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Produzione di proteine ed enzimi ricombinanti: parametri da considerare

Albert Einstein diceva che non si deve giudicare un pesce per la sua incapacità di arrampicarsi sugli alberi, in quanto lo si crederà per sempre uno stupido. Così infatti non è, semplicemente il pesce non è in grado di farlo perchè non rientra fra le sue abilità naturali, come non si può pretendere che una persona specializzata in un certo lavoro sia in grado di farne un altro con la stessa bravura: “nessuno nasce imparato”, ma può sempre imparare. Allo stesso modo le cellule non sono in grado di fare tutto ciò che vogliamo, ma è possibile in qualche modo “istruirle”, facendo loro leggere loro le istruzioni in un alfabeto di 4 lettere a loro comprensibile e il cui significato è universale (con alcune eccezioni): il DNA.

Grazie alla tecnologia del DNA ricombinante è infatti possibile inserire all’interno di un organismo un gene che deriva da un’altro (quindi eterologo) in modo che esprima un qualcosa che naturalmente non sarebbe in grado di sintetizzare, in quanto non presente all’interno del suo genoma di partenza. La maggior parte delle proteine così sintetizzate sono enzimi, in quanto il loro valore commerciale e industriale è molto alto, ma la prima proteina ricombinante prodotta fu l’insulina umana, il cui gene fu inserito nel batterio E. coli, permettendo di ottenere una grande quantità di questa molecola fondamentale per la cura del diabete a basso costo.

L’espressione di un gene eterologo, tuttavia, non è un procedimento semplice, in quanto ci sono moltissimi parametri da considerare per ottenere un prodotto finale da immettere nel mercato, sia a livello di qualità e quantità. A questo scopo è possibile utilizzare le conoscenze di ingegneria genetica, proteica e metabolica per preparare il gene e modificare l’ospite al meglio.

È possibile controllare il numero di copie del gene eterologo all’interno dell’ospite, utilizzando vettori di espressione adeguati: alcuni sono a singola copia, altri multicopia (fino a 20 copie). In teoria maggiore è il numero di copie del gene d’interesse maggiore sarà la sua espressione e con l'ottenimento di più prodotto finale: nella pratica non è sempre stato così in quanto i livelli di controllo dell’espressione sono molteplici. Il tipo di promotore scelto per il gene è altresì importante, in quanto, oltre a dover essere riconosciuto delle RNA polimerasi dell’ospite, deve essere forte se voglio ottenere un’elevata trascrizione. La possibilità di avere promotori costitutivi o inducibili aumenta di molto il controllo sull’espressione del gene.

Per quanto riguarda la traduzione invece è bene considerare la stabilità dell’mRNA, per esempio riducendo la presenza di enzimi degradativi specifici (RNasi), le sequenze di attacco del ribosoma all’RNA, ma soprattutto la presenza di sequenze non codificanti, come gli introni. Gli introni possono risultare un problema per l’espressione di un gene eucariotico in un ospite procariotico in quanto queste sequenze sono eliminate nell’mRNA degli eucarioti (che li possiedono naturalmente) mediante un processo chiamato splicing, che invece non appartiene ai procarioti: come conseguenza la proteina sintetizzata sarà diversa da quella voluta e molto probabilmente non più funzionale allo scopo. Per risolvere il problema è necessario utilizzare un cDNA, ottenuto per retrotrascrizione dell'mRNA senza introni a DNA.

Successivamente è necessario anche considerare la stabilità della proteina stessa, in quanto il ripiegamento nella strutta 3D di una proteina eterologa potrebbe non essere la stessa nell’ospite, oppure la proteina potrebbe subire una degradazione. Talvolta infatti la molecola prodotta può essere dannosa alla cellula stessa o causarle uno stress eccessivo dovuto al grande numero di copie sintetizzate, riducendo la resa, la produzione e la produttività del processo. Una delle problematiche maggiori resta comunque il fatto che i procarioti non portano a termine tutte le modificazioni post-traduzionali tipiche degli eucarioti, in particolare la glicosilazione e l’acilazione. Data l’importanza di queste modificazioni, è evidente che una loro assenza più portare drastici cambiamenti nella conformazione e nella funzionalità delle proteine eterologhe. Inoltre, la Food and Drug Administration (FDA) impone che una proteina ricombinante ad uso umano, nei settori alimentari e medico, deve essere perfettamente identica alla sua controparte naturale, in quanto anche una minima differenza potrebbe scatenare una risposta immunitaria nel consumatore: di conseguenza una proteina deve essere modificata dall’ospite nello stesso modo con cui lo fanno le nostre cellule.

La raccolta del prodotto (downstream) è altresì argomento d’interesse, poichè spesso va a influenzare fortemente il costo finale della proteina. Le possibilità più usate sono la rottura delle cellule e la sua separazione con metodi come la precipitazione, l’elettroforesi e la cromatografia, oppure favorire la sua secrezione nel mezzo di crescita. Anche questo parametro è fondamentale per la scelta dell’organismo ospite, in quanto alcuni di essi hanno una tendenza maggiore a secernere proteine.

Le cellule ospite maggiormente utilizzate per la produzione di proteine ricombinanti sono derivanti dal batterio E. coli, dal lievito S. cerevisiae, da insetti o da mammiferi.