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Foscolo, "Alla sera": parafrasi del testo

Parafrasi Analisi

Composto tra il 1802 e il 1803, Alla sera è uno dei sonetti più significativi di Ugo Foscolo. I sentimenti che qui ritroviamo erano già stati espressi nello Jacopo Ortis: la sera, che porta il riposo, si configura per il poeta come un’immagine di morte, anch’essa concepita come “fatal quïete” dal travaglio del vivere. L'allocuzione alla sera, con cui Foscolo vuole intessere una sorta di confessione intima, apre le quartine, in una grande scenografia atmosferica: qui la discesa delle ombre notturne dona ristoro a chi le contempla dopo le angosce del giorno, e porta l’autore a pacate riflessioni su un riposo e una pace più lunghi, quelli legati alla morte, vista come la fine naturale di tutti i patimenti mondani.

È una pausa di raccoglimento e di pace: la morte non è più vista (come nel romanzo pseudo-autobiografico) come indomito nemico al quale opporre uno strenuo quanto vano tentativo di ribellione, quanto piuttosto come immersione dell’io travagliato nel “nulla eterno” della “fatal quïete”. Un atteggiamento questo affine a quello delle più significative espressioni europee coeve della lirica romantica, di cui Foscolo è uno dei primi (e al tempo stesso più maturi) dei nostri interpreti.

Metro: sonetto con schema ABAB ABAB CDC DCD. Fitta è la presenza di enjambements (vv. 5-6, 7-8, 10-11, 13-14), che legano tra loro i versi, con notevole perizia, in una sorta di ininterotta riflessione intima, come anche in A Zacinto.

  1. Forse 1 perché della fatal quïete 2
  2. tu sei l’immago a me sí cara vieni,
  3. o sera 3! E quando ti corteggian liete
  4. le nubi estive e i zeffiri sereni,
  5. e quando dal nevoso aere inquïete
  6. tenebre e lunghe 4 all’universo meni
  7. sempre scendi invocata, e le secrete
  8. vie 5 del mio cor soavemente tieni.
  9. Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme
  10. che vanno al nulla eterno 6; e intanto fugge
  11. questo reo tempo 7, e van con lui le torme 8
  12. delle cure onde meco egli si strugge 9;
  13. e mentre io guardo la tua pace, dorme
  14. quello spirto guerrier 10 ch’entro mi rugge.
  1. O sera, forse giungi a me così gradita
  2. perché sei l’immagine della quiete assegnataci
  3. dal fato! Sia quando ti accompagnano felici
  4. le nubi estive e i venti che rasserenano il cielo,
  5. sia quando dal cielo che fa presagire la neve
  6. conduci sulla terra tenebre minacciose e lunghe,
  7. sempre scendi da me invocata e occupi dolcemente
  8. i luoghi più segreti del mio animo.
  9. Mi porti con i miei pensieri all’idea della fine del tutto;
  10. e mentre sono assorto in questa contemplazione,
  11. questo tempo ingrato trascorre via rapido e con lui vanno le schiere
  12. degli affanni per cui egli si consuma con me;
  13. e mentre io contemplo la tua pace, si placa
  14. lo spirito combattivo che ruggisce dentro di me.

1 Forse: l’avverbio iniziale contribuisce a creare un effetto di ripresa di un dialogo interiore già in corso, ravvisabile anche nell’attacco di A Zacinto (“Né piu mai toccherò...”, v. 1).

2 fatal quïete: è la quiete della morte, in grado di porre fine a tutte le sofferenze: è “fatale”, come osservato dal De Robertis, “perché a tutti assegnata dal destino”, con rinvio al latino fatum, nel senso di “parola e voce della divinità”. Pur nel contesto materialistico della poesia foscoliana - la morte è, epicureicamente, privazione di sensazioni - la presenza di una sorte prescritta a tutti non fa che accrescere il tono malinconico e drammatico della “confessione” serale dell’io poetico.

3 L’allocuzione alla sera segna una cesura rispetto ai primi versi: dall’intonazione riflessiva dei versi 1-2, si passa all’andamento descrittivo dei versi seguenti.

4 inquïete tenebre e lunghe: i due aggettivi, anziché essere correlati da congiunzione, sono separati da sostantivo, secondo una costruzione latineggiante. L’inversione innalza il dettato, mentre, secondo un processo di drammatizzazione del paesaggio nell’ora del tramonto, alle tenebre che scendono sulla Terra viene trasferita l’inquietudine dell’uomo.

5 le secrete vie: in tutte le quartine, gli enjambements isolano a fine verso degli aggettivi (“liete”, “inquïete”, “secrete”), sottolineandone con forza la funzione e il significato all’interno della visione del mondo e del sistema di valori (la morte come privazione del dolore, le inquietudini della vita terrena, il perdersi nell’inseguimento delle proprie passioni) di Ugo Foscolo.

6 Se le prime due quartine esprimono il sentimento di pace che deriva al poeta dal calar della sera, nelle due terzine l’espressione “nulla eterno” (v. 10) dà conto della concezione materialistica e immanentistica del Foscolo: non esiste immortalità dell’anima, ma l’uomo, come l’universo, fa parte di un ciclo perenne di nascita, morte e trasformazione.

7 reo tempo: l’interpretazione di quest’espressione potrebbe essere almeno triplice, secondo una progressione dal singolo individuo alla Storia e all’esistenza umana: da un lato può fare riferimento alla vita angosciosa del poeta, dall’altro al momento storico, in ultima istanza al tormentoso vivere che contraddistingue l’esistenza di ogni uomo in quanto tale. Il tema del tempo che fugge è di ascendenza classica; Orazio, Odi, I, XI, 7-8: “Dum loquimur, fugerit invida | aetas”, “mentre noi parliamo, se ne va, fuggendo, il tempo invidioso”).

8 torme: vocabolo tipicamente ortisiano, connota efficacemente la violenza con la quale gli affanni, descritti come schiere, si abbattono sulla vita del poeta, provocandone la rapida consunzione.

9 onde meco egli si strugge: la distruzione inesorabile provocata dalle "cure" si esercita sul tempo del poeta, che si consuma per esse: un’espressione condensata, ellittica, e tuttavia non priva di suggestione.

10 I commentatori hanno ravvisato nell’espressione “spirto guerrier” un’eco proveniente da un sonetto del Della Casa: Feroce spirto ebbi un tempo e guerrero. L'aggettivazione spiega il tumultuoso ardire che contraddistingue l’indole del poeta, secondo un atteggiamento ravvisabile, nei sonetti, anche nell’Autoritratto e in Non son chi fui.