Introduzione
Il Sidereus Nuncius di Galileo Galilei è un breve trattato di astronomia pubblicato nel 1610, che rende conto delle rivoluzionarie osservazioni e scoperte compiute dallo scienziato pisano con l’uso di un cannocchiale (o telescopio galileiano), perfezionato per l’occorrenza. Il titolo dell’opera è traducibile come “messaggero celeste”, e si riferisca appunto alle radicali novità, rispetto alla cosmologia aristotelica e tolemaica, che il libro portava con sé.
Struttura dell’opera e idee fondamentali
Il Sidereus Nuncius viene pubblicato a Venezia il 12 marzo 1610 in una tiratura iniziale di 550 copie dalla stamperia Tommaso Baglioni; si tratta di un agile volumetto 1, di circa sessanta pagine, in cui Galileo presenta e riassume le scoperte effettuate nei mesi precedenti con l’uso di un cannocchiale rivolto al cielo per delle osservazioni notturne. Il testo è dedicato, con la segreta speranza di poter tornare in Toscana per svolgervi attività di ricerca, al Granduca Cosimo II de’ Medici.
Nei mesi precedenti, Galileo si è dedicato prima al perfezionamento tecnico del cannocchiale, ideato nel 1608 in Olanda da Hans Lippershey, sfruttando le competenze dell’Arsenale di Venezia e il sostegno economico del Senato veneziano interessato anche alle ricadute militari delle ricerche galileiane sullo strumento); quando lo scienziato volge il suo cannocchiale al cielo 2, scopre qualcosa che gli permette di smontare e rivoluzionare la scienza del suo tempo.
La prima grande novità è relativa alla superficie della luna, che secondo la fisica e la cosmologia tradizionali, ancorate al principio di autorità e all’ossequio alla teoria geocentirca tolemaica, doveva essere liscia e perfetta come una sfera 3. In realtà Galileo nota, grazie alle macchie e le ombre prodotte dal Sole, che la crosta della luna è aspera et inaequali (cioè, “scabra e disuguale, con rilievi di diverse altezze”, e che non è poi tanto dissimile da alcuni monti terrestri. Galileo correda questa ossevazione con disegni tratti direttamente dall’osservazione col telescopio 4:
La seconda rivelazione galileiana riguarda le stelle fisse, che ad un esame analitico si rivelano essere molte di più del numero convenzionale tradizionalmente accettato (Galileo, a riprova di ciò, traccia lo schema completo della cintura e della spada di Orione e della costellazione delle Pleiadi); ciò spezza la rappresentazione dell’universo come un insieme compiuto, ordinato e limitato di astri, tutti noti all’occhio umano.
Come terzo punto, lo scienziato spiega che la Via Lattea è “nient’altro che una congerie di innumerevoli Stelle, disseminate a mucchi; ché in qualunque regione di essa si diriga il cannocchiale, subito una ingente folla di Stelle si presenta alla vista, delle quali parecchi si vedono abbastanza grandi e molto distinte; ma al moltitudine delle piccole è del tutto inesplorabile”. L’esistenza di nebulose ed ammassi distinti di stelle - Galileo studia in particolare la nebulosa di Orione e la “nebulosa Presepe”, un gruppo di stelle nella costellazione del Cancro - è un chiaro indizio che l’universo è ben più ampio di quanto creduto finora.
Ultima novità fondamentale è la scoperta dei quattro satelliti “medicei” (nominati così in onore di Cosimo II) orbitanti attorno a Giove 5; l’esistenza quindi corpi con un centro di rotazione diverso da quello della Terra (che Cluadio Tolomeo immaginava al centro del sistema solare) è un pesantissimo argomento a favore della teoria copernicana.
Il Sidereus Nuncius è allora un punto fondamentale nella storia delle idee occidentale: il metodo galileiano applicato al “libro della natura”, come dirà nel Saggiatore, getta le basi per la moderna ricerca scientifica, fatta di prove, esperimenti e verifica sperimentale di dati, strumenti, risultati raggiunti. Galileo, che nell’insegnamento universitario continua prudentemente a seguire l’impostaione tolemaica, getta qui i semi delle future argomentazioni del Saggiatore e del Dialogo sopra i due massimi sistemi.
Il Sidereus Nuncius e lo stile di Galilei
La struttura e lo stile del Sidereus Nuncius sono funzionali alla comunicazione precisa ed efficace del suo contenuto, e quindi alla diffusione migliore possibile delle strabilianti scoperte che esso contiene.
Galilei infatti ha due esigenze primarie: divulgare ciò che vede col cannocchiale in breve tempo e raggiungere la comunità scientifica internazionale, per sollevare la curiosità e l’interesse sul proprio lavoro e per stimolare il dibattito e la ricerca nel campo (secondo cioè un principio per cui il progresso scientifico si arricchisce proprio grazie all’apporto delle idee, delle ipotesi e delle critiche di quanti più scienziati possibile).
In tale ottica, Galileo sceglie il latino, lingua ufficiale della comunicazione di dotti e sapienti e adotta una strategia comunicativa assai efficace ed abile: destinando gli artifici della retorica solo alla dedica a Cosimo de’ Medici (dove appunto l’elevatezza del personaggio giustifica uno stile più ricercato), egli imposta il resto della trattazione con uno stile narrativo, che, in una prosa chiara e lineare, segue passo per passo l’osservazione del cielo. Sulle pagine del Sidereus Nuncius, così, l’emozione della scoperta si unisce sempre alla massima precisione scientifico-terminologica, con l’indicazione di dati, metodi di osservazione, strumenti utilizzati. Con il Sidereus Nuncius, Galileo non si presenta solo come il padre del metodo scientifico moderno, ma anche come il primo, vero divulgatore di cultura scientifica.
Il successo del Sidereus Nuncius fu considerevole: esaurite subito le prime copie, cominciarono presto a circolarne edizioni non autorizzate dall’autore. Il nome di Galileo si diffuse insieme con la sua opera, giungendo immediatamente a Giovanni Keplero (1570-1631) e nelle principali corti italiane ed europee, fino a giungere addirittura in Cina, dove il nome dello scienziato italiano fu traslitterato in Chia-Li-Lueh.
1 Galileo stesso lo definisce così: “Avviso astronomico che contiene e chiarisce recenti osservazioni fatte per mezzo di un nuovo occhiale nella faccia della Luna, nella Via Lattea e nelle stelle nebulose, in innumerevoli fisse, nonché in quattro pianeti non mai finora veduti, chiamati col nome di astri medicei” (G. Galilei, Sidereus Nuncius, a cura di A. Battistini, traduzione di M. Timpanaro Cardini, Venezia, Marsilio, 1993, p. 6).
2 Nelle prime pagine del Sidereus Nuncius, Galielo è assai scrupoloso nel definire le caratteristiche fondamentali del suo strumento: “si procurino in primo luogo un cannocchiale perfettissimo, il quale rappresenti gli oggetti chiari, distinti e sgombir g’ogni caligine, e che li ingrandisca di almeno quattrocento volte [...] che se tale non sarà lo strumento, invano si tenterà di osservare tutte quelle cose che da noi furono viste nel cielo e che più oltre saranno enumerate” (ivi, p. 8).
3 Dietro questa convinzione, c’è ovviamente quella per cui mondo terreno e mondo delle sfere celesti siano radicalmente diversi, sottointendendo in questa distinzione l’opposizione tra la corruttibilità del mondo terrestre e la purezza delle seconde.
4 G. Galilei, Sidereus Nuncius, a cura di A. Battistini, Venezia, Marsilio, 1993, p. 14.
5 Scoperti da Galileo il 7 gennaio 1610 e appunto detti anche “satelliti galileiani”, i quattro satelliti sono ora noti con i nomi di Io, Europa, Ganimede e Callisto.