Le reazioni biologiche, come tutte le reazioni chimiche, necessitano un ambiente dedicato, che permetta di separarle dall’esterno, controllandone l’andamento. In particolare, l’utilizzo delle cellule necessita particolari accorgimenti, funzionali alla sopravvivenza e alla crescita delle cellule stesse, come per esempio la sterilità, che permette di escludere organismi indesiderati. Talvolta invece è possibile modificare le condizioni di crescita per spingere le cellule a fare ciò che ci interessa, come produrre un farmaco o un enzima.
Lo strumento più semplice per coltivare un discreto numero di cellule (principalmente lieviti o batteri) fa parte della vetreria di laboratorio: si tratta della beuta. Poiché la miscela di cellule e nutrienti (come il glucosio), chiamata brodocoltura, deve essere costantemente mescolata e mantenuta omogenea per evitare il deposito sul fondo, la beuta viene posta su una particolare pedata agitante. L’agitazione è importante anche per l’ossigenazione della miscela, in quanto l’ossigeno è un importante nutriente che permette alle cellule di compiere la respirazione aerobica all’interno dei mitocondri. Tuttavia nella beuta non è semplice facile mantenere la sterilità in quanto essa non risulta chiusa ermeticamente e non è possibile monitorare ciò che sta accadendo al suo interno, se non prelevando un campione. L’insieme di tutti i nutrienti forniti alle cellule viene chiamato terreno (o medium) di crescita.
Per questi motivi è stato inventato un macchinario in grado di accogliere al proprio interno le cellule, che fosse capace di mantenere la sterilità e fornire alle cellule tutto ciò di cui necessitano, permettendo allo stesso tempo di monitorare in maniera semplice e veloce tutti i parametri di crescita: il bioreattore. In primis, l’agitazione è garantita da una serie di pale rotanti collegate a un motore, che nei modelli più grandi si trova in testa al bioreattore stesso: la forma, la dimensione, la distanza e la velocità di rotazione delle pale può essere modificata a seconda delle esigenze. Le pale sono fondamentali non solo per miscelare le cellule e i nutrienti (che vengono forniti sterilizzati e filtrati mediante una pompa in entrata) ma anche per disciogliere al meglio l’ossigeno che viene fornito dal basso sotto forma di bolle. Nel caso in cui invece l’organismo sia un anaerobio stretto, ovvero non sopravviva in presenza di ossigeno, viene semplicemente insufflato azoto nella brodocoltura: microrganismi come il produttore di biobutanolo Clostridium acetobutylicum infatti sarebbero difficilmente coltivabili in beuta proprio per il fatto di essere anaerobi stretti. Nel caso invece di particolari microrganismi come il fungo filamentoso Aspergillus niger, utilizzato per la produzione di acido citrico, non è possibile usare bioreattori con pale rotanti, in quanto andrebbero a distruggere le cellule stesse: per questo motivo vengono utilizzati bioreattori che mescolano la brodocoltura utilizzando un potente getto d’aria compressa (ovviamente sterilizzata). Questo bioreattore viene chiamato air-lift.
Come detto in precedenza, è possibile visionare ciò che sta accadendo all’interno del bioreattore grazie a una serie di sensori che, collegati a un computer dotato di un particolare software, permettono di raccogliere dati numerici e visionare l’evoluzione della brodocoltura nel tempo. Il software permette anche di definire un valore fisso (o un valore soglia massimo/minimo) per ogni parametro e di mantenerlo tale nel bioreattore, intervenendo in caso di necessità: per esempio nel caso in cui si voglia mantenere un pH interno di 7, nel momento in cui il sensore capta un calo di pH dovuto alla crescita o alla produzione di un metabolita, il computer ordina l’immissione di una base in concentrazione tale da ristabilire il pH desiderato. In caso contrario ovviamente verrà aggiunto un acido. Un’altra sostanza che spesso viene aggiunta alla brodocoltura è un anti-schiuma che elimina le bolle che si formano a causa dell’agitazione e che possono disturbare la crescita. Un altro parametro importante è la temperatura, che durante la crescita cellulare tende ad aumentare a causa delle reazioni esotermiche collegate al metabolismo: la temperatura può essere abbassata facendo passare acqua fredda in una serpentina posta all’interno di una camicia che riveste il bioreattore. Tramite una valvola in uscita è possibile raccogliere un campione della brocoltura mantenendone la sterilità e calcolando la concentrazione di cellule, nutrienti e prodotti di fermentazione. Il sensore del glucosio, per esempio, è simile a quello che viene utilizzato dai malati di diabete: un enzima, chiamato glucosio ossidasi, libera perossido di idrogeno (H2O2) in maniera proporzionale alla concentrazione di glucosio disciolta. Altri parametri, come il rapporto fra la concentrazione di ossigeno disciolto e l’anidride carbonica in uscita, possono dare indicazioni sullo “stato di salute” delle cellule, ovvero se esse si trovano sotto stress e di conseguenza rallentano la propria crescita, riducendo la produzione del metabolita d’interesse.
Esistono bioreattori di diverse dimensioni, da quelli di 1L di volume, utilizzati sui banconi dei laboratori di ricerca, fino a quelli da 1 milione di litri, usati per le grandi produzioni industriali, come quella dei biocarburanti, in particolare il bioetanolo. Il passaggio della produzione da un bioreattore più piccolo a uno più grande viene chiamato scale up.
Un piccolo bioreattore da bancone a sinistra e un bioreattore da 90L usato per la produzione di biocarburanti di seconda generazione a destra.
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