rigettata dai Guisa.
La politica conciliante di Caterina de’ Medici (1560-62)
Carlo IX (1550-74) - Caterina de’ Medici (1519-89).
A Francesco II successe il fratello decenne Carlo IX (1550-74), ma il potere venne di fatto esercitato da sua madre, Caterina de’ Medici (1519-89), che fu nominata reggente estromettendo i Guisa. Nata e cresciuta a Firenze, Caterina fu sempre malvista dai sudditi francesi, in quanto donna e in quanto straniera, e su di lei si costruì ben presto una vera e propria “leggenda nera”, che la dipingeva come ambiziosa, assetata di potere, abilissima nelle arti della finzione e del tradimento, insomma degna allieva di Machiavelli e delle dottrine immorali del suo Principe. Si trattava in realtà di insinuazione largamente infondate ed esagerate: essa operò per tutelare il prestigio e la centralità della monarchia francese in un periodo di crisi e cercò di imporre la propria politica destreggiandosi abilmente tra le opposte fazioni. Nei primi anni di regno di Carlo IX, Caterina tentò di sedare i dissidi e i conflitti religiosi, inaugurando una politica di distensione e cauta apertura verso gli ugonotti; mentre venivano conferiti incarichi di rilievo a nobili protestanti (Antonio di Borbone, padre del futuro Enrico IV, fu nominato luogotenente generale del regno), ottenevano credito crescente le posizioni del cancelliere Michel de l’Hôpital, fautore della tolleranza religiosa e della riconciliazione interconfessionale.
Nel tentativo di superare pacificamente le differenze dottrinali, nell’ottobre 1561 fu riunita a Poissy, alla presenza del re e della regina-madre, una conferenza religiosa, alla quale presero parte ecclesiastici e teologi sia cattolici che calvinisti. La conferenza fu un fallimento e acutizzò le reciproche incomprensioni, ma Caterina fece comunque emanare dal re un Editto di tolleranza (17 gennaio 1562) che riconosceva ai protestanti la libertà di culto pubblico fuori dalle città e, all’interno di quelle, il permesso di praticare il culto in forma privata.
Il riconoscimento, seppur parziale, della libertà religiosa innescò la violenta reazione dei cattolici e spinse i principali esponenti aristocratici del partito cattolico, il duca di Guisa, il connestabile Anne di Montmorency (1493-1567) e il maresciallo Giacomo di Saint-André (1505-62), a creare un triumvirato per opporsi alla politica di Caterina e ai protestanti. Essi ottennero il sostegno di Filippo II di Spagna, che vedeva con inquietudine l’evolversi della situazione religiosa in Francia. Mentre in tutto il paese crescevano le tensioni e si verificavano i primi scontri tra cattolici e ugonotti, le due parti si preparavano alla guerra. Il casus belli non si fece attendere: il 1° marzo 1562, il duca di Guisa, rientrando con le sue truppe dalla Lorena, scoprì che i protestanti di Wassy, nello Champagne, celebravano i loro riti dentro la città in contravvenzione all’editto di gennaio, li attaccò con i suoi soldati e ne uccise una settantina.
Le prime guerre di religione (1562-70)
Con il massacro di Wassy presero avvio le guerre di religione, che sarebbero proseguite a fasi alterne per più di trent’anni. Gli storici tendono a identificare in questo periodo otto guerre, o per meglio dire, otto fasi di una stessa guerra, tra le quali intercorsero periodi di pace o di tregua dichiarata più o meno lunghi. In realtà la società francese fu travagliata in maniera pressoché ininterrotta da violenze private, vendette, massacri tra cattolici e protestanti, che non andavano di pari passo con la guerra “reale” e rispondevano a uno stato di conflittualità diffusa e permanente, di vera e propria lacerazione sociale.
La prima guerra andò dal 1562 al 1563. Mentre il duca di Guisa costrinse il re e la corte a trasferirsi da Fontainebleau a Parigi, per tenerli sotto controllo, i protestanti, guidati dal principe di Condé, occuparono alcune delle maggiori città del regno: Orléans, Lione, Poitiers e Rouen 3. Ognuna delle due cercò di ottenere degli aiuti esterni, i cattolici rivolgendosi naturalmente alla Spagna, gli ugonotti all’Inghilterra anglicana e alla Svizzera. Un evento risolutivo si verificò nel dicembre 1562, con la battaglia campale di Dreux: i protestanti furono sconfitti e il principe di Condé catturato, ma anche i cattolici subirono gravi perdite, con la morte di Saint-André e la cattura di Montmorency, alle quali si aggiunse, nel marzo 1563, la morte dello stesso duca di Guisa, assassinato durante l’assedio di Orléans. Nel giro di alcuni mesi furono così messi fuori gioco i principali leader delle due parti e Caterina de’ Medici ne approfittò per sottrarsi alla pesante tutela del partito cattolico e per porre fine al conflitto: l’Editto di Amboise (19 marzo 1563) ribadiva la libertà di coscienza e concedeva agli ugonotti la libertà di culto solo in determinati luoghi (cioè nelle dimore dei nobili con diritto di alta giustizia e nei sobborghi di una città per ogni “baliaggio” 4).
Seguirono alcuni anni di relativa tranquillità, durante i quali Caterina cercò di rafforzare la posizione della monarchia compiendo un lungo viaggio attraverso la Francia insieme a Carlo IX, che aveva ormai raggiunto la maggiore età. Le tensioni, però, erano tutt’altro che risolte: mentre Filippo II faceva pressioni su Caterina perché abbandonasse la linea tollerante verso gli ugonotti, questi erano insoddisfatti dalle limitazioni dell’Editto di Amboise e temevano che i cattolici stessero solo aspettando il momento opportuno per riprendere le persecuzioni. Il principe di Condé, geloso dell’influenza che esercitava a corte il fratello del re, Enrico di Angiò (il futuro Enrico III), organizzò allora, insieme all’ammiraglio Gaspard di Coligny (1519-72), un colpo di mano per catturare il re e porlo sotto la loro protezione (la cosiddetta “sorpresa di Meaux”). Il 28 settembre 1567 scattò il piano ma Carlo IX e Caterina riuscirono a fuggire, rifugiandosi a Parigi, mentre in varie città gli ugonotti, temendo rappresaglie, presero il potere con la forza. Era l’inizio dello scontro aperto tra la monarchia e i calvinisti e la fine della politica conciliante di Michel de l’Hôpital.
La seconda guerra (1567-68), accompagnata da un largo strascico di violenze, massacri e rappresaglie da ambo le parti, non registrò fatti d’arme di rilievo. Lo scontro più importante avvenne a Saint-Denis, nel novembre 1567, con esito incerto: i cattolici erano sul punto di vincere quando perdettero uno dei loro comandanti, il connestabile di Montmorency, il che permise agli ugonotti di evitare la sconfitta. La situazione rimase in stallo e i calvinisti, militarmente più deboli, ne approfittarono per trattare la pace di Longjumeau (23 marzo 1568), che confermava le condizioni dell’editto di Amboise. Si trattava solo di una parentesi, necessaria a preparare la ripresa delle ostilità: nel paese si intensificavano le violenze contro i protestanti, i predicatori cattolici chiamavano le folle alla crociata contro gli eretici e nascevano dappertutto confraternite armate per la difesa della religione. A corte si affermava ormai il partito cattolico, al quale aveva aderito anche Enrico d’Angiò, mentre Michel de l’Hôpital fu definitivamente sfiduciato.
La guerra riprese nell’estate del 1568 (terza guerra, 1568-70): il principe di Condé e l’ammiraglio di Coligny, che si erano ritirati nei loro feudi, si sottrassero alla minaccia delle armate reali rifugiandosi nella cittadella di La Rochelle, praticamente imprendibile, che divenne il centro delle operazioni militari ugonotte. Le armate reali riportarono due vittorie importanti, a Jarnac (marzo 1569), dove fu catturato e giustiziato il principe di Condé, e a Moncontour (ottobre 1569), ma gli ugonotti, ora guidati dall’ammiraglio di Coligny, non si dispersero e mantennero una certa pressione sugli eserciti nemici, saccheggiando le campagne e dandosi alla guerra di corsa sul mare. Intanto a corte sorsero frizioni tra i Guisa e la famiglia reale; incapaci di piegare la resistenza protestante e stretti dalle difficoltà finanziarie, Caterina e Carlo IX aprirono negoziati per la pace e, davanti alle minacciose manovre di Coligny nel sud della Francia, firmarono la pace di Saint-Germain (8 agosto 1570). Tutte le richieste degli ugonotti furono accolte: essi ottennero il culto pubblico in tutte le città dove già lo praticavano e nei sobborghi di almeno due città per ogni provincia e la concessione temporanea di quattro piazzeforti (La Rochelle, Cognac, La Charité e Montauban).
Le “nozze vermiglie”: il massacro di San Bartolomeo (1572)
Enrico di Borbone (1553-1610) - Margherita di Valois (1553-1615).
Si verificò allora un rimescolamento delle alleanze e dei rapporti di forza. All’interno, il partito cattolico cadde in disgrazia e Caterina cominciò a trattare un’alleanza matrimoniale con i protestanti, con l’intento di sposare sua figlia Margherita a Enrico di Borbone (1553-1610), diventato re di Navarra alla morte della madre. In politica estera, si raffreddarono i rapporti con Filippo II e trovarono sempre maggior ascolto le richieste d’aiuto dei nemici della monarchia spagnola, nei Paesi bassi come in Italia. Anima e simbolo di questa fase di transizione fu l’ammiraglio di Coligny, leader del partito protestante e ispiratore della politica anti-spagnola, il quale seppe guadagnarsi un’influenza crescente sulla corte e su Carlo IX. Coligny si attirò così il risentimento della popolazione parigina, violentemente cattolica, e soprattutto dei Guisa, che vedevano minacciato il loro potere. In questo groviglio complicato di odi religiosi, gelosie, ambizioni politiche contrapposte, intrighi diplomatici affondò le sue radici l’evento più emblematico di questa drammatica stagione della storia francese: il massacro di San Bartolomeo.
Il massacro di San Bartolomeo, dipinto da un sopravvissuto, François Dubois (1572-1584 ca.).
Più che di un singolo massacro, si trattò di un’ondata di violenze che colpì gli ugonotti dalla metà di agosto ai primi di ottobre del 1572, a Parigi e in diverse altre città francesi. Sebbene gli storici non siano concordi nell’attribuire le responsabilità di quegli eventi, alcuni elementi fattuali possono essere stabiliti con certezza. Il 18 agosto 1572 fu celebrato a Parigi il matrimonio tra il protestante Enrico di Navarra e Margherita di Valois; per l’occasione giunsero nella capitale molti nobili e dignitari ugonotti, contribuendo ad esasperare il risentimento della popolazione parigina, continuamente infiammata dai predicatori cattolici. In questo clima surriscaldato, il 22 agosto l’ammiraglio di Coligny fu ferito da un colpo di archibugio; è probabile che l’attentato fosse stato ordito dai Guisa (pare che l’esecutore fosse un loro uomo), forse con l’assenso di Caterina, che intendeva così liberarsi di una personalità ingombrante e di indebolire la leadership del partito ugonotto proprio mentre legava a sé con il matrimonio uno dei suoi giovani capi. Coligny, però, non morì e chiese giustizia, tra lo sdegno dei protestanti.
La corte fu presa dal timore di trovarsi coinvolta in una sollevazione cittadina: in quella situazione di confusione e di paura fu organizzato un piano per eliminare a tradimento i principali capi ugonotti, risolvendo la crisi alla radice. Non è chiaro se Carlo IX fu tra i diretti promotori dell’iniziativa; di certo egli ne fu al corrente e finì forse per lasciarsi trasportare dagli eventi. D’altra parte non va nemmeno sottovalutato il ruolo che poté avere in quei frangenti la diffidenza anti-protestante instillata nel re e in sua madre dalla “sorpresa di Meaux” (1567). Ad ogni modo, nella notte tra il 23 e il 24 agosto, alla vigilia della festa di San Bartolomeo, le autorità municipali ricevettero l’ordine di sbarrare le porte di Parigi, le milizie cittadine furono allertate e il massacro poté cominciare. I nobili ugonotti furono uccisi nel sonno, i loro cadaveri trascinati per le strade e buttati nella Senna; Coligny fu ucciso nel suo letto, mentre al Louvre gli ospiti del re vennero ugualmente trucidati; il giovane sposo, Enrico di Navarra, costretto a scegliere tra la morte e la conversione al cattolicesimo, preferì quest’ultima. La situazione sfuggì però di mano agli organizzatori del complotto: svegliati dalle campane a martello, i parigini si abbandonarono a una strage sempre più immane e sanguinosa, a una vera e propria caccia all’ugonotto e all’eretico alla quale si mescolarono vendette e saccheggi. Servirono due giorni per riuscire a riportare una parvenza di ordine nella capitale; il 26 agosto i cadaveri si contavano a migliaia a Parigi. Nel frattempo le violenze si diffusero in altre città della Francia (a Orléans, Meaux, Angers, Lione, Bourges, Bordeaux, Rouen, Tolosa, Albi), in alcuni casi incoraggiate, in altri frenate dagli agenti della monarchia e dalle autorità locali.
La ripresa delle ostilità e l’avvento di Enrico III (1572-89)
E fu di nuovo la guerra, la quarta (1572-73). Carlo IX revocò la libertà di culto, attribuendo la responsabilità dei massacri agli stessi ugonotti, accusati di complottare contro la corona. Le operazioni militari si limitarono di fatto all’assedio di La Rochelle, dove i protestanti si erano asserragliati; nell’impossibilità di conquistare la piazzaforte, Carlo IX concesse l’Editto di Boulogne (11 luglio 1573), che garantiva agli ugonotti la libertà di culto pubblico solo nelle città di La Rochelle, Nîmes e Montauban.
La spaccatura tra la monarchia e i protestanti era però troppo profonda per potersi ricomporre; nel Midi (cioè nella parte meridionale della Francia), le comunità ugonotte si mantennero in armi e cominciarono a dotarsi di una propria struttura politica e amministrativa, creando una specie di Stato nello Stato, dotato di finanze, tasse, reclutamenti militari. Questi sforzi organizzativi non rispondevano solo alla volontà di difendersi dai cattolici e da una monarchia che si era rivelato infida, ma anche a una più generale contestazione della tirannide del potere regio, a cui andava sostituito un governo assembleare. Le idee della Riforma cominciavano così a trovare una concreta traduzione politica.
Enrico III (1551-89).
Nella primavera del 1574 morì Carlo IX e gli successe il fratello, Enrico III (1551-89), che era stato eletto re di Polonia un anno prima. Rientrato rapidamente in Francia, Enrico e sua madre Caterina si trovarono a fronteggiare una situazione inedita: le aspirazioni degli ugonotti alla libertà religiosa erano sostenute anche da un partito di cattolici, detti politici (politiques), i quali anteponevano la salvezza della Francia, rovinata dalle divisioni intestine e sempre più soggetta all’influenza spagnola, alla fedeltà religiosa. Il partito dei politici era ben rappresentato a corte e godeva dell’appoggio dell’ultimo fratello del re, Francesco, duca d’Alençon.
Mentre crescevano le divisioni a corte e il re si appoggiava sempre più ai cattolici intransigenti, nel sud del paese ripresero le ostilità (quinta guerra, 1574-76). La guerra assumeva ormai i tratti di un’aperta rivolta contro la monarchia, una rivolta sostenuta dallo stesso duca d’Alençon e da diversi esponenti dell’aristocrazia cattolica moderata, oltre che dalle truppe protestanti e da quelle dell’elettore palatino. Ridotto a mal partito, con Parigi assediata, e geloso dei Guisa, Enrico III scese a patti e firmò l’Editto di Beaulieu (6 maggio 1576), che concedeva agli ugonotti la libertà di culto in tutta la Francia, esclusa Parigi, la metà dei seggi in molti parlamenti locali e otto piazzeforti a titolo di garanzia.
Fu allora la volta dei cattolici ribellarsi all’editto reale. Leghe per la difesa della fede cattolica nacquero in molti luoghi, soprattutto nel nord della Francia (Piccardia e Bretagna), e nel novembre 1576 il duca Enrico di Guisa (1550-88, figlio di Francesco) le riunì in un’unica Ligue sainte. Per neutralizzarla, Enrico III fu costretto a prenderne la testa, il che riaprì le ostilità con i protestanti (sesta guerra, 1576-77). Dopo alcuni successi cattolici non decisivi, la pace di Bergerac e il successivo Editto di Poitiers (17 settembre 1577) riportarono una parvenza di calma, restringendo le concessioni fatte l’anno precedente agli ugonotti e ripristinando sostanzialmente i limiti dell’editto di Amboise. Nell’autunno 1579, il rifiuto dei protestanti di restituire nei tempi convenuti le piazzeforti che erano state loro concesse nel febbraio precedente provocò un’effimera ripresa dei combattimenti (settima guerra, 1579-80), conclusasi un anno dopo con la pace di Fleix (26 novembre 1580), senza apportare significativi cambiamenti.
La posizione della monarchia, sempre più indebolita dallo strapotere delle grandi casate, sia cattoliche che protestanti, fu ulteriormente infragilita nel giugno 1584 dalla morte del duca d’Alençon, fratello del re e ultimo esponente della dinastia regnante. Poiché Enrico III non aveva né sembrava poter avere figli maschi, l’erede al trono divenne, secondo la legge salica 5, Enrico di Navarra, capo del partito ugonotto, il quale, dopo la conversione forzata del 1572, era ritornato alla religione calvinista. Il fronte cattolico si oppose fermamente a una simile eventualità e i Guisa stipularono con il re di Spagna un accordo che prevedeva la modifica dell’ordine di successione e stabiliva come erede l’anziano cardinale Carlo di Borbone, zio di Enrico di Navarra. Grazie agli aiuti militari e finanziari di Filippo II, la Ligue cattolica riprese vigore e s’impadronì di varie città; nel luglio 1585 Enrico III se ne proclamò capo ed emanò l’Editto di Nemours, interdicendo completamente il culto protestante.
Processione in armi della Ligue a Parigi, nel 1590.
Iniziò così l’ottava guerra (1585-98) che si sarebbe protratta a fasi alterne per più di un decennio. Le operazioni militari, che iniziarono solo nel 1587, videro contrapposti tre Enrichi: Enrico III ed Enrico di Guisa contro Enrico di Navarra. Mentre quest’ultimo ottenne importanti successi contro le truppe reali, il duca di Guisa mieteva successi ad est contro i protestanti tedeschi ed entrava trionfalmente a Parigi, sempre più dominata dalla Ligue. Nel maggio 1588, geloso del potere e della popolarità del duca, Enrico III volle riprendere il controllo della capitale con l’aiuto delle truppe svizzere a lui fedeli, ma la città insorse, eresse delle barricate e lo costrinse alla fuga. Umiliato dalla Ligue, che si era ormai dotata di un’organizzazione indipendente, nel dicembre 1588 Enrico III cercò di riprendere in mano la situazione facendo assassinare il duca di Guisa e suo fratello, il cardinale Luigi di Lorena (1555-88), ma ciò provocò l’insurrezione di Parigi e di altre città, la rottura definitiva con la Ligue e l’ostilità dei cattolici intransigenti. I dottori della Sorbona sciolsero i sudditi dall’obbligo di fedeltà al monarca, il quale, dal canto suo, non poté far altro che allearsi con Enrico di Navarra e i protestanti. In questo clima surriscaldato, il 1° agosto 1589 Enrico III fu pugnalato da un frate domenicano, Gustave Clément, riuscendo però, prima di morire, a riconoscere Enrico di Navarra come suo legittimo erede.
Enrico IV e l’Editto di Nantes (1589-98)
Enrico IV.
I cattolici leghisti (ligueurs), appoggiati da Madrid e Roma, non riconobbero la validità della successione e dichiararono re il cardinale di Borbone, col titolo di Carlo X: Enrico IV doveva conquistare il suo regno con le armi. La guerra riprese allora in tutto il paese e vide ancora una volta il coinvolgimento di forze straniere: Filippo II e Carlo Emanuele di Savoia intervennero a favore dei ligueurs, mentre l’Inghilterra e diversi principi tedeschi si schierarono con Enrico IV. La posizione di quest’ultimo non era facile: se da un lato doveva conquistarsi il favore della maggioranza cattolica dei sudditi, dall’altro non poteva rinunciare all’appoggio degli ugonotti. Fu la sua abilità militare a trarlo d’impaccio, permettendogli di ottenere due vittorie importanti, ad Arques (settembre 1589) e a Ivry (marzo 1590), e di assediare Parigi, senza però poterla prendere. Anche i suoi avversari, però, avevano i loro problemi: la morte dell’anti-re Carlo X (1590) imbrogliò le cose, scatenando una ridda di candidature contrapposte e alimentando i timori dei francesi di vedersi imporre un sovrano straniero; gli eccessi del fanatismo della Ligue cominciarono ad alienarle le simpatie degli stessi cattolici e si dovette reprimerne gli eccessi nella stessa Parigi; gli eserciti stranieri intervenuti contro Enrico IV furono ripetutamente sconfitti e finirono per trovarsi a mal partito, mentre in varie parti del paese scoppiarono rivolte di contadini che allarmarono la nobiltà locale.
Nonostante i suoi netti successi, Enrico IV comprese che la Francia non avrebbe mai accettato un sovrano protestante e decise quindi di riconvertirsi al cattolicesimo. Il 17 maggio 1593 l’arcivescovo di Bourges ne diede l’annuncio alla Francia e qualche mese dopo, il 25 luglio, lo stesso prelato ricevette l’abiura del re nella cattedrale di Saint-Denis 6. Il 27 febbraio 1594 Enrico IV poté essere solennemente consacrato nella cattedrale di Chartres, venendo unto, secondo l’antico rito, con l’olio della Santa Ampolla; la via di Parigi era ormai aperta e la capitale accolse con gioia il suo re nel marzo 1594. Il difficile percorso di legittimazione poté dirsi concluso solo nel settembre 1595, quando i procuratori di Enrico IV ottennero da papa Clemente VIII il ritiro delle scomuniche e l’assoluzione.
Consacrazione e incoronazione di Enrico IV a Chartres (1594).
Sconfitta l’ultima resistenza nobiliare, le province e le città della Francia si sottomisero una dopo l’altra a Enrico, e così fecero tutte le principali casate del regno. Ormai restava solo un nemico, Filippo II, contro cui Enrico IV poté concentrare il risentimento nazionale di tutto un paese. Francia e Spagna, logorate da decenni di scontri, giunsero rapidamente a un accordo e il 2 maggio 1598 siglarono il Trattato di Vervins, ripristinando in sostanza le clausole della pace di Cateau-Cambrésis: nonostante quarant’anni di guerre e divisioni intestine, la Francia era riuscita a difendere la propria unità territoriale e a salvaguardare la propria autonomia, mentre Filippo II non aveva saputo trarre alcun reale vantaggio dalle difficoltà del suo vicino e aveva fallito nel tentativo di respingere la Riforma su scala internazionale. L’atto che chiuse davvero questa sanguinosa stagione di guerre religiose fu però l’Editto di Nantes (13 aprile 1598), con il quale Enrico IV riconobbe piena libertà di coscienza e di culto pubblico in tutto il regno, con la sola eccezione Parigi, e attribuì pari diritti civili a cattolici e protestanti; fu inoltre concesso ai protestanti di conservare a spese dello Stato un centinaio di piazzeforti, per loro tutela, il che permise loro di conservare una struttura politico-militare autonoma e parallela rispetto a quella della corona 7. Si apriva per la Francia un’inedita stagione di sostanziale tolleranza religiosa che sarebbe ufficialmente durata, nonostante interruzioni e scontri, per quasi un secolo (fino alla revoca dell’editto di Nantes da parte di Luigi XIV nel 1685).
1 Nella Francia di antico regime, i parlamenti non erano organi legislativi e rappresentativi, ma corti di giustizia con funzioni giudiziarie, come corti d’appello e tribunali di primo grado per la nobiltà, e di controllo legislativo, dovendo registrare gli editti regi.
2 Il termine ugonotto (huguenot) deriva dalla parola ginevrina eyguenot, che designa gli avversari ginevrini del duca di Savoia, a sua volta ripresa dalla parola svizzero-tedesca Eidgnosse, che significa “confederato”.
3 Rouen fu ripresa nell’ottobre 1562, dopo un duro assedio, dai triumviri cattolici. Tra le fila cattoliche morì in quell’occasione Antonio di Borbone, che si era riconvertito alla fede cattolica, pur essendo sposato con una fervente calvinista, Giovanna d’Albert, e fratello maggiore del principe di Condé, allora comandante delle truppe ugonotte. Questo fatto mostra come le differenze religiose potessero insinuarsi in profondità nelle famiglie, spaccandole.
4 I bailliages o sénéchaussées (il primo termine era più usato nel nord della Francia, il secondo al sud) erano circoscrizioni in cui erano divise le province del regno, con carattere amministrativo, fiscale e giudiziario (il “balivo” o “siniscalco” rappresentava la corona a livello locale); in Francia se ne contavano allora circa un centinaio.
5 La legge salica è un codice di leggi fatto redigere dal re dei Franchi Clodoveo all’inizio del VI secolo; in materia successoria, la legge salica fu interpretata nei secoli seguenti per far sì che i titoli e i possedimenti regali, in Francia e in altri regni europei, venissero trasmessi solo in linea maschile. La famiglia dei Borbone costituiva un ramo della casata dei Capetingi e discendeva da Roberto di Clermont (1256ca-1317), ultimo figlio maschio del re di Francia Luigi IX, detto il Santo (1214-70).
6 La tradizione ha spesso attribuito a Enrico IV il celebre motto: “Parigi val bene una messa” (Paris vaut bien une messe), per sintetizzare il carattere tutto politico e strumentale di questa riconversione.
7 L’editto di Nantes fu registrato, cioè formalmente riconosciuto, dai parlamenti locali solo dopo forti resistenze. Quello di Parigi, in particolare, pretese ed ottenne delle modifiche e ratificò l’editto nel febbraio 1599; la maggior parte dei parlamenti lo registrarono nel 1600, mentre quello di Rouen solo nel 1609.