Composto a imitazione di un altro celebre autoritratto, quello dell’Alfieri (Sublime specchio di veraci detti), con questo sonetto Foscolo fa proprio il culto romantico per l’individuo eccezionale, con sfumature narcisistiche e titaniche, che è proprio di tanta produzione romantica. Al componimento alfieriano si rifece con ogni probabilità anche Manzoni (col suo Capel bruno, alta la fronte, occhio loquace), anche se risulta problematico ricostruire il rapporto di questo testo con quello foscoliano.
Pubblicato per la prima volta nel 1802 a Pisa, nel «Nuovo Giornale dei letterati», conobbe in seguito altre redazioni, le cui numerose varianti attestano il mutamento dell’immagine che il poeta offre di se stesso e dei suoi stati d’animo nei vari momenti della sua vicenda esistenziale. Foscolo non disconosce i suoi difetti (si dice anzi “di vizi ricco e di virtù”), sebbene anche il lato più ardimentoso, impulsivo e violento del suo carattere sia riconducibile all’esaltazione narcisistica del proprio ego.
Metro: sonetto con schema ABAB BABA CDE CED.
- Solcata ho fronte, occhi incavati intenti 1,
- crin fulvo, emunte 2 guance, ardito aspetto,
- labbro tumido 3 acceso, e tersi denti,
- capo chino, bel collo, e largo petto;
- giuste membra; vestir semplice eletto;
- ratti i passi, i pensier, gli atti, gli accenti 4;
- sobrio, umano, leal, prodigo, schietto;
- avverso al mondo, avversi a me gli eventi 5:
- talor di lingua, e spesso di man prode;
- mesto i più giorni e solo, ognor pensoso 6,
- pronto, iracondo, inquieto, tenace:
- di vizi ricco e di virtù, do lode
- alla ragion, ma corro ove al cor piace 7:
- morte sol mi darà fama e riposo 8.
- Ho la fronte segnata dalle rughe, gli occhi scavati e intensi,
- capelli di colore rosso, guance pallide, aspetto indomito,
- labbra rosse e pronunciate, denti bianchi,
- capo chino, un bel collo e un ampio torace;
- membra ben proporzionate, modo di vestire semplice, ma decoroso;
- passi rapidi, e così i pensieri, i gesti, il modo di parlare;
- sono sobrio, umano, leale, prodigo e schietto;
- io contro il mondo, il mondo contro di me;
- talvolta sono ardimentoso a parole, spesso nelle azioni;
- la maggior parte dei miei giorni me ne sto triste e solo,
- sempre pensieroso, irascibile, inquieto, testardo:
- ricco tanto di vizi quanto di virtù, elogio
- la ragione, ma poi, di fatto, inseguo il sentimento:
- soltanto la morte mi darà fama e riposo.
1 I particolari fisici del ritratto vorrebbero avere un significato morale, secondo una tendenza diffusa nel Romanticismo. “Fronte solcata”, “occhi incavati” e “capo chino”, sono tutti attributi che concorrono a suggerire il travaglio interiore e l’indole tormentata del poeta.
2 emunte: smunte, pallide per la vita difficile dell'artista di genio.
3 tumido: dal latino tumidus. Letteralmente: "labbra gonfie, smorte".
4 Il verso dipinge il temperamento impulsivo del poeta, anche stilisticamente: l’attributo si riferisce a tutti i sostantivi, e la coordinazione avviene per asindeto. Per “ratti” si intende “veloci”, ma al tempo stesso “fervidi ed esagitati”, come se il poeta e l’artista romantico facesse trapelare in gesta, azioni, parole ed atteggiamenti lo “spirto guerrier” (come dirà il sonetto Alla sera, v. 14) che lo anima senza pace.
5 In questo verso il titanismo di Foscolo campeggia in tutta la sua evidenza: qui il poeta esprime la contrapposizione tra la propria individualità eroica, il duro destino e gli altri uomini. È l’atteggiamento di chi si compiace nella propria diversità ed esalta la propria ribellione, e che ritroveremo, con analoghi accenti, nei discorsi Della servitù d’Italia.
6 solo, ognor pensoso: eco del sonetto petrarchesco Solo e pensoso i più deserti campi, con cui il verso condivide, oltre che la memoria letteraria, anche l’inclinazione egocentrica e narcisistica del dialogo dell’autore con se stesso.
7 È il conflitto tra ragione e sentimento già espresso dall’Alfieri nel sopracitato autoritratto Sublime specchio di veraci detti (“la mente e il cor meco in perpetua lite”, v. 11).
8 L’atteggiamento del poeta qui si fa meno combattivo: la morte non è tanto un’avversaria da sfidare, quanto una dispensatrice di fama e riposo (“la fatal quïete” di Alla sera, v. 1, sonetto che intrattiene stretti legami con il presente).